La pellanda di Mariano d’Arborea: pelliccia di vajo sotto orbace sardo [di Maria Laura Ferru]
Nella Pala di Ottana, opera attribuita al Maestro delle tempere francescane, e al periodo 1339-1344, Mariano di Arborea, ancora donnicello, indossa una pellanda (o polanda), tunica di stoffa scarlatta o “de grana”, foderata di pelliccia di vaio. E’ proprio il vajo, che era nel medioevo pelliccia seconda solo all’ermellino per importanza, rivela l’abito del potente. Cioè a dire che se l’ermellino era per i re, il vajo poteva ben essere per i principi o nobili senza diretta responsabilità di governo com’era all’epoca Mariano d’Arborea: in araldica l’insegna del vajo veniva impiegata per indicare “preminenza di onori dignità ragguardevole e grande nobiltà”. E che ci fosse conoscenza delle leggi dell’araldica in Mariano e nel pittore che lo ritrasse lo rivela il fatto che il dipinto del vajo, nel polittico di Ottana, è fatto coi colori propri dell’arme araldica: pezzi d’argento (cioè bianchi) in campo azzurro. Gli stessi colori che ritroviamo nei vaj dipinti negli affreschi di Bosa: nell’abito di Costantino, nell’abito dei tre vivi che incontrano i tre morti, del re del martirio di san Lorenzo e nella tappezzeria dipinta. Stoffe di vajato, termine che indicava in araldica gli stessi motivi del vajo ma con colori diversi, erano usate in Sardegna ancora a fine secolo XIV ovviamente per ambienti altolocati quali potevano essere quelli della casa dell’arcivescovo di Cagliari. Ma non di solo vajo è composto l’abito di Mariano: sulla pelliccia di vajo risalta la tunica di panno rosso. La produzione locale di panno in epoca medievale è attestata in Sardegna da numerosi documenti pertinenti ai Condaghe di San Nicolò di Trullas e di San Pietro di Silki nei quali risalta la disponibilità che i religiosi avevano di pannu che poteva essere “intintu, albu, llenthu, tenneru” cioè a dire panno colorato, bianco e morbido. Soprattutto il “pannu intintu e tenneru” deve essere chiamato in causa per la tunica di Mariano, chiaramente di lana morbida tinta di rosso. Ma nel Trecento, oltre a quella dei religiosi, prosperava in Sardegna anche l’industria dei laici impegnati nella produzione di panno di lana, l’orbace già detto albache negli Statuti del libero Comune di Sassari e fores nelle cronache riguardanti quei sudditi del regno d’Aragona che avevano approfittato delle condizioni di favore riservate per il ripopolamento della città di Sassari per impiantarvi imprese artigianali. Nel 1330 Alfonso IV aveva emanato precise disposizioni per l’ubicazione nella città degli edifici di lavoro per “tiradors de drap, perayrs y texidors”: stiratori, cardatori e tessitori. Otto anni dopo, nel 1338, Pietro IV aveva concesso a Pietro Egidio “sassarese” il permesso per un mulino per preparare la lana. Tessuti di lana bianca e nera (fores blanch e fores negre) e di mista lana (draps de migia lana), tra gli altri, venivano prodotti nella città a metà secolo circa, come rivelano i beni sequestrati ai ribelli sassaresi coinvolti nelle ribellioni del 1347-52. Con i materiali trattati all’epoca dai tessitori, l’industria sassarese era in grado di fare fronte alle richieste della moda dell’abbigliamento, potendo fornire i panni di lana colorata per tuniche, farsetti e guarnacche (gonella de fores negra…tunicam sardischam panni, farcetum). Tra i colori usati per la colorazione dei filati ottenuti dall’industria locale, il nero, il giallo, il rosso risultano già conosciuti dall’antichità . Per il rosso continuava l’utilizzo della rubia tinctorum alla quale, però, essendo il rosso un colore importantissimo in epoca medievale, si aggiunsero materie tintorie quali il brasil, in polvere di legno, e la grana, ottenuta da escrescenze di piante. Se la materia tintoria proveniva dall’esterno, è però altamente probabile che il panno di lana che costituiva la parte esterna della pellanda di Mariano d’Arborea provenisse dalle industrie locali, produttrici di orbace secondo una tradizione che trovava citazioni documentarie già in epoca romana.
*Esperta di ceramica sarda e perito in argenti antichi
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