Post e Trans: il nuovo che avanza [di Carla Deplano]
I prefissi post e trans indicano un superamento radicato in un passato recente troppo pesante per essere amato. La natura istrionica, provocatoria e spesso apocalittica del linguaggio artistico Post Human, iniziato negli anni ’90 e maturato negli anni duemila accanto alla letteratura e alla filmografia distopica cyberpunk, anticipa di poco il clima estetico che la dottrina filosofica contemporanea nota come Postumanesimo o Transumanismo definisce più che altro in termini progressisti ed entusiastici. Attingendo qua e là al pensiero di Bacone, Campanella, Condorcet, Nietzsche, Marinetti, Huxley, Monod, quest’ultima fase positivista propugna, in opposizione al nichilismo postmoderno, un nuovo concetto di umanità derivante dall’ibridazione con forme non-umane attraverso l’impiego della biotecnologia e dell’ingegneria genetica. Nel tentativo di riempire il vuoto esistenziale alla ricerca di nuove definizioni dell’Io, il corpo, simbolo di seduzione e bellezza eppure luogo di malattie, angosce e processi degenerativi, diventa lo strumento più adatto per descrivere le metamorfosi della psicologia umana e di un’identità sempre più vacillante. All’interno dell’immaginario onirico Post Human, oggetti e soggetti della vita di tutti i giorni appaiono trasfigurati con un’intensità psicologica e surreale che trasforma la percezione della loro pura presenza all’interno di ambienti neutri in un’esperienza inquietante e disturbante volta a rimettere in discussione i limiti e le potenzialità fisiche e psichiche del corpo. Maurizio Cattelan, Charles Ray e Ron Mueck descrivono stati emotivi particolari che generano una sensazione di straniamento e di distorsione percettiva attraverso l’alterazione delle dimensioni delle figure e dell’insieme di parametri fisico-spaziali, in una realtà artificiale che destabilizza le nostre certezze e in cui ciò che si dà per scontato diventa “altro. Spesso ci troviamo di fronte ad assemblaggi satirici caratterizzati da una bestialità e da un’artificialità disumane; per il visionario Matthew Barney la mutazione del corpo è al centro di un’immaginazione che trasforma l’umanità in qualcosa di eccezionale: attraverso la metafora dell’embrione, l’artista stravolge i tessuti mettendo in scena con un senso di misteriosa animalità le metamorfosi, le mutazioni genetiche e i passaggi di stato della materia. Cindy Sherman sfida il tempo e il processo di invecchiamento dei tessuti ricorrendo ad un lifting costante che trasforma l’artista performer in una maschera grottesca continuamente alterata che la priva di una fisionomia identitaria denunciando, così, molte nevrosi della società contemporanea dovute all’inseguimento ossessivo della perfezione e al tentativo di arrestare dei processi pressoché inesorabili. Allo stesso modo, la “mutante” Orlan si fa modificare chirurgicamente i connotati con performance seguibili via satellite per assomigliare, di volta in volta, ad innumerevoli personaggi di ritratti celebri (da Venere a Monna Lisa) alla ricerca di un ideale di bellezza perennemente rinnovato. Jenny Saville si fa fotografare nuda su lastre di vetro dove, per effetto di gravità, appare mostruosamente deformata come in seguito ad un esperimento i cui esiti sono analizzabili dal pubblico come su dei vetrini di un laboratorio. Nell’era del doping e della tecnologia pervasiva, il velocista Oscar Pistorius sfida con le sue protesi fantascientifiche i limiti dell’umano troppo umano ricordando l’uomo-macchina futurista di Forme uniche di continuità nello spazio. *Nella foto: Mattew Barney, Cremaster 3, 2002.
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