Cooperazione allo sviluppo. Può contribuire ad evitare le tragedie di Lampedusa? [di Sergio Vacca]
Amina e Ghali, due di noi. E’ il titolo di un “articolo toccante e molto umano”, come lo ha definito una cara amica che ha avuto modo di leggerlo. Scritto da una penna sensibile come quella di Carlo Mannoni, mi sento di definirlo non solo coinvolgente, ma soprattutto un invito a riflettere su una tragedia, che è, a sua volta, la sintesi tragica di tante tragedie personali, ma anche di popoli. Donne, bambine e uomini che fuggono da situazioni terrificanti. Che fuggono dalla povertà. Che fuggono dalle guerre. Che fuggono dalle ingiustizie. Fuggono e, nella loro fuga, nella loro strada dolorosa, sono preda di sciacalli. Devono, nella loro fuga dalle loro tragedie, superare innumerevoli ostacoli. Il mare tra questi. All’arrivo – se le circostanze meteo-marine lo permettono – trovano un’accoglienza sospettosa. Scadente. In una nazione di grandi emigrazioni come la nostra, sono, ex lege, considerati delinquenti. Donne, bambini e uomini, in una terra che dovrebbe accoglierli umanamente, se non altro per quanto hanno dovuto patire nel loro viaggio della speranza, ricevono burocraticamente un avviso di garanzia. E vengono proiettati, senza alcuna difesa, nel girone infernale della “giustizia” della “civilissima” Italia. Altrimenti, la grande tragedia della scomparsa in mare. Non vi sono statistiche, ma le stime parlano di migliaia di morti. Il Mediterraneo è il più grande cimitero del mondo. La classe politica di questo paese gioca, da molti anni a questa parte, il proprio ruolo sulla pelle di questi poveri esseri umani. Su queste tragedie sono nate fortune politiche. Interi schieramenti, anche in modo molto volgare, oltreché privo di umanità, producono leggi razziste e forcaiole che, non solo non si sono rivelate in grado di risolvere il problema dell’immigrazione in Europa, attraverso la sua frontiera sud, ossia il Mediterraneo e quindi l’Italia, ma hanno favorito la crescita di una delinquenza internazionale che vive esclusivamente sulle disgrazie altrui. Le mafie, variamente denominate, vera internazionale del crimine, prosperano su quella che è la moderna tratta degli schiavi. Ma anche stati ed i loro governi corrotti hanno prosperato sulla tratta degli schiavi. A tutti i livelli della catena di governo, fino all’ultimo doganiere o poliziotto. Alte sono state le grida di dolore di tanta gente che, di fronte a questa ultima – solo in ordine di tempo – tragedia, ha cominciato a comprenderne la dimensione apocalittica. Alti ed autorevoli sono stati i pronunciamenti di Papa Francesco, di Napolitano e di molti altri personaggi pubblici. Ma miserevoli e oscene, al contempo, sono state le prese di posizione di alcune cosiddette forze politiche. Di una di queste, le espressioni del loro leader hanno svelato un bieco, opportunistico e miserando calcolo politico, quando ha richiamato – pensando d’avere a che fare con delle marionette – i propri sedicenti “cittadini” parlamentari che avevano avuto l’ardire di presentare una proposta di abolizione del reato di ingresso clandestino in Italia. Anche l’Europa – buona ultima – ha compreso che, non solo non può trascurare questo grandissimo e gravissimo problema, ma che si rende necessario ed urgente modificare la legislazione comunitaria in materia. Sia, rendendo di responsabilità comune l’accoglimento dei migranti in qualsiasi parte dell’Unione essi entrino, attraverso la modifica del Trattato di Lisbona. Sia nel creare una normativa comune a tutti gli stati membri, che sia impegnativa per ciascuno di essi. Dopo la visita degli esponenti comunitari e governativi italiani a Lampedusa, sono state proposte alcune soluzioni tampone mirate ad evitare che si ripetano tragedie simili a quella di una settimana fa. Una di queste, l’intensificazione dei controlli navali. Ma anche lo stabilire seri rapporti – non certo del tipo di quelli instaurati tra il governo Berlusconi e la Libia di Gheddafi – nel caso in specie dell’Europa, tra l’Unione e le nazioni dalle quali – letteralmente – fuggono i migranti. Viene proposta la creazione di uffici ad hoc, forniti delle necessarie guarentigie diplomatiche, che permettano il trasferimento nell’UE con vie ordinarie, e con tutti i documenti necessari, dei migranti altrimenti in fuga. Soluzioni che, tuttavia, lasciano intatti i problemi alla radice. Le guerre. La fame. Le ingiustizie. Molti studiosi di politica internazionale, come pure molte organizzazioni, suggeriscono da anni l’intensificazione di processi di cooperazione. Cooperazione economica, cooperazione educativa, in primo luogo. Un recente studio dell’Unicef International, nei riguardi della formazione femminile, ha evidenziato che l’aumento del livello di scolarizzazione primaria e secondaria dell’1% a livello mondiale, porterebbe ad un aumento del PIL dei paesi in via di sviluppo dello 0,3%. Cifre – evidentemente – da verificare, ma sintomatiche di un miglioramento potenziale delle condizioni economico-sociali. Nella premessa della tesi di dottorato di ricerca di un cittadino afgano presso l’Università di Sassari, peraltro, nel suo paese, ricercatore all’Università di Herat, è evidenziato come, nonostante il perenne stato di belligeranza di quel paese, gli interventi internazionali hanno determinato una crescita del livello di scolarizzazione, particolarmente femminile, di oltre nove volte rispetto al periodo in cui vigeva il regime dei Talebani. A cui – tuttavia, non esiste una correlazione statisticamente significativa – sembrerebbe essere conseguito un altrettanto significativo aumento del PIL nazionale. Cooperazione ha molti aspetti, non tutti eticamente proponibili, ma ha, alla base di tutto, il dialogo tra una potenza economica – anche se non politica – come l’Europa ed i paesi che necessitano di assistenza. Banalmente anche nel campo della sanitarizzazione delle acque, che porterebbe ad una drastica diminuzione della mortalità infantile. Ma sarebbe anche l’occasione per la riduzione delle crisi che spesso sfociano in eventi bellici. Contribuire a creare condizioni di vita più dignitose sotto i profili sanitario, economico e sociale. Questo è l’imperativo categorico dell’impegno che l’Unione ed i singoli stati membri devono produrre per diminuire e, nel tempo, evitare che tragedie come quella di Lampedusa abbiano a ripetersi. *Professore di Scienza del Suolo Università degli Studi di Sassari |
articolo serio e consapevole di una persona sensibile e preparata riguardo ai problemi presi in esame . Le cose da fare sarebbero realizzabili se non ci fosse tanta corruzione e gioco di interessi intorno alle tragedie individuali ed umane
Sono perfettamente d’accordo su quanto proposto da prof Vacca;
per evitare nuove tragedie sul mare non basta intensificare i controlli, ma l’unica soluzione capace di porre fine a tanta carneficina è la cooperazione economica, culturale e sociale da parte dei paesi più sviluppati a favore dei meno abbienti, metterli in condizione di crescere e svilupparsi, così da evitare di fuggire dai loro paesi mettendo a rischio la propria vita. Una campagna umanitaria internazionale di sensibilità e solidarietà umana verso chi è nato penalizzato da tanti fattori politici e geografici.