Il suicida [di Franco Meloni]

 

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Acqua, acqua dappertutto. Mare che sconfina su terre irrigate da fiumi che sembrano sgorgare da sotto. Canali mossi da non tanto lontane maree. Mulini che cercano di fare ordine tra alto e basso, con la terra possibilmente sopra. Laghi che non iniziano e non finiscono. E se non si vede acqua, piove. La vita qui nei Paesi Bassi è diversa. A fine giugno la Sardegna ha già i morbidi colori dell’ocra e iniziano gli allegri preparativi per infiammare l’estate. In senso vero, naturalmente. L’umorismo non è da balenti. Qui tutto è verde, anche il traffico sembra non avere bisogno di quei colori semaforici che giù nel Dolce Paese vengono considerati consigli e non divieti. Quassù sembra impensabile trasgredire, almeno quello.

Le sculture di Moore sembrano a loro agio sui prati verdissimi e immensi. Il giardino è fuori Antwerpen e bisogna arrivarci a piedi. Lontano, molto, ma per l’Arte questo e altro. Il centro è quasi disabitato. Forse tutti i belgi stanno facendo le valigie per scendere dove fioriscono i limoni o forse pianificano una vacanza con la massima esposizione solare. Qui pioviggina piano. Non è molto fastidioso, almeno per le prime tre ore. Poi si conquista un tavolo in un ristorante vuoto. Cibo sano, la chimica è sotto controllo. Quello che non sembra risentire del disastro alimentare causato da un disinvolto uso di mangimi che un venusiano, ma solo lui, apprezzerebbe, è la birra.

Quantità fluviali che scorrono a tutte le ore. Centinaia di marche con tutte le possibili gradazioni e colori. Effetti collaterali, previsti, rendono i servizi dei locali frequentati come la Città Santa nell’anno del Giubileo. Si passeggia dopo cena, cioè alle otto e mezzo, ancora illuminati da un sole che, poco visibile durante il giorno, vuole farsi perdonare con un extra di permanenza. I colori sono magici. C’è poca gente in giro, lungo il fiume. Ancora meno panchine occupate. Vicino all’argine, sotto alberi che a Cagliari, identici, sembrano tendere le scarne foglie verso gocce d’acqua elargite in quantità omeopatica, si sta veramente bene. Sì, se non fosse per un leggero fastidio che induce a una ricognizione di accoglienti locali dove bilanciare idriche pressioni interne. Mi guardo attorno con fare turistico.

Non ce la faccio più. L’occasione della mia vita. Finalmente, a cinquantatré anni, passo da un impiego banale a uno di grande responsabilità. Invece di essere una parte inutile e statica nella

struttura, posso far vedere quello che valgo. Aline poi, sarebbe stata contentissima. Non è possibile che capitino tutte a me. Qui di bagni, non se ne parla. Magari laggiù, vicino al molo. Vediamo. WC. Dovrebbero essere quelli che conosco io. Forse più puliti, ma dato l’abuso, non è detto. Dietro la porta, buio, non funziona. Chiuso. Che il diavolo se li porti. Sono utili come i cartelli di sosta a Napoli. Ma perché non curano i dettagli? E i turisti? Magari oggi siamo addirittura in trenta. Mostra di Van Dyck e fuga. Così imparo a venire in Belgio.


Certo che non sarebbe stato come prima. Guardia in una stanza con un solo quadro. Il mio compito era evitare che gli amanti dell’arte contaminassero con respiri frementi per la bellezza esposta queste quattro croste che io brucerei. Non ce la faccio più, la faccio finita. La lettera è pronta, vicino a me, tanto nessuno la leggerà. Tutti dovranno sapere che ho deciso io, una volta tanto. Comunque è così. Mi butto di sotto. Sugli scogli. Passo lì davanti. Un salto e fine. Ma perché questo non se ne va? A Venezia, tanti e tanti anni fa, l’ho fatto. Piazza San Marco. Piovigginava, quasi come ora. Tutto bagnato, e lì basta poco. Bar inospitali, servizi per residenti o per chi è tanto ricco che fa provvedere al maggiordomo. L’impermeabile aiutava. Ora non ce l’ho. Non posso esibirmi seduto nella panchina. Magari vicino al varco del muretto. Ma questo cretino non si muove?

Avevo sistemato tutto. Il Direttore era stato chiaro. Dieci video, dieci nastri. Ruotare ogni ora. Preparare tutto per l’inaugurazione alla presenza della creatrice. Una pazza scatenata con vaghe sembianze umane. Avevo segnato con colori e numeri, perfetto. Il museo avrebbe fatto bella figura. Ora è tutto finito. Stop. Non resisterei in altre stanze altri anni, magari a fare la guardia alle scatolette di Manzoni. Un collega mi ha detto che una è esplosa. Appena questo turista dei miei stivali si sposta, un salto e via.

Anche la prima volta che sono venuto qui ho avuto lo stesso problema. Eravamo seduti sulla banchina del porto con le barche sei metri sotto. La marea, favolosa, se non fosse stato per l’interferenza causata dalla Stella Artois. Stavo per liberarmi del problema quando è arrivato il direttore della scuola, DeKaiser, che il diavolo se lo porti. Amene conversazioni sulla dimostrazione dell’esistenza della luna con me attorcigliato per non esplodere. C’era anche la moglie, strabica e insulsa. Ho dovuto aspettare il rientro in albergo per risolvere. Credo che abbiano rifatto parte dei bagni, dopo. Una forza della natura, da Spielberg. Ma perché questo non va a dormire?

È stato un caso, non l’ho fatto apposta. Il tasto cancella non andava toccato, ma che ne so io di queste diavolerie? E poi i video facevano veramente schifo. Donne morte e blatte. Altro che premio e arte. Che vadano a imparare a disegnare, piuttosto. Certo, erano pezzi unici. Ma che ci posso fare? Ho chiuso tutto e domani rideremo. Anzi rideranno, se questo, che a vedere come è conciato deve essere un mangia spaghetti, si toglie di torno.Questo qui ha l’aria dello scemo, chissà che lavoro fa… Sembrano tutti fotocopiati. E come portano i pantaloni sotto l’otre di birra. Se tra un po’ non se ne va, vedrà un’esibizione idraulica. Non resisto più, vado e che l’aborigeno si arrangi. Addio a tutto. Pensa, Aline, invece di lasciarmi per il venditore di scarpe di Vigevano, se fossi restata con me… Addio. Spero che qualcuno piangerà, domani.

Mi avvicino al muretto, l’orgoglio nazionale è vinto. L’indigeno si alza, corre verso di me, scivola sulle bacche cadute da alberi che non hanno mai fruttificato in Sardegna, sbatte la spalla per terra, urla e striscia la faccia per un metro. L’ambulanza arriva subito, come se lo stesse aspettando. Ricomincia a piovere e un fulmine cade vicinissimo, anche troppo. Non amo le scene di pronto intervento, ma mi sembra di sentire che il distratto parli di “letter” con gli occhi sbarrati. Chissà cosa significa, in fiammingo. Volo in albergo in taxi. Il bagno mi sembra molto accogliente. Mi rilasso e accendo per abitudine la Scatola Magica. Non capisco nulla ma le immagini mostrano il museo che ho visitato oggi. Fiamme altissime distruggono con i fumi neri della plastica la sala delle performance. Chissà che perdita…

*Fisico, Università di Cagliari. Narratore

 

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