I due manoscritti (II) [di Raffaele Deidda]

inuraghe

La prima parte del racconto è stata pubblicato in data 13 giugno (http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/3358)
L’aereo che lo portava da Londra al Cairo rullava nell’interminabile pista di decollo di Heathrow. Gavino non riusciva a calmarsi, troppo forti le emozioni delle ultime ventiquattro ore. Gli sembrava che anche il battito del polso fosse instabile. A decollo avvenuto aprì il tavolino davanti a se e mise i due manoscritti a confronto. Pareva che le coincidenze ci fossero tutte. Il manoscritto acquistato dal povero William rappresentava percorsi labirintici, quello lasciatogli dal padre ne costituiva la chiave di lettura. Si concentrò nei simboli e nei segni e prese a tratteggiare ipotesi di percorso che però, man mano che procedeva, apparivano sempre più intricate. La delusione cominciava a leggerglisi sul viso.

Sollevò lo sguardo e incrociò quello sorridente della sua vicina di posto. Una ragazza carina, occhi scuri e una gran massa di capelli neri ricci, che disse: “Non avevo mai visto tanto accanimento nel cercare di risolvere un rebus. Dev’essere molto complicato”. “Si, abbastanza”, rispose Gavino con poca cordialità, rimproverandosi di non aver saputo resistere alla tentazione di aver esposto i manoscritti alla vista degli impiccioni. “Posso aiutarti?”, chiese la ragazza. “Non mi sono portata nulla da leggere e poi sono molto brava nel risolvere i rebus dei labirinti, sai”. Il cuore di Gavino cominciò a tumultuare ma riuscì a dire: “No grazie, voglio fare da solo”. “Ma dai, ti danno forse un premio se lo risolvi da solo?”. Qualche ora dopo, nel bagno femminile dell’aeroporto del Cairo una bella ragazza dai lunghi capelli ricci veniva trovata morta, strangolata da una sciarpa di lana e seta.

Gavino aveva lasciato il bagno tremante come una foglia. Non avrebbe potuto sopportare l’idea che la ragazza potesse scoprire l’ingresso di uno dei maggiori tesori del mondo. Era stato costretto ad ucciderla. Un demone terribile si era impadronito di lui e gli imponeva di eliminare chiunque potesse interferire con la sua missione. Uscì dall’aeroporto col viso bagnato di lacrime e di sudore, chiamò un taxi. “All’hotel Osiris!”, disse al conducente. L’albergo era confortevole, di buon livello e soprattutto era in pieno centro, come lui voleva. Controllò accuratamente che nella camera non vi fossero delle telecamere nascoste e che la serratura della porta fosse efficiente. Sedette alla scrivania e riprese a tracciare percorsi servendosi dei manoscritti. Era notte tarda quando si rese conto di aver fatto forse dei passi avanti ma di essere ancora lontano dalla soluzione. Gli indizi lo portavano alla piramide di Cheope ma non capiva dove, in quale specifico punto.

L’indomani mattina alle nove era all’Università. “Buon giorno, mi chiamo Gavino Martis e sono qui per una ricerca sugli Shardana in Egitto. C’è qualcuno che può aiutarmi?”, domandò all’anziana segretaria del Dipartimento di Storia Egiziana. “Certo”, rispose gentilmente la donna, lanciandogli uno sguardo languido. “Il professor Muhammad è un grande esperto della materia. Sa, è allievo del professor Murtarak”. Nel sentire quel nome Gavino trasalì: Murtarak, il probabile assassino del padre. “Venga, l’accompagno dal professore”, disse la segretaria.

Muhammad era un uomo alto e grosso. Salutò Gavino molto cordialmente e poi domandò: “Lei vorrebbe fare questa interessante ricerca. Posso sapere chi è il collega che gliel’ha assegnata?” Gavino ebbe un attimo di panico. Non aveva previsto una simile domanda, ma reagì prontamente: “Oh, probabilmente lei non lo conosce, si chiama Gonzales. E’ stato il mio professore di Egittologia all’Università di Londra. Ora però è tornato a vivere nel suo Messico e credo sia in pensione. Mi ha assegnato questa ricerca quando ha visto il mio interesse particolare, in quanto sardo, per la materia”.

“Mi complimento col professor Gonzales, il tema degli Shardana è solitamente poco considerato dagli egittologi. Mi dica, le ha consigliato di circoscrivere la ricerca ad un periodo ramesside particolare?” “Si, mi ha suggerito di approfondire il periodo di Ramses V, dove le tracce degli Shardana sono più evidenti, e di visitare attentamente la piramide di Cheope perché potrebbe rivelare ancora delle particolarità non emerse”.

Muhammad lo guardò sorridendo e disse: “Il nostro amico faraone era un grande amante dei veleni, che amava sperimentare sugli uomini. Mi sa che qualche suo antico avo Shardana ne ha fatto le spese. Keops fece realizzare nella piramide moltissime trappole contenenti gas velenosi che non lasciano scampo quando se ne viene a contatto. “Cioè… se qualcuno volesse accedere in qualche parte della piramide finora inviolata…” sussurrò Gavino, non accorgendosi di pensare a voce alta. “Quasi sicuramente morirebbe avvelenato. Per fortuna nessuno ha mai trovato le famigerate sale inviolate, nonostante le numerose esplorazioni che sono state realizzate”, rispose il professore.

Gavino rischiò: “Professore, le risulta che una delle sale inviolate possa essere quella degli Shardana? In ogni caso immagino sia impossibile trovarla”. “Impossibile forse no, anche se è da molti decenni che proseguono le esplorazioni infruttuose in quel labirinto che è la piramide di Cheope. Credo non sia impossibile ricostruire una mappa dei labirinti, ma ad oggi nessuno ci è riuscito. Lei non ha idea di quanti tentativi siano stati fatti. A volte ho la sensazione che ciò che è passato misterico sia meglio per tutti che non venga scoperto e conosciuto”, rispose il professore.

Gavino si sentiva eccitato, pensando con quanto orgoglio suo padre si sarebbe compiaciuto del buon lavoro che stava facendo. Il professor Muhammad aveva detto che non era impossibile realizzare una mappa completa della piramide per una persona esperta nella lettura di geroglifici e di simboli, laddove questi esistessero. Suo padre l’aveva istruito in questo fin da ragazzo, confidando che sarebbe stato il suo unico figlio a proseguire la ricerca della sua vita. Se qualcuno poteva decodificare il sistema labirintico della piramide di Cheope quello era proprio lui, Gavino.

 

 

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