I due manoscritti (III) [di Raffaele Deidda]

Cheope

Terza parte. Le precedenti sono state pubblicate in data 13 giugno e 16 giugno.
Gavino si sentiva soddisfatto e pieno di entusiasmo. Il professor Muhammad l’aveva preso in simpatia e gli aveva consentito di consultare a suo piacimento i materiali della biblioteca del Dipartimento. Scelse il tavolo più grande, dove posò antiche mappe stellari, scritti di esploratori, disegni di tecnica costruttiva delle piramidi e manuali di Egittologia. Dalla sua borsa tirò fuori una pila di fogli millimetrati, matite e gomme da cancellare.

I manoscritti no, li teneva chiusi nella borsa e solo ogni tanto li apriva sotto il tavolo, facendo attenzione a che nessuno potesse vederli.Si rese presto conto di quanto arduo fosse il lavoro che aveva intrapreso. Il più delle volte lasciava la biblioteca dopo l’orario di chiusura solo perché invitato a farlo dagli usceri. In albergo poi continuava a lavorare sui labirinti, aiutandosi con gli elaborati realizzati. Dopo sei giorni si era sorpreso a pensare come lui, giovane elegante e atletico, fosse diventato un topo da biblioteca dall’aspetto trasandato. Solo raramente il suo pensiero tornava angosciato a William e a Janet, i due ragazzi che aveva ucciso. La sua missione era però troppo importante, non poteva lasciare spazio ai rimorsi.

La notte che riuscì a risolvere il rebus del labirinto pianse di emozione. Ora gli restava da scoprire l’ubicazione della sala inviolata degli Shardana. Ci vollero altri tre giorni trascorsi febbrilmente nella biblioteca ma alla fine, con la sovrapposizione e l’intersecazione dei grafici e dei disegni che aveva messo insieme, pensò di avere la ragionevole certezza di averla individuata. Aveva esplorato e poi scartato tantissimi percorsi senza uscita all’interno della grande piramide, arrivando ad individuare tre ampi spazi. Uno dei tre poteva ospitare la sala inviolata. Quasi si morse le labbra per non urlare di felicità, tese i muscoli preoccupato che qualcuno dei presenti potesse notare che aveva trovato quello che stava cercando da giorni con tanto accanimento.

Restituì tutti i libri e le mappe che aveva richiesto in visione. La bibliotecaria, notando che lasciava l’abituale postazione prima del solito, gli domandò sorridente: “Ha finalmente trovato quello che cercava?”. “No, è che mi sono stancato di cercare”, rispose prontamente tornando a maledire la sua mancanza di precauzione. Avrebbe dovuto far finta di consultare altri testi che deviassero l’attenzione dalle sue ricerche. L’indomani di buonora noleggiò la miglior jeep disponibile dove caricò le attrezzature che avrebbe portato con se. Fra queste una torcia da minatore, alcuni grimaldelli e un piede di porco. “Non si sa mai”, si disse.

Dal parcheggio dell’hotel partì in direzione del deserto. Una volta in vista della piramide cercò un posto dove la jeep sarebbe stata poco visibile. La parcheggiò e si avviò a piedi in direzione dell’ingresso che aveva visto sulle carte. Era un ingresso secondario e non vigilato, vi accedette senza problemi. Sentiva il cuore battere a mille mentre seguiva il percorso disegnato nel suo taccuino, consapevole che un qualunque passo falso l’avrebbe fatalmente portato a perdersi nella labirintica costruzione.

Salì su delle scale, discese da altre, sempre attentissimo al grafico che aveva realizzato. Era confortato dai segnali che incontrava durante il percorso, geroglifici che sembravano confermargli di essere sulla strada giusta. Emozionato e carico di speranza discese i gradini della scala che, secondo il suo grafico, era l’ultima prima di arrivare alla sala del trono. Si trovò all’improvviso di fronte ad una grandissima parete completamente ricoperta d’iscrizioni, non previste e indecifrabili.

La prima reazione fu di disperazione, lacrime di delusione e di rabbia sgorgarono dai suoi occhi. “Non può essere, non può finire così!”, urlò. Si stava asciugando le lacrime quando vide la feritoia nella parete. Sopra recava incisa la scritta “SHRDN”, la stessa della Stele di Nora! Eccitato, cercò di infilarvi la mano, ma era troppo stretta. Poi, il flash. Estrasse dallo zaino il manoscritto acquistato da William e lo inserì nella fessura. Sospirò, il suo corpo tremava, le ginocchia sbattevano fra di loro, sentiva che le mani non avevano presa. Doveva stare più calmo, più concentrato.

All’improvviso avvertì una piccola ma dolorosa fitta nel pollice destro e gli sembrò che un liquido spesso cominciasse a percorrere le sue vene. Il veleno di Keops! Sentiva montare la nausea sempre più insopportabile e vomitò. Gli faceva male lo stomaco, la testa e la schiena, e si sentiva sempre più debole. Si accorse che gli si stava annebbiando la vista e si disperò. Con sforzo sovrumano riuscì ad accostarsi alla feritoia e mosse il manoscritto verso destra. Un’altra terribile fitta lo lasciò tramortito.

Pur stremato, riuscì a muovere il manoscritto verso sinistra prima di accasciarsi a terra. Improvvisamente udì il rumore di un antico meccanismo che si attivava. Un rombo inquietante precedette l’apertura della parete che andò a scomparire in un incavo. Riuscì a puntare la torcia e illuminò la grande sala che ora appariva ai suoi occhi. Le pareti erano tappezzate di vetri che riflettevano dei tavoli intarsiati d’oro, sopra i quali erano posati vassoi colmi di diamanti e di altre pietre preziose. Facendo appello alle pur minime energie residue riuscì ad alzarsi e tentò di avanzare verso la sala del tesoro.
Una voce lo fermò: “Grazie di aver fatto questo per noi”. Gavino si girò lentamente e si trovò di fronte due uomini. Uno di questi era il professor Muhammad. L’altro lo riconobbe dalle fotografie che suo padre gli aveva mostrat: era il professor Murtarak. Vide una pistola che mirava alla sua testa. L’ultima cosa che udì fu uno sparo.

(http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/3358- http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/3389)

 

 

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