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Il dipinto di Giorgione, «I tre filosofi» (1506-1508) sembra riassumere le tesi di questa pagina: un grande episodio della nostra migliore tradizione artistica, il paesaggio come sfondo necessario, l’utilità della pratica filosofica.
Gloriosi Stati generali della cultura, alla terza edizione – indetti giovedì dal più importante giornale economico del Paese – dove per la prima volta due ministri, Dario Franceschini della Cultura e Stefania Giannini dell’Istruzione e della Ricerca ci hanno fatto percepire un primo zefiro di rinascita.
Varie buone notizie, tra cui spiccano l’Art Bonus e una ripresa degli insegnamenti della Storia dell’arte e della musica. In prima battuta l’Art Bonus poteva riguardare solo i beni pubblici; così in primo luogo non poteva che essere. C’è però da sperare in uno sviluppo, ove si capirà che lo stato giuridico del bene è irrilevante rispetto al suo appartenere al bene comune da salvare, e che se non si danno vantaggi fiscali al privato non profit, come il Fai e una manciata di altri enti simili, essi rischiano la sopravvivenza per una condizione di inedita disparità. Esemplare è il caso del Teatro di Marcello trasformato in Palazzo, che fino a una certa altezza è dello Stato, più su è del Comune e in cima è di privati, pur formando un unico e inestricabile monumento.
Come che sia, va espressa gratitudine ai due ministri che per la prima volta varano una ripresa e una visione. Sull’Art Bonus sono già intervenuto domenica scorsa e proprio in occasione degli Stati generali. Questa domenica vorrei esprimere una idea sull’insegnamento della Storia dell’arte nelle scuole.
Questa materia è stata vista per lo più come una collezione di capolavori mobili attraverso i millenni, nell’ottica idealistica – del tutto superata – di «poesia e non poesia», che non è però quella della nostra Costituzione, che tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico (non storico-artistico) della Nazione. Il paesaggio rappresenta l’insieme sistematico del Paese, che equivale alla lingua per gli occhi che distingue gli Italiani dagli altri popoli del mondo. Esso è la summa di ogni nostra topografia e stratigrafia. Il patrimonio storico e artistico rappresenta invece quell’insieme di singole coltivazioni, costruzioni, cose e usanze, che vanno – detto con l’accetta – dai prodotti artigianali in serie come edifici comuni e arti applicate (quanto trascurati!) – da studiarsi con metodo tipologico – ai capolavori architettonici e artistici – da studiarsi con metodo stratigrafico, formale e iconografico (va prestata molta attenzione ai contenuti, perché ormai pochi conoscono miti classici, Bibbia e Vangeli).
Insomma, serve una storia dell’arte che affronti, oltre allo stile, i significati e i contesti, che sono, questi ultimi, come tante scatole una nell’altra, dall’arredo di una stanza fino al paesaggio e al suo cielo. È questo insieme che pare infinito di fulcri e di sistemi – in cui rientrano archivi, biblioteche e strumenti musicali con tutta la musica – di cui occorre riprendere coscienza, perché siamo come molluschi che hanno dimenticato la conchiglia. Servono allo scopo insegnanti appassionati, che prestino attenzione a dettagli di beni storici come un torchio, un mulino, un abito e una ricetta, che sappiano distinguere quantità e qualità, fino alle somme vette dello stile e soprattutto che sappiano vedere questi insiemi di usi e di costumi, di architetture e di arti, di utilità e di fantasie come parti di un peculiare e irripetibile concatenarsi di civiltà, i cui centri di gravità sono stati gruppi particolari di valori – pagani, cristiani, industriali e post-industriali – fino al grande paesaggio-ambiente (quest’ultimo, l’aspetto naturalistico del paesaggio), che ogni cosa comprende per quanto attiene al vedere, al pari della lingua che i nostri pensieri include.
Una tale figura d’insegnante può essere un archeologo, un archivista, un antropologo, uno storico dell’arte, uno storico dell’architettura, un urbanista… Ciò che conta è quel «tutto si tiene» di opere della fatica, dell’ingegno e del genio, la cui conoscenza porterà finalmente gli Italiani ad amare l’Italia come amano se stessi, salvaguardando, lavorando e creando nei propri piccoli ambiti e nei più ampi comprensori territoriali delle comunità. Se poi, come i medici si formano nei policlinici, avremo anche dei policlinici per i beni culturali – uno dei quali magari impiantato a Pompei in manutenzione programmata – dove si possano apprendere i mestieri culturali e le capacità organizzative, informatiche e comunicative necessarie per dar valore ai beni del sapere; e se poi il Paese decidesse di investire sui giovani migliori per la vocazione dell’Italia alla civiltà e alla qualità, ecco che già sentiremmo la tonda pietra rotolare, la fetida palude prosciugarsi sotto i piedi e noi stessi elevarci nel risorgere, come siamo risorti dopo fascismo, guerra e distruzione. E un’opera non di ripristino di vecchiumi ma di innovazione!
STATI GENERALI
Gli Stati generali della cultura, organizzati da questo giornale e giunti alla terza edizione sulla scorta del Manifesto per la Cultura pubblicato due anni fa, si sono svolti giovedì a Roma. Tra gli interventi, quelli dei ministri della Cultura Dario Franceschini e dell’Istruzione Stefania Giannini, che hanno annunciato una serie di novità che segnano il cambiamento del clima politico nei confronti della cultura di cui abbiamo dato ampio resoconto sul Sole 24 Ore dei giorni scorsi. In ogni caso, tutta la giornata è riascoltabile e visibile sul sito www.ilsole24ore.com.
Con gli interventi di oggi, Andrea Carandini, Armando Massarenti, il direttore Roberto Napoletano e, nelle pagine centrali, Emmanuele F.M. Emanuele, Francesco Lorenzoni, Silvia Bernardi e Giunio Luzzatto formulano nuove proposte.
*Il Sole 24 ore, 22/ 06/2014
**Presidente nazionale FAI (Fondo Ambiente Italiano).
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