Un dovere da compiere, anche in esilio [di Federico Dessì]

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Abd el Aziz è un uomo sopra la cinquantina, basso e corpulento, con due grandi baffi grigi e il volto abbronzato dal sole. Affabile e cortese, non riesce a parlare senza sorridere. Quando arriva l’autocisterna che trasporta l’acqua nel suo settore del campo, sopra la collina, lui appare all’improvviso e comincia a girare a destra e a sinistra per sorvegliare che tutto proceda bene.

La questione dell’acqua è un punto spinoso per tutti i rifugiati, soprattutto in primavera e in estate: “Ci sono dei problemi con l’acqua. Il numero di rifugiati è più grande che la capacità del governo del Kurdistan. I responsabili portano una grande quantità d’acqua, ma ci sono troppe persone”.
Abd el Aziz è curdo siriano e viene da un villaggio vicino a Qamishli, nella regione nord-orientale della Siria. Nell’estate del 2012 ha deciso di cercare rifugio nel Kurdistan iracheno e si è installato nel campo di rifugiati di Domiz. A quell’epoca il campo era ancora piccolo; ma nel corso del 2013 è cresciuto fino a diventare un’enorme tendopoli con più di 50,000 rifugiati…

Per la sua età e per il fatto di non aver trovato altro lavoro fuori da Domiz, Abd el Aziz è stato eletto presidente di settore dai suoi compagni rifugiati. È diventato quindi il punto di contatto tra la gente e la direzione del campo. Se qualcuno ha un problema – ad esempio gli manca il sale o lo zucchero, o non ha ricevuto i suoi buoni alimentari – lui lo segnala alla direzione. Durante l’inverno, Abd el Aziz ha organizzato un gruppo di uomini per fare il giro del settore e spazzare via la neve dai teloni delle tende.

Nella stagione calda, si interessa della distribuzione dell’acqua, della raccolta delle immondizie e si attiva contro la comparsa di un parassita per il quale i rifugiati hanno richiesto delle medicine. Ci parla con una punta di amarezza delle celebrazioni per il Ramadan: “Alla fine del mese di digiuno, come facevamo in Siria, organizziamo delle feste, soprattutto per i bambini… distribuiamo dei dolci ai bambini. Ma le persone hanno il cuore spezzato. Nessuno si rallegra. Chi ha perduto la sua casa, chi ha perduto i suoi figli, non riesce a festeggiare.”

Abd el Aziz però si rallegra nel vedere che gli abitanti del settore si aiutano gli uni con gli altri. I giovani hanno la possibilità di lavorare fuori dal campo. La loro situazione, per quanto scomoda e spartana, è meno dura di quella dei rifugiati negli altri paesi. E lui è contento del nuovo ruolo che ha dovuto assumere in questo frangente difficile: “Quando riesco ad aiutare una persona, provo dell’orgoglio. Se lui è soddisfatto del mio aiuto, anch’io mi sento soddisfatto. Mi sento sereno e tranquillo, sono soddisfatto degli sforzi fatti per dargli una mano”

*Focus on Syria – Stories and news on the humanitarian crisis in Syria
Nella foto il campo profughi di Domiz, nel Kurdistan iracheno

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