Sospetti su Prometeo [di Nicolò Migheli]
Chi compie ricerca scientifica si lamenta di non essere compreso dal pubblico che di quegli studi dovrebbe esserne il beneficiario. Bastano campagne di stampa critiche, a volte anche denigratorie, per distruggere anni di sacrifici ed impegno. Spesso si dà la colpa alla mancanza di cultura scientifica in Italia, carenza a cui non si sottraggono anche molti giornalisti. Meno Croce e più Prigogine verrebbe da dire. In realtà la diffidenza non è solo una prerogativa italiana. Gli Usa, il paese a più alto tasso di ricerca scientifica e tecnologica, vedono il proliferare di ampi movimenti anti scienza, tanto che è possibile nei programmi scolastici di alcuni stati chiedere l’abbandono delle teorie evoluzionistiche a favore di quelle creazioniste. Il problema non è nuovo. La positività assoluta del progresso scientifico è morta nelle trincee della I Guerra Mondiale quando i gas asfissianti fecero centinaia di migliaia di vittime. Gli antiparassitari in uso in agricoltura sono i discendenti di quelle terribili miscele. Così come Hiroshima fece scoprire all’uomo la possibilità di autocancellarsi dalla faccia della Terra. La materializzazione di queste paure ha in Faust e Frankenstein le due figure simbolo. Il primo, è l’archetipo del genio liberato che l’apprendista stregone non riesce a controllare, il secondo è la sfida a leggi immutabili che creano quello che non può esistere: il morto vivente. Lo stesso mito di Prometeo ha in sé il premio e la condanna. Il furto del fuoco viene punito con l’incatenamento alla roccia e con l’aquila che si nutre del fegato dell’eroe, la sede dell’ardimento. Un richiamo alla cautela che nessuna razionalità riesce a togliere dall’immaginario degli occidentali contemporanei. La branca della scienza in cui la diffidenza raggiunge il massimo è quello delle tecnologie genetiche applicate al cibo, indipendentemente dal loro valore positivo o negativo; facciano bene o male. Sugli OGM in medicina e farmacologia vi è un pregiudizio favorevole, appartengono ad un settore che è sempre stato specialistico dagli stregoni in poi. Il farmaco chimico o anche biologico è accettato dai pazienti – esistono però molte resistenze da parte di minoranze- lo sperimentano quotidianamente ed ogni giorno verificano la guarigione. Gli alimenti GM, toccano una esperienza ed un bisogno primordiale: la ricerca del cibo e la sua paura, il disgusto. Il disgusto,- a parte il suo aspetto culturale: non mangio insetti perché non appartengono alla mia tradizione alimentare e quindi mi fanno orrore- è una tendenza istintiva, condivisa anche con molte specie animali, per cui sia i cibi amari, associati al veleno, quelli acidi , segno di putrefazione, quelli contaminati da materie fecali, provocano repulsione perché istintivamente percepiti come pericolosi. Allo stesso modo probabilmente vi è una rifiuto per i cibi GM che nessuna razionalità potrà mai combattere. L’assunzione del cibo tocca non solo aspetti culturali, ma agisce nel profondo, è l’unico modo per la sopravivenza dell’individuo e della specie. Una responsabilità che va oltre i destini personali. Nel caso dei GM. la credenza che sia l’ala di Faust e di Frankenstein che si materializzano in un biscotto. Questo aspetto pare ben compreso alle multinazionali che producono sementi transgeniche. che agiscono perché il loro uso non compaia in etichetta. Allo stesso tempo nessuna campagna informativa o pubblicitaria sui giornali per controbattere le posizioni dei contrari. Monsanto e soci hanno una potenza finanziaria superiore al PIL di molti paesi, ma solo frazioni infinitesimali dei loro bilanci vengono destinate a convincere i consumatori. Loro sanno bene che la nostra capacità di giudizio oggettivo è inversamente proporzionale al nostro coinvolgimento. In letteratura è citato il caso del difensore della libertà di possesso delle armi che tendeva a dare giudizi oggettivi su argomenti a lui lontani, ma che giunto alle domande sulle armi sbagliò coscientemente il test pur di non affermare tesi che contraddicevano le sue convinzioni. Ecco perché le imprese di settore preferiscono agire sui meccanismi legislativi con le lobby oppure finanziare centri di ricerca, nella speranza che il professore o ricercatore famoso spieghi la bontà e non pericolosità di quei cibi. Una lotta che si gioca sulla frontiera della ragione, non riuscendo ad intervenire sul profondo. Ecco perché la scelta vincente, per loro, è stata quella di destinare le sementi GM all’alimentazione animale, una via traversa per imporli al consumo umano, dando così l’impressione che il cibo di tutti i giorni fosse eguale a se stesso. In realtà, bisogna ammetterlo, anche il cibo convenzionale è ben diverso da quello che mangiavano i nostri nonni. Il sospetto che molti centri di ricerca siano dei nuovi Faust è ormai credenza diffusa. Che essi agiscano secondo il principio del: “ Se si può fare si farà”, indipendentemente dalle conseguenze. È vero che la ricerca nei paesi occidentali è sottoposta a precise regole e protocolli etici, però si ha la sensazione che percorsi molto specialistici facciano perdere la percezione della complessità. Che ogni passo compiuto possa incidere in ambiti considerati marginali, che poi si rivelano sostanziali. Bisognerebbe tornare alle enunciazioni di Ilya Prigogine e Edgard Morin sull’approccio complesso alle realtà scientifiche. Perché ciò avvenga forse è necessario inserire nella formazione dei ricercatori l’epistemologia, la storia della filosofia e la filosofia morale. Un ampliamento delle conoscenze sull’ambito delle dottrine umane si rende necessario. Prometeo non sarà per questo meno ambiguo, ma nella consapevolezza dei ricercatori il principio di precauzione non sarà solo imposto da un regolamento ma diverrà comportamento interiorizzato. I limiti ci sono perché debbano essere superati, ma, a volte, non superarli è meglio. |
Gent.mo Nicolò,
nelle nostre scuole di dottorato (ad es. Agraria a Sassari) l’epistemologia, la storia della filosofia e la filosofia morale vengono insegnate da anni. Credo che però sia parimenti necessario che gli umanisti che parlano di scienza siano obbligati a farsi qualche anno in un centro di ricerca, così magari capirebbero qualcosa in più del metodo scientifico e vedrebbero come il principio di precauzione sia ben chiaro a tutti i ricercatori, che hanno mamme e figli e senso di responsabilità come e più di tutti gli altri esseri umani. Mi pare che invece il principio di precauzione sia spesso usato per impedire su basi ideologiche l’uso di prodotti, come gli OGM, sulla cui sicurezza è ormai difficile avere dubbi. Abbiamo sin troppi umanisti e giuristi che pontificano e legiferano su cose che non conoscono. Poi, quello che la gente comune crede sulla ricerca dipende molto da cosa gli si racconta, come dimostrato dal fatto che in altre nazioni vicende come quella di Stamina o di Di Bella sarebbero impossibili.
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Gentile Antonello,
la ringrazio del suo commento. In questi giorni abbiamo avuto occasione in altra sede di dibattere su questi argomenti. Non ho mai, come non ho fatto nell’articolo qui sopra, messo in dubbio l’onestà intellettuale dei ricercatori. Il principio di precauzione, previsto nei regolamenti e nei codici deontologici, non sempre viene seguito. A volte il desiderio di ricerca porta a superare limiti che non si dovrebbero superare. Le ricordo il caso olandese del virus sviluppato partendo dal A/h5n1 dell’aviaria, dal ricercatore Ron Fourchier nell’Erasmus Medical Centre di Rotterdam, nel 2011. Un virus che se diffuso potrebbe uccidere la metà della popolazione mondiale. Fourchier e i suoi avrebbero voluto pubblicare i risultati sulle riviste scientifiche ma furono bloccati dagli americani per il rischio di dare in mano al terrorismo un’arma totale. In questo caso evidentemente il principio di cautela, e tantomeno il principio di responsabilità non ha funzionato. Non lo so, ma immagino che anche Fourchier e i suoi abbiano mogli, figli, parenti ed amici. Tutto ciò non li ha minimamente bloccati. Quanto agli OGM, nell’articolo non prendevo nessuna posizione anche se la mia è nota. In quel contesto mi interessava di più tentare di capire i meccanismi psicologici che agiscono nel rifiuto. Sono d’accordo con lei che più cultura scientifica è necessaria non solo a giornalisti ed opinionisti ma a tutti i cittadini, visto che viviamo in un ambiente permeato di scienza. Allo stesso tempo per i ricercatori scientifici avere conoscenze che affrontino le grandi questioni del pensiero dell’uomo, non sarebbe male. Tramite una rapida ricerca nel web non sono riuscito a trovare i programmi di dottorato di Agraria di Sassari, ho trovato però quelli di Bologna e purtroppo non vi è traccia dei temi che lei sottolineava.