Welcome to Costa Smeralda [di Umberto Cocco]

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Aprono al pubblico domenica a Olbia, alcune stanze della casa di Mario Cervo, appena dietro via Roma, dove sono stati riorganizzati i materiali di un archivio senza uguali su un secolo di musica sarda. Archivio enorme, grande il personaggio che l’ha messo insieme: lo “zio Mario” morto 17 anni fa, una delle più belle e romantiche figure della storia recente di Olbia, della Gallura. Era un portuale, socialista, un ciclista in gioventù, poi  dirigente sportivo; ha conosciuto la povertà, la fame (il padre morto in un incidente sulla nave nella quale era imbarcato), e ha attinto alla felicità e alla gioia della musica da ragazzino come raccontava, proprio in quella condizione e in quel paesone di carrulanti e raccoglitori di arselle, girando la manovella di un grammofono che una famiglia un pochino più benestante metteva a disposizione delle feste del vicinato.

E poi per una vita l’ha concessa, la musica replicata su nastri e cassette, con generosità e gratuità, a chiunque se ne mostrasse interessato, mentre la continuava a raccogliere, registrando a sua volta gare poetiche, serate di Canto in Re, tirate di ballo alla fisarmonica, le feste e i riti collettivi ma anche molti canti e nenie solitarie di una Gallura dove si confondevano più che distinguersi le lingue, le tradizioni, Corsica e Logudoro, li saldi a sud del Limbara e li gaddhuresi a nord di quel monte simbolico e quante volte cantato…..

Strana coincidenza: Mario Cervo (nato nel 1929) adorava di adorazione pura Gavino De Lunas, cantante di canto in re originario di Padria, un mito nella Sardegna degli anni ’20 e ’30, una voce ineguagliata, ucciso nell’eccidio delle Fosse Ardeatine dai tedeschi dai quali scappava a Roma nel 1944, settant’anni fa, appunto, ecco la coincidenza.

De Lunas (nome d’arte di Gavino Luna) era per Mario Cervo l’origine del canto, l’archetipo, il modello. L’arcaico arrivato al punto della modernità, e della tecnologia che lo perpetua: fu lui il primo cantante sardo tradizionale a incidere dischi, a Milano per l’etichetta “Società Anonima del Grammofono” nel 1930, e nel 1926 è chiamato ad accogliere a Cagliari il re Vittorio Emanuele e la principessa Giovanna, a simulare un matrimonio selargino in costume, anticipatore della folclorizzazione delle tradizioni sarde ma anche della loro diffusione spettacolare e di massa. (C’è sempre un’operazione consapevole delle classi dirigenti urbane, nelle tendenze popolari, nello spontaneo rurale….).

 Guardando a questo modello Mario Cervo fonda nel 1962 con un altro olbiese, Astro Mari, una casa discografica, l’etichetta “Nuraghe”, produce alcuni 45 giri di musica leggera, e poi torna alla musica sarda, così in un pendolare fra generi, autori, con il gusto della scoperta, del lancio di nuovi talenti, della diffusione di voci dei palchi portate alla fruizione in casa, con i dischi, anche al jukebox.

 Fa incidere i primi 45 giri a  Ciccheddu Mannoni di Luogosanto e Mario Scanu di Luras, due grandi cantadores ritrosi e appartati, timoroso soprattutto il primo del rischio che la sua carriera sui palchi possa venire interrotta dalla circolazione dei dischi, intaccate le entrate con le quali integrava il povero salario di maschera del cinema Ariston di Sassari.

Ma sono anche gli anni dell’esplosione della musica leggera radiofonica e televisiva: Astro Mari, da mozzo sulle navi, diventa musicista, autore dei testi di canzoni alcune delle quali interpretate da Gino Latilla e Claudio Villa, mentre da Telti un manovale muratore, Vittorio Inzaina, sbarca a Castrocaro e spopola cantando “Ti vedo dopo messa”, icona televisiva di una stagione, utilissima ad alimentare il sogno della Costa Smeralda che gli uomini dell’Aga Khan stanno cominciando a costruire in quegli anni insieme con le ville di Pantogghja. Cervo se lo viveva intensamente questo tempo della ricostruzione italiana e dell’immissione della Sardegna nei mercati più vasti, senza pregiudizi per i generi musicali, giocando fra tradizione e modernità, senza cedimenti all’ubriacatura per la nascente borgata dei ricchi, se non per quel che serviva alla produzione di una nuova musica dei sardi. Cura tutto con attenzione sorprendente a vederla oggi, le copertine ricche di note precise, poca e nulla retorica.

Uno dei dischi di successo della sua produzione è “Welcome to Costa Smeralda”, di Pino d’Olbia, ma lui, “zio Mario”, è sempre indaffarato nella dimensione popolare di Terranova e della Gallura, fra la sede della Compagnia portuale e le uscite in bicicletta, le feste con il registratore pronto a catturare ogni suono, e perfettamente bilingue (gallurese e logudorese), raffinato nel vestire e nei modi, sempre essenziale, confuso con il popolo mentre mette sù una grande bellissima famiglia che ora apre la casa e l’archivio.

C’è in quelle stanze, così, la memoria più che di un genere di un’epoca, di una decisiva e bruciante stagione della Sardegna: tutto il materiale fonografico edito del repertorio tradizionale sardo registrato fra il 1922 e il 1997. Oltre 6.000 supporti ordinati in 3.500 schede per opera dell’Isre che ha affidato il lavoro a Paolo Angeli, musicista e ricercatore, laurea al Dams di Bologna, tesi su Mario Scanu, e performer d’avanguardia con la sua chitarra trasformata, palaese ora a Barcellona.

Domenica sarà anche una festa, con chissà che canti, che musica. 

 

3 Comments

  1. Maria Luisa Vargiu

    Impossibile non commentare, impossibile non apprezzare e un poco commuoversi per questo bel pezzo di Umberto Cocco.
    Di recente, forse come premio, ho l’ obbligo di ” Name “, di ” Email “.
    Mi adeguo e per ” Welcome to Costa Smeralda ” volentieri invio .

  2. Maddalena Mesina

    “Impossibile non commentare, impossibile non apprezzare e un poco commuoversi…”, condivido con Maria Luisa. Grazie Umberto per il tuo scrivere che è memoria del tempo e affetto per le persone

  3. Aspettiamo gli amici della musica e della cultura Sarda nella nostra casa della musica.

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