Per un Art Bonus più efficace [di Andrea Carandini]
Spaventosa voglia di rinascita della cultura italiana: dalla lingua parlata, scritta, stampata e su schermo – troppo abusata – alla lingua dei luoghi rappresentata da paesaggi, abitati e monumenti – anch’essa violentata. Sono queste due lingue a distinguerci come Italiani dal resto del mondo. Un tempo abbiamo svolto il ruolo di massimo laboratorio dell’umanità: facevamo tutto, lo facevamo bene e bello e lo trapiantavamo ovunque. Oggi altre civiltà sono in migliori condizioni per fare le cose più comuni, ma noi restiamo il Paese dove più luoghi, cose e creazioni speciali ancora esistono per tradizione e si producono ogni giorno per dare utilità e felicità agli uomini nel globo intero. Purtroppo continuiamo a immaginarci invece come un paese qualunque, ma qualche segno di riguardo per l’unica missione universale che ancora potremmo svolgere e per la quale potremmo ancora primeggiare comincia a manifestarsi, seppure in modo ancora troppo parziale. Basti un esempio, per cominciare: la divaricazione che esiste tra la Roma della Chiesa e la Roma dello Stato, la prima in rinascita spirituale, mentre la rinascita civica della seconda fatica a emergere, seppure con segni di buona volontà, in particolare sul lascito degli antichi tra Campidoglio e via Appia. Spaventosa voglia di fulcri sui quali far leva per creare un sistema culturale basato su una idea liberal-democratica di bene comune, fondato finalmente sull’intera Repubblica, come Costituzione vuole, quindi su una chiara sussidiarietà verticale tra Stato e Enti Locali – purtroppo nessun Piano paesistico e stato approvato, da due generazioni! – e su un’altrettanto chiara sussidiarietà orizzontale tra le suddette istituzioni e le libere associazioni, le imprese e i singoli cittadini. L’attuale governo è il primo che non appaia sbilanciato su un privatismo anarchico o su uno statalismo burocratico e che stia profilando una missione e visione pubblica atta a coinvolgere tutta la Repubblica, lasciando cadere vizi egoistici e sterili virtù. Non è saggio immaginare miracoli. Abbiamo subìto tagli micidiali, come al nostro Ministero della cultura, protestando; ma prima avevamo sperperato gonfiando mostruosamente e non sempre vantaggiosamente la spesa pubblica, restando zitti. Spetta quindi a tutti l’onere della ripresa, perché tutti siamo stati, in diversa misura, responsabili di decenni di errori. Ma arduo è ottenere in una democrazia il favore per benefici che si prospettano di medio periodo, specie in un momento di così terribile sofferenza per i giovani; ma se non siamo oggi lungimiranti spezzeremo le gambe ad altri giovani del prossimo futuro. Molto mi piacerebbe un grande New Deal volto a salvare la nostra terra e il suo patrimonio culturale, ma se questo si rivelasse non attuabile – bisognerebbe far pagare le tasse ai tanti evasori, che immediatamente ritirerebbero il loro voto – non resta che una politica di piccoli passi, benvenuti purché rivolti tutti nella giusta direzione, che è quella di una generale cooperazione, dopo tanto reciproco disfarsi. Fermiamoci sul nuovo Art Bonus(DL, 31 maggio2014, 83, art.1), che per i beni pubblici rappresenta un innegabile progresso. Ma possiamo anche dire ch’esso risponde alla nuova idea di bene pubblico sopra auspicata e accolta dallo stesso Governo? A mio avviso no, almeno per il momento. Infatti il provvedimento è indirizzato a favore dei beni culturali pubblici ma non anche a favore dei beni culturali appartenenti a enti privati senza scopo di lucro e aventi finalità di pubblica utilità, ai quali sono dovute le stesse misure di tutela dei beni pubblici. Enti come il FAI sono d’ora in poi svantaggiati notevolmente nell’attirare finanziamenti privati, perché esclusi, per il momento, dalla nuova agevolazione, nonostante l’ acclarato loro ottimo operare. Per rimediare, basterebbe estendere l’agevolazione anche ai beni privati degli enti sul genere del FAI – sono pochi e si trovano fra quelli ammessi al 5 per 1000(DL 35/2005, art.14) -, magari previa una valutazione, anche di merito, da parte del MIBACT. Il FAI gestisce anche beni pubblici, come Villa Gregoriana a Tivoli, e solo in casi come questo potrebbe avvantaggiarsi del nuovo sgravio. Se oggi il FAI ricevesse in dono un monumento privato straordinario, come il Castello di Masino, sarebbe costretto a rifiutarlo, perché difficilmente troverebbe i fondi per restaurarlo, con danno per la collettività. Il paesaggio e il patrimonio storico e artistico costituiscono un bene comune della Nazione che spetta alla Repubblica tutelare e promuovere. Il privato che mantiene la dimora storica conserva un bene giuridicamente privato che però è in sé un pubblico valore, e lo è ancora di più se è aperto al pubblico; altrimenti esso verrebbe mercificato o cadrebbe in rovina, per cui è indispensabile ripristinare le agevolazioni fiscali che il governo Monti ha abolito. Altrettanto beni di pubblico valore sono quelli, pubblici e privati, gestiti da Fondazioni che restaurano, mantengono, dotano di servizi e comunicano monumenti, cioè coprono l’intero arco degli interventi possibili sui beni culturali, magari ottenendo, come il FAI, l’83 per cento della copertura dei costi di gestione con i ricavi dai beni stessi, che potrebbe raggiungere in qualche anno la copertura totale. Svolgono una funzione pubblica anche le aziende private che gestiscono i servizi aggiuntivi, idea bella un tempo e ormai da rivedere. Infatti mentre nei primi due casi di privati la regia degli interventi è unitaria, nel terzo caso il restauro e la manutenzione appaiono scissi dalle altre operazioni, immaginate appunto come “aggiuntive”, mentre gestione e comunicazione rappresentano il cuore della valorizzazione. Tutela e valorizzazione sono facce di una unica medaglia e una faccia, quella che guadagna, deve aiutare l’altra, che da essa può trarre sostentamento, in particolare la essenzialissima manutenzione ordinaria. E’ fondamentale intendere che dal restauro fino alla partecipazione di un pubblico vario – curiosi di storia e di arte, bambini, amanti della natura e del moto all’aperto – sono attività tutte interrelate dal punto di vista culturale, sociale ed economico. Culturale, perché non sono solamente le cose a interessare – come in una ristretta visione patrimonialistica – quanto le voci degli avi che da esse promanano, che vanno percepite, tradotte e trasmesse ai viventi, in una relazione produttiva dal punto di vista della salute mentale e della pienezza dell’essere. Sociale ed economica, perche la partecipazione numerosa di cittadini e di ospiti stranieri al dialogo umano a cavallo dei millenni è la base più sicura e giusta per rendere ogni gestione sostenibile, vicina il più possibile al pareggio. Sempre meno tasse dovrebbero essere prelevate per il mantenimento dei beni e sempre più esso dovrebbe essere garantito dal consenso degli utenti a un servizio culturale apprezzato. Perché dunque non aprire una condivisione delle diverse esperienze, onde reciprocamente apprendere, scegliendo le pratiche migliori a partire, non da principi astratti, ma dai risultati concreti? Se in una democrazia è essenziale il dibattito, perché solo in esso le verità reciprocamente si completano e gli errori si elidono – nessuno detiene la verità in toto, al contrario di quanto hanno creduto religioni, assolutismi e dittature – altrettanto lo è per la cultura condividere esperienze diverse tra Stato e Enti locali e società civile organizzata, capaci finalmente di riconoscersi e di cooperare, in un unico sistema di civiltà rivolto ai tessuti linguistico e paesaggistico, unitari e continui, della nostra Repubblica. Armiamoci e partiamo, però finalmente tutti insieme. *Presidente Nazionale del FAI |