Amina e Ghali, due di noi [di Carlo Mannoni]
Per la burocrazia, così freddamente ufficiale, sono solo due numeri: il 288 ed il 289. Per noi sono, invece, Amina e Ghali, una madre e suo figlio. Una madre come tante delle nostre madri: come quella di ciascuno di noi, innanzitutto, unica tra tutte che ci diede la vita, o come la madre dei nostri figli o, ancora, come le tante madri che conosciamo e che dai figli non si separerebbero mai, anche quando essi divengono adulti. Amina aveva cresciuto il piccolo Ghali nel suo seno con un amore particolare: perché sarebbe stato il suo primo figlio e perché era il frutto dell’amore per il suo uomo, Akab, morto poco tempo dopo il germoglio di quella nuova vita nel suo ventre. Una morte violenta in una terra di odi feroci che Amina aveva deciso di lasciare, cercandone una migliore per dare un senso alla morte di Akab ed una speranza alla vita futura di Ghali. Lei aveva voluto dimenticare, pur nel profondo dolore, la morte del suo uomo per dedicarsi solo alla vita del figlio che avrebbe dato alla luce tra poco. Non pensava a se stessa, sebbene ancora ventenne, ma solo a lui, alla creatura che cresceva dentro di lei dandole una speranza di una vita che, ne era sicura, sarebbe stata difficile ma d’ora in poi più sicura e degna di essere vissuta. Salendo sul barcone all’imbrunire di una giornata densa di speranze, la ragazza aveva fatto i calcoli: il bimbo sarebbe nato tra circa due mesi nel “nuovo mondo” che qualcuno le aveva descritto sicuro ed accogliente. Sapeva che all’inizio sarebbe stato difficile, ma dopo qualche tempo, salendo su su per l’Europa, avrebbe trovato una terra ad accoglierla definitivamente. Avrebbe imparato la lingua di un popolo lontano ed appreso un mestiere e Ghali, ed è ciò che per lei contava di più, sarebbe stato cittadino di una nuova terra di pace e di civiltà. Pensava a tutto ciò, Amina, quando al termine della lunga attraversata sul mare Ghali le disse, col linguaggio fatto dal dolore e dagli spasmi che precedono il parto, che era quello e solo quello il momento in cui lui avrebbe visto la luce. Amina lottò per allontanare il dolore ed il pensiero che lo accompagnava: no, nella stiva di una barca non sarebbe accaduto. Tra centinaia di persone con pochi centimetri a disposizione e dove appena si riusciva a respirare no, non sarebbe dovuto accadere. Pregò allora Akab di aiutare lei e il piccolo e, soprattutto, invocò il suo dio. Ghali sentì l’inconfondibile “tum tum” del cuore materno accelerare e farsi sempre più impetuoso e sussultante sino a quasi a divenire tuono: Amina si era accorta che la barca che avrebbe dovuto portarla a toccare l’opposta sponda del Mediterraneo stava affondando. Disse ancora no al suo dio, perché la terra era li a pochi metri e questo non poteva accadere. In un attimo vide disperata la tanto desiderata vita futura, sua e di Ghali, sfuggirle via per sempre. Ma d’un tratto, dopo quegli attimi di terrore e di smarrimento, non ebbe più paura. Pensò con un amore smisurato alla creatura che stava per nascere ed assecondò con la forza del suo corpo il desiderio di vita del piccolo. Ghali nacque come tutti i bimbi del mondo lanciando acuti strilli di vita, ma nessuno lo sentì o si curò di lui. Non c’erano luci, non c’erano medici, non c’erano culle intorno a lui ma solo un buio profondissimo. Amina lo raccolse e lo tenne caldo sul suo petto. Poi lo ripulì alla meglio e accarezzò ogni parte di quel corpicino caldo e tremante. Lo vide non con gli occhi, come aveva sempre pensato e desiderato, ma con la mente attraverso le sensazioni che le sue mani le trasmettevano. Intorno solo buio profondo e urla disperate. Lo sentì piangere e respirare forte e col calore del suo petto lo rese calmo. In quel buio Ghali pensò di essere ancora nel ventre della sua giovane mamma. Non c’era più, però, il conosciuto ‘tum tum” del cuore materno che lo aveva rassicurato in ogni momento in quei mesi in cui da piccolo germoglio si era trasformato quasi in un bimbetto scalciante. Sentiva anche freddo e quel liquido che aveva cominciato ad avvolgerlo era assai meno gradevole di quello sconosciuto sino a pochi minuti prima. Amina capì in quei momenti che la terra alla quale si erano avvicinati sin quasi a toccarla non solo non li avrebbe mai accolti ma addirittura li respingeva sdegnata. Strinse allora ancora più forte a se Ghali e mandò un ultimo pensiero alla sua terra, al suo Akab e a quell’altro mondo lontano che non avrebbe mai incontrato. Poi ci fu il buio definitivo. Li hanno recuperati, a 50 metri di profondità, nelle acque di Lampedusa. Amina e Ghali, due come noi, come le nostre madri, come le mamme dei nostri figli, come i nostri figli stessi. Amina ancóra abbracciata al suo fagottino ed entrambi uniti, per sempre, dal cordone ombelicale.
|