Il materialismo (a)storico [di Carlo A. Borghi]

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Il benculturalismo universalista e globalista dell’UNESCO confida e pontifica su una categoria culturale che definisce immateriale. Dando corpo a questa balzana definizione l’Ente ha colpito anche in Sardegna. Alla fine del 2013 ha attribuito la sua medaglia di patrimonio dell’umanità alla Faradda della città di Sassari. Patrimonio orale immateriale. La Faradda consiste nella discesa dei cosiddetti candareri, grandi macchine a spalla portate per strada grazie alla baldanza di molti uomini muscolati e allenati alla bisogna.

Ogni candeliere è una alta e grossa colonna di legno che, in quanto cero votivo, rappresenta un gremio o corporazione d’arte e mestieri. Otto candelieri per otto gremi: mercanti, massai, sarti, muratori, calzolai, ortolani, conciatori e pastori. Partono da piazza Castello e corrono quasi a rotta di collo verso la chiesa di Santa Maria in Betlem. Ogni tot i portatori si fermano e fanno danzare il gran candeliere votivo. La Faradda ogni 14 di agosto celebra la fine della peste del 1652.

Cosa c’è di immateriale in una calata dionisiaca resa possibile solo dalla possanza fisica di tanti uomini?! La cultura, anche quella che si fonda sulla devozione popolare e tradizionale, è tutta materiale e materialista. Il popolo canta, applaude, incita e alla fine festeggia con abbondanti libagioni e danze bacchiche. Anche una supplica, una preghiera o un ex voto rivolti a questo o quel santo sono atti materiali e concreti. La cultura è materia prima che fatica, suda, sfama e disseta.

Per l’UNESCO invece tanta parte della cultura incarnata nell’umanità è memorabile in quanto immateriale e incorporea. Sassari ora si ritrova repertoriata in quella categoria immaterialista.

Anche a Cagliari la festa e la processione votiva del 1° maggio intitolata a Sant’Efisio avrà prossimamente lo stesso riconoscimento. L’incartamento benculturalista è già sulle scrivanie dei funzionari dell’UNESCO. Anche in questo caso e da quasi 400 anni, si celebra in pompa magna il caso di una terribile epidemia di peste che mise in ginocchio la città nel 1656. Costumi sardi multicolori provenienti da ogni contrada e villaggio, carri a buoi carichi di bellezze ingioiellate e cavalli bardati a festa sfilano per ore e ore occupando i quartieri storici della città.

Trionfi di dolciumi in pasta di mandorla e di ricotta allietano e confortano decine di migliaia di spettatori. Birra, vino e malvasia scorrono a fiumi. I fumi degli arrosti si alzano verso il cielo oscurando i fumi della vicina città petrolchimica chiamata Saras. Tutto immateriale, compresa la fitta infiorata di petali di rosa che accompagna il passaggio del santo guerriero e martire dioclezianeo. Altrettanto immateriale doveva essere stata la peste epidemica che in quel 1656 si portò via migliaia di corpi di cittadini appestati e affamati dalla carestia.

Quella del 1° maggio è la processione votiva più lunga del Mediterraneo: 40 chilometri di pellegrinaggio dalla città fino a Nora, luogo del martirio del santo e da lì altrettanti 40 chilometri di rientro in città. Del resto Cagliari vanta la spiaggia urbana più lunga dello stesso Mediterraneo: 8 chilometri di Poetto. Tutto immateriale. Tutto trasfigurato.

Tutto fantasmatico. Seguendo quest’ordine delle cose culturali immateriali anche i Promessi Sposi o La Peste di Albert Camus sarebbero esempi di cultura letteraria immateriale e sulfurea. Il materialismo storico si sa cosa è stato e cosa ancora è.

Per l’UNESCO esiste un immaterialismo storico da santificare subito ma solo loro sanno di cosa possa trattarsi. Intanto Madonna pensa a un remake di se stessa: Living in a (im)material world and I am a (im)material girl you know that we are living in a (im)material world and I am a (im)material girl.

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