La Sardegna prima dell’autonomismo cos’era? [di Enrico Trogu]

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Occorre, a volte, essere “anti”; è quasi un obbligo morale quando in ballo vi sono i fondamentali sociali, ambientali, economici, per cui passano le già labili tutele dei popoli europei. L’accordo di libero scambio USA-UE minerà i fondamentali citati. Li minerà perché una tecnocrazia tanto fumosa quanto banale, emancipata da anni dal controllo politico che spetterebbe al Parlamento europeo, gioca con il fuoco di un paese i cui pregressi storici, negli ultimi quaranta anni, non dimostrano sicuramente disinteressato affetto verso il progredire delle comunità.

Manca la politica in un luogo, la contrattazione di onori e oneri per i cittadini, in cui è basilare. Manca la politica, quella vera, quella mirante al bene comune, al cambiamento in meglio della qualità della vità “in generale”. José Martì diceva che la felicità è solidamente garantita nel concetto di indipendenza e dignità umane. Dov’è la felicità del far colonizzare le nostre vite private da Google o Amazon?

La Sardegna, che cosa pretende in un contesto dove le decisioni, lungi dall’essere sovranazionali, sono ormai “ultra”? La Sardegna può ripartire dal basso. Son 13 anni ormai che si parla di una Costituente generale per la riscrittura dello Statuto autonomistico. Da sinistra e destra la “fottuta” paura del richiamo da Roma, o quella ancor più prosaica del cedere il potere ad elementi esterni al palazzo, ha impedito che un progetto piccolo quanto piccoli siamo, e immenso per cultura, potesse essere varato.

Il progetto di un nuovo Statuto, per i tanti che credono che le forme siano, e seguiranno essendo, sostanza, non si basa su principi rivendicativi o presunte epopee ed età dell’oro -ergo provincialismi che allontanano dal quotidiano, dal creato e vissuto sui territori, dalla Storia insomma-, ma sull’idea che possa essere un momento di elaborazione collettiva da metter contro le spinte centralistiche che la nazione italiana sta rielaborando, e contro un continente che pare non accorgersi, a dirla coi nostri nonni, che le vendemmie acino ad acino si fanno. In pratica, contro una burocrazia finanziaria che, culturalmente (davvero!) pare non riesca a vedere dell’insieme di mezzo miliardo di persone una somma di diversità.

Assemblea costituente significherebbe non tanto dare voce, ché a gridare tutti sono buoni, al disagio, quanto porre nuove linee di demarcazione e contrattare nuovi ulteriori margini di movimento, di dialogo, di tutela.

Senza vedere, ma questo è un personalissimo parere, il tutto in un’ottica solamente rivendicativa. La Sardegna prima dell’autonomismo, prima della Repubblica Italiana, cos’era? Demograficamente, economicamente, socialmente, dati alla mano, che cos’era? Ripartiamo dal buono e dal reale, dal bello. E pazienza per il 28 aprile.

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