San Raffaele: le domande a cui nessuno risponde [di Alessandro Spano]

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Il caso del S. Raffaele a Olbia sta suscitando grande attenzione anche oltre i confini della Sardegna, come testimoniato dall’articolo sul Corriere della Sera del 12 giugno scorso a firma di Sergio Rizzo. Nel suo pezzo, Rizzo, sostanzialmente, critica la Regione per presunti stop al progetto, con “liti e veti”, a suo dire ingiustificati e pretestuosi. In particolare, si chiama in causa l’assessore alla Sanità, Arru, reo di voler cercare il pelo nell’uovo e di agire quasi come nume tutelare delle “baronie ospedaliere e della burocrazia locale e politica”.

Le colpe di Arru? Aver posto dei punti fermi all’apertura di nuovi reparti e alla (collegata) chiusura di altri. Sul povero assessore alla sanità della Sardegna, Rizzo scarica anche un pesante fardello: quello di essere la potenziale causa dell’abbandono da parte degli sceicchi non solo della Sardegna ma dell’intera Italia, nel caso in cui non si trovasse un accordo sul S. Raffaele. Ovviamente, sempre secondo Rizzo, il Qatar investe in Sardegna perché è mosso dall’irrefrenabile desiderio di contribuire allo sviluppo sociale ed economico della nostra terra, dopo essere stato sensibilizzato da non meglio precisati rapporti diplomatici degli anni passati.

Se, da un lato, tutti i cittadini sardi sarebbero, sicuramente, contenti, di avere un polo sanitario di eccellenza, dall’altro sorprende che un articolo come quello citato sia basato su una carenza di analisi e su un errore metodologico. In primo luogo, di tutto può essere accusata l’attuale Giunta regionale tranne che di non aver sostenuto il progetto del S. Raffaele. Il Presidente Pigliaru, in prima persona, si è speso a favore di questo investimento.

Ciò che colpisce nell’analisi presentata dal Corriere è che si siano omessi alcuni dati fondamentali, per comprendere l’impatto che tale investimento può avere sulla sanità sarda. La Sardegna soffre da anni un profondo disavanzo delle aziende sanitarie. Secondo la Corte dei Conti (Relazione sul rendiconto della RAS per il 2012), la perdita netta di esercizio è pari a 265,5 mln € nel 2009, a 272,8 mln € nel 2010 e la perdita presunta per l’anno 2011 era di circa 268 mln €. Sempre la Corte, rilevava nel 2012 problemi legati all’elevato numero dei posti letto (pur in diminuzione rispetto al passato), criticità con le liste d’attesa, con la spesa farmaceutica e ritardi nel processo di accreditamento delle strutture private e pubbliche. Si aggiunga che vi è stato un aumento della spesa sanitaria regionale, cresciuta dello 0,7% tra il 2011 e il 2012 e di ben l’8,7% se si considera il periodo 2008-2012 (fonte: Rapporto Crenos 2014).

Insomma, un quadro abbastanza difficile, che non appare sensibilmente migliorato nonostante alcuni interventi effettuati negli ultimi anni. E’ in questo quadro che si colloca l’errore metodologico che grava sull’articolo, riferito al fatto che si commenta un investimento singolo, senza notare che, come osservato dalla stessa Corte dei Conti, non esiste un piano sanitario e si è in assenza di una riorganizzazione della rete ospedaliera e di assistenza territoriale. Come è possibile che si decida di attribuire 250 (o 280 secondo il Corriere) posti letto al S. Raffaele senza aver definito cosa succederà nel resto della Regione? Bene fa l’assessore Arru a chiedere chiarimenti e a fissare alcuni principi che devono essere rispettati, soprattutto perché ciò comporterà un impegno per la Regione di circa 100 mln € l’anno.

La decisione di un investimento di questa rilevanza ha effetti su due importanti aspetti, da un lato sui servizi offerti, dall’altro sul costo di tali servizi. Per quanto riguarda i servizi, se il nuovo ospedale sarà, effettivamente, in grado di erogare più servizi di migliori qualità, ciò sarà sicuramente positivo. Ma per valutare ciò occorrerebbe conoscere i dettagli dell’accordo tra RAS e investitori, al momento non disponibile. Un accordo di queste dimensioni ha un effetto significativo sull’intero assetto del servizio sanitario regionale.

Di fatto, o i servizi che saranno offerti coprono un vuoto attualmente presente (cioè, sono servizi mancanti), oppure si tratta di servizi con maggiore efficienza e qualità e che, quindi, auspicabilmente sostituiranno quelli di minore qualità e erogati con minore efficienza. Ciò implicherebbe la razionalizzazione dell’intero sistema sanitario regionale (= chiusura di alcuni ospedali) e/o la riduzione dei posti letto gestiti dai privati.

Quali ospedali saranno chiusi o ridimensionati?
Quali reparti e quali specialità subiranno importanti modifiche?
Inoltre, vi è il rischio che gli altri soggetti privati che operano nella sanità in Sardegna rivendichino maggiori tetti di spesa con un aumento complessivo della spesa sanitaria?
E’ troppo chiedere di conoscere questi aspetti?

Speriamo che l’assessore Arru e l’intera Giunta regionale approfondiscano adeguatamente questi aspetti, facciano un’attenta pianificazione e la rendano pubblica, prima di legarsi mani e piedi ad investitori stranieri.

*Professore associato di Economia aziendale/ docente di Economia della pubblica amministrazione
**Sardegna Possibile.com

One Comment

  1. Francesco Deledda

    Caro professore, come sa meglio di me la sanità assorbe un bella fetta del bilancio della Ras pur non riuscendo a garantire una qualità totale dei servizi discreta.
    Come ha scritto occorre quanto prima realizzare un piano sanitario con una programmazione minima di almeno 5 anni.

    E’ utile aprire un nuovo ospedale che non offre nessun nuovo servizio?
    è utile costruire e aprire un nuovo ospedale e nello stesso tempo dismettere i presidi sanitari dislocati in tutto il territorio?

    Prima di aprire nuovi reparti occorre valutare attenatamente cosa c è e cosa manca in Sardegna, quali servizi non sono ancora offerti…il rapporto crenos di qualche anno fa parlava di una spesa minima di circa 60 milioni per le cure fuori Sardegna.
    Nella stesura del piano sanitario, con il riordino delle strutture, occorre valutare anche la costituzione del nostro territorio.
    Non è pensabile lasciare intere zone (seppur a basso incidenza demografica) senza un presidio ospedaliero.

    Saluti
    Francesco

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