Marconi: l’idea da Nobel a diciannove anni [di Guido Pegna]
Centoquarant’anni fa, nel 1874, nasceva Guglielmo Marconi e centoventi anni fa la radio. La cosa straordinaria e credo unica nella storia è che il lavoro che gli fruttò il premio Nobel nel 1909 “a riconoscimento del contributo dato allo sviluppo della telegrafia senza fili”1, fu iniziato dal ragazzo quando aveva solamente 17 anni e giunse a perfezione quando ne aveva meno di venti! La vita da adulto di Marconi è stata quella prestigiosa di un grande imprenditore internazionale che ha saputo far fruttare al massimo i suoi ritrovati. Audace e bravissimo organizzatore ebbe alti e bassi, fu vittima di scandali, divenne oggetto di attenzione in tutto il mondo, dovette difendere la priorità delle sue invenzioni in alcuni complicati processi. All’età di 20 anni Marconi fondò a Londra la Marconi Wireless Telegraph Co. Fu nominato marchese, fu presidente dell’Accademia d’Italia; gli furono conferite innumerevoli lauree honoris causa; divenne immensamente ricco. Una legge dello stato impose che in ogni comune d’Italia vi sia una via o un corso a lui intitolato. Il giorno della sua morte, nel 1937, tutte le stazioni radio del mondo tacquero per due minuti. Egli è stato certamente l’italiano più conosciuto di tutti i tempi, più di Leonardo, più di Galileo, più di Colombo; forse alla pari con Luciano Pavarotti. Ho avuto modo di studiare a fondo tutto ciò che portò il giovane a quel risultato; in modo particolare ricostruendo i dispositivi e gli apparecchi che materialmente costruì, perfezionò, sbagliò, rifece con infinita pazienza e tremenda testardaggine nella soffitta della villa paterna a Pontecchio, vicino a Bologna, ripetendone tutti i tentativi e rivivendo successi, delusioni, attimi di esaltazione. Questa è la parte più interessante della incredibile avventura, molto poco nota. Cercherò di raccontarla in questo articolo. Occorre riportarsi allo stato della scienza e alle tecnologie disponibili nel 1892. La scoperta delle onde elettromagnetiche, il modo di produrle in laboratorio e le loro proprietà erano conosciute da una diecina di anni2. Non esisteva la corrente elettrica distribuita in tutte le case come la abbiamo oggi, e quindi non esistevano neanche le lampadine elettriche, gli interruttori, e nemmeno i fili elettrici isolati, nulla di ciò che è ora facilmente disponibile. Il ragazzo non aveva seguito studi regolari e non arrivò mai a un diploma, ma a Livorno aveva frequentato per un po’ l’istituto tecnico dove aiutava un docente, il professor Rosa, nella sistemazione del laboratorio e nella preparazione delle esperienze per gli alunni. Era magro, solitario, nelle fotografie appare triste. Fino da quando aveva diciassette anni trafficava a piccole invenzioni con pile, molle, ingranaggi. Poi costruì un apparecchietto che faceva suonare un campanello elettrico a distanza, e questo fu l’inizio della grande idea. Per avere l’energia elettrica necessaria per questi esperimenti doveva costruire le pile, e questo significava inventare modi pratici per fondere grossi elettrodi di zinco, preparare soluzioni molto aggressive di acido solforico e bicromato di potassio, in tutto un lavorio sporco e pericoloso con secchi -la plastica non esisteva -, recipienti di vetro da lavare dopo averli usati, imbuti, tubi di gomma come in un antico laboratorio di alchimia. Lavorava da solo, spesso fino a tarda ora alla luce delle lanterne a petrolio, nel freddo della soffitta. Il padre era preoccupato, la madre piena di comprensione. Per la generazione delle onde elettromagnetiche per mezzo delle scintille elettriche, come aveva fatto Hertz e come faceva correntemente il professor Righi a Bologna, per le quali è necessario produrre una tensione di diecine o centinaia di migliaia di volt, era riuscito a convincere il padre a comperargli un meraviglioso rocchetto di Ruhmkorff, che a quel tempo costava come oggi un’automobile. Per molti anni in tutto il mondo quello fu il cuore dei trasmettitori di radiotelegrafia di uso pratico. Per la ricezione occorreva un dispositivo che influenzato dai deboli segnali delle onde elettromagnetiche producesse un effetto elettrico utilizzabile, per esempio azionare una macchina telegrafica scrivente come quelle in uso da tempo nella telegrafia Morse via filo. Temistocle Calzecchi-Onesti, un professore di fisica di un liceo classico di Fermo, una diecina di anni prima aveva scoperto che le polveri metalliche sotto l’influenza delle onde elettromagnetiche generate nelle vicinanze da una scintilla diventano buone conduttrici della corrente elettrica. Aveva pubblicato questa scoperta su “Il Nuovo Cimento” e aveva chiamato “coesore” un rudimentale dispositivo basato su questo fenomeno. Il ragazzo fece la scelta giusta, quella di usare il coesore come cuore del suo sistema di ricezione. Iniziò ora un lunghissimo periodo nel quale dovette imparare a lavorare il vetro, a fare le saldature vetro-metallo, a fare il vuoto con una pompa a caduta di mercurio di sua invenzione, costruendo centinaia di coesori, perfezionandoli a poco a poco fino a renderli sensibilissimi e affidabili. Il suo coesore o coherer è un piccolo tubetto di vetro di quattro millimetri di diametro con due elettrodi di argento fra i quali vi è pochissima limatura di una miscela di nikel e argento e in cui viene fatto il vuoto3. Man mano che provava i coherer che andava costruendo, ognuno dei quali gli costava almeno un giorno di lavoro, si accorse che la distanza di ricezione delle onde generate dal rocchetto di Ruhmkorff era maggiore se prolungava i due elettrodi fra i quali scoccava la scintilla con dei fili collegati a corpi conduttori di dimensioni sempre più grandi, e se faceva la stessa cosa con i due elettrodi del coherer. Arrivò a collegare uno dei due elettrodi a lamiere ricavate da grandi latte di petrolio fissate in giardino in cima a un palo e l’altro elettrodo alla terra, realizzando così, non si sa se consapevolmente o per pura intuizione, il “metodo della carica immagine”4 noto in elettrostatica, secondo il quale è come se all’altro elettrodo fosse collegata simmetricamente una identica lamiera virtuale. Questa è una vera scoperta, la più importante fatta da Marconi: quella del sistema antenna-terra. Per la prima volta si aveva un filo che non serviva a portare la corrente da un punto A a un punto B, ma finiva per aria senza essere collegato a nulla! Da quel momento ogni sistema di trasmissione e ricezione radio fa uso di un’antenna. Il seguito della incredibile avventura personale e scientifica che iniziò in questo modo è reperibile ovunque. Resta questo unicum: un ragazzo senza una istruzione strutturata che a meno di vent’anni realizza una delle più grandi invenzioni della storia e per essa merita il Premio Nobel. Quali doti lo avevano portato a questo risultato? Oltre alla tremenda capacità di lavoro e di concentrazione su un’unica idea, credo che fosse dotato di concretezza, buon senso, abilità manuale, conoscenza dei materiali, cose che si raggiungono solamente con un esercizio pratico continuo su oggetti e problemi reali. Sorge spontaneo un dubbio: non sarà questa nostra scuola e questa istruzione scolastica a inibire nei giovani tali capacità? Non sarà questa la causa dello scarso ruolo internazionale del nostro paese nella tecnologia, dello scarso numero di brevetti, dei deludenti risultati scolastici nelle materie scientifiche, dell’insufficiente numero di laureati in discipline scientifiche e tecniche? *Fisico, Università di Cagliari. Narratore **Nella foto. Soffitta come la lasciò Marconi nel 1895. 1. La motivazione è pilatesca. Il Nobel fu condiviso con il fisico Carl Ferdinand Braun (1850-1918) che, successivamente all’invenzione di Marconi, aveva elaborato un sistema non dissimile adottato in Germania (sistema Braun-Siemens, 1901) |
Grazie, per me vecchio radioamatore è affascinante e commovente leggere una ricostruzione così efficace e commovente di una somma manifestazione dell’ingegno umano. La portata antropologica successiva della caparbia intelligenza di quel ragazzo apparentemente “triste”, credo che oggi sfugga ancora ai più. Complimenti.
Grazie del commento, Salvatore. Mi ha fatto piacere condividere l’ammirazione e la meraviglia per quello che fece questo ragazzo, purtroppo poco condivise per mancanza di conoscenza, credo.