Caos e caso [di Guido Pegna]
Se ogni cosa sulla Terra fosse razionale, non accadrebbe nulla (Fedor Michajlovic Dostoievskij) Mi aveva molto colpito la prova rigorosamente logica della non esistenza di Dio1 che avevo letto anni prima nel romanzo Dio e il computer di Roberto Vacca. Pare che fosse stata inventata da papa Giovanni XXI, l’unico papa che Dante mette nel Paradiso2, ucciso nel 1277 in una esplosione del suo palazzo di Viterbo dopo soli pochi mesi di regno, forse impedire che quella sua prova venisse pubblicata. Roberto Vacca, ingegnere e narratore, apparteneva al Club di Roma, quel panel di ambientalisti, futurologi, ecologisti, ingegneri dei sistemi complessi che aveva generato il famoso rapporto I limiti dello Sviluppo (1972) che tanto interesse suscitò all’epoca, anche perché la crisi petrolifera esplosa l’anno successivo sembrò anticipare ciò che quel rapporto aveva predetto nel lungo termine. Tutto questo che sto per raccontare mi è tornato improvvisamente alla mente leggendo la bella storiella allegorica Caso e Necessità di Giuseppe Pulina su questa stessa rivista. La storia è la seguente. Con un collega e alcuni dottorandi avevamo cominciato a interessarci di una nuova categoria del sapere fisico che stava diventando di gran moda: il caos. Per i fisici e per i matematici dire caos non significa parlare di caso, di fortuna o di sfortuna, di alea. È una cosa precisa e rigorosamente definita da equazioni differenziali che contengono un termine non lineare. Io avevo costruito dei circuiti elettronici che emulavano quelle equazioni, e su uno schermo video si creavano delle buffe e sempre nuove e imprevedibili figure fatte di intrighi ingarbugliati di curve sovrapposte. I segnali che quei circuiti generavano producevano, se mandati in un sistema audio, anche degli strani e inauditi suoni che evolvevano spontaneamente e che ascoltati a lungo inducevano stati di obnubilamento della coscienza, o di sonnolenza, e altre volte anche di nausea. Animati da entusiasmo, pensammo di organizzare una giornata di studio sul caos. A quel tempo, doveva essere il 1980 o l’81, non era difficile ottenere dall’università i soldi per questo genere di manifestazioni su temi un po’ vaghi e invitare speaker di grande fama e competenza. Così quel giorno insieme a noi partecipavano all’evento Roberto Vacca, Piergiorgio Odifreddi, una prestigiosa filosofa e un letterato. L’idea era che ognuno dei partecipanti avrebbe proluso sulla sua visione di che cosa si intende per caos o per processi casuali, fornendo una panorama culturale molto generale e interdisciplinare – questa parola stava diventando anch’essa di moda e a fare danni proprio in quel periodo. Il luogo era l’aula verde della cittadella dei musei di Cagliari, piena di un pubblico fremente nella curiosità dell’attesa. Dopo la presentazione di rito da parte dell’allora preside della facoltà iniziò a parlare il letterato. Io non l’avevo mai visto prima. Si trattava di un omino calvo, magro, con grossi occhiali da miope e fare impacciato. Sulla sua camicia sotto la giacca di tweed spiccava una bella macchia di sugo. Il suo intervento fu ricco di citazioni da Pirandello, da Verga e dal Manzoni. Di quest’ultimo mise in luce il mirabile trattamento del caso nei tempi scenici del fallito rapimento di Lucia da parte dei bravi e della conseguente fuga di Renzo Lucia e Agnese dopo il tentativo di matrimonio a sorpresa. Concluse mettendo in risalto come il buon don Lisander sarebbe stato un ottimo sceneggiatore nella cinematografia contemporanea, e tutti pensammo a come l’avrebbe presa lo schivo gentiluomo se l’avesse potuta sentire. Una cappa grigia di noia cominciò a calare sulla sala. Prese la parola la filosofa, e nessuno capì nulla di dove voleva andare a parare. Era una bella donna alta, bionda, molto sicura di sé, che parlava con forte accento bolognese. Noi del tavolo dei conferenzieri la guardavamo a bocca aperta. Citò autori dal nome mai udito prima insistendo in particolare su un certo Mantovani o Mentoveni; ci sembrò di stare rivivendo l’esame di maturità di quel film di Moretti2 nel quale il candidato ha portato come autore un poeta amico suo, un giovanotto scalcinato presente anche lui in aula. Il velo grigio di noia stava avvolgendo tutti. Fu a quel punto che il mio collega mi si accostò all’orecchio e mi sussurrò, accennando con gli occhi all’uditorio, la frase che ricorre nei serial televisivi quando durante l’estremo tentativo di salvare un ferito gravissimo il cuore gli si ferma: “lo stiamo perdendo”, e subito dopo: “intervieni subito tu”. Allora io proiettai le equazioni del caos, mostrai come erano fatti i circuiti e li misi in funzione facendo vedere le complicate e sempre differenti e incomprensibili configurazioni dei segnali e udire i suoni corrispondenti. Immediatamente prese la parola Piergiorgio Odifreddi. “Ma questo è solamente caos deterministico”, quasi mi interruppe, “niente di interessante. Date le condizioni iniziali” e qui spiegò cosa si intende con questo “tutto il resto è perfettamente prevedibile da questo istante fino all’infinito”. Continuò argomentando come immensamente più ricco dal punto di vista filosofico sia quello che fino a poco prima si chiamava caos, e cioè proprio l’imprevedibile, il caso, quella che per gli antichi era la dea Fortuna e che tanto ruolo aveva nei loro destini. Parlò poi in modo brillante delle grandi congetture matematiche o dei difficili teoremi scoperti apparentemente per caso una mattina appena svegli dopo giorni in cui non ci si pensava più. Ci furono molti applausi. La platea era ora interessata e vibrante di sorpresa repressa. Prese allora la parola Roberto Vacca. Egli parla con voce tonante, e ciò che dice è perentorio. Come gli avevo chiesto, descrisse la prova della non esistenza di Dio e la discusse in termini di algebra booleana, enfatizzando come il corso della Chiesa e dell’intera civiltà occidentale sia stato alterato da una successione di eventi casuali: l’elezione a papa di Pietro Ispano, secondo le cronache dell’epoca avvenuta per caso, il fatto che Pietro Ispano avesse trovato la prova della inesistenza di Dio subito dopo la sua ascesa al soglio; il fatto che la sua morte fosse stata forse causata da un attentato fatto con la polvere pirica, scoperta da poco e dal comportamento tutt’altro che controllabile, oppure per il crollo accidentale del soffitto della sua residenza di Viterbo, come fu comunicato all’epoca. Ma resta il dubbio che sia stato ucciso per impedire la divulgazione di quella prova. L’aula si riempì di applausi scroscianti. I cosiddetti “lavori” furono conclusi dal mio collega, che gia allora non perdeva occasione, appena poteva, di parlare di “Arte e Scienza”. Illustrò in modo molto accattivante il ruolo del caso nell’arte e nella scienza. Citò le grandi scoperte scientifiche avvenute per caso, come quella sbagliata ma ricca di conseguenze dell’elettricità “animale” da parte di Galvani, quella dei raggi X, della penicillina, e parlò della serendipity, categoria sfuggente della creatività scientifica inseguita vanamente da tutti e raramente trovata; parlò poi del caso come componente creativa fondamentale nell’arte figurativa contemporanea, quella che viene fatta lanciando barattoli di vernice o stracci imbevuti di inchiostro contro le tele, facendo rotolare modelle nude imbrattate di qualsiasi cosa su superfici scabre o sparando con doppiette calibro 12 contro manichini di plastica anche loro imbrattati in modo casuale. Si ebbe anche lui i suoi applausi. Chiesi se ci fossero domande. Schizzò su il solito Malvolti, un collega fisico, che fece una domanda che non ricordo ma solo per mettersi in evidenza. Poi ce ne andammo tutti a casa. Ora, a distanza di tanti anni, posso parlare di un esperimento sul caso che feci in seguito e che ha dell’incredibile. Con l’aiuto di un collaboratore l’ho ripetuto molte volte. Si fa una pila di una quindicina di libri. Ne stai cercando uno in particolare. Cominci dal primo della pila, e uno ad uno li togli mettendoli da parte. Nove volte su dieci quello che cercavi è l’ultimo della pila, quello più in basso. Allora: “ora ti frego io”, dici, e capovolgi la pila. Bene: anche questa volta quello che cercavi è fra gli ultimi. Misteriosamente e istantaneamente il libro si è smaterializzato e rimaterializzato in fondo alla pila in modo da farti dispetto. In conclusione: il caso esiste, ma è dispettoso. Questa è la Legge di Pegna. Tutto sommato la conferenza fu un successo, indipendentemente dal fatto che tutti nel pubblico avessero capito o meno qualcosa sul caso, sul caos, sulla fortuna o sulla sfortuna che tuttora determina i nostri destini di poveri viaggiatori inconsapevoli. 1. La prova è la seguente. L’ipotesi che qualche cosa sia sempre esistita, ci sembra non solo probabile, ma necessaria ed evidente. Quindi bisogna dire che delle due proposizioni seguenti una deve essere vera e l’altra deve essere falsa. La prima proposizione è che è sempre esistito un essere immutabile e indipendente, la seconda che è sempre esistita solo una sequenza di esseri mutevoli e dipendenti. Questa sequenza di esseri mutevoli e dipendenti coincide con l’universo. Se qualcuno desidera la formulazione di questa prova nella versione originale in latino o in termini di algebra booleana mi può scrivere. 2. Pietro Ispano – che fece luce in dodici libelli… (Dante, Paradiso XII, 134-135). 3. Il film è Ecce Bombo (1978). * Guido Pegna, Univesità di Cagliari. Fisico e narratore pegna@unica.it
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