Gőbekli Tepe: c’era una volta l’Eden [di Carla Deplano]

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Il mito dell’età dell’oro e del Paradiso terrestre deriva dalle credenze orientali tramandate in tradizioni religiose e sapienziali come zoroastrismo, platonismo, ebraismo, gnosticismo, cristianesimo e islamismo.

Nell’E.Din, “dimora dei giusti” dei Sumeri dove non esistono malattie e morte, il dio Enki è condannato ad atroci sofferenze dopo essersi cibato dei frutti degli alberi sacri; per guarire la sua costola viene creata la dea Ninti, il cui nome significa “colei che fa vivere” che, traslato in ebraico, diventa Eva. Gli Egizi ricordano un’età felicissima durante la dominazione del dio Sole, Ra. I Greci e i Romani parlano della mitica età dell’oro e delle terre beate dei regni di Crono e Saturno. I libri sacri dell’India e il Mahbharata celebrano il monte Meru e i quattro fiumi dell’Uttara-Kuru, il Paradiso sacro agli stessi Buddisti. Nelle tradizioni religiose degli Assiri e dei Caldei, in Egitto come in India, in Iran come in Cina sussiste l’idea di uno stato felice perduto, di una terra solcata da quattro fiumi con una fauna ed una flora ricchissime, comunemente collocata in Mesopotamia.

Nel mito paradisiaco ario-semitico si trovano le tracce di un antichissimo culto della natura e nel Paradiso, la cui etimologia significa “orto circondato da un muro”, la raccolta della frutta è un tema ricorrente a livello iconografico, dove l’albero della vita e della conoscenza dispensano i doni dell’immortalità e della sapienza.

A Gőbekli Tepe, sito di culto di cacciatori-raccoglitori della Turchia risalente al Neolitico preceramico, si trova la più antica architettura monumentale della storia dell’umanità, le cui raffigurazioni di animali documentano un culto sciamanico antecedente al pantheon delle divinità sumere e mesopotamiche. L’analisi degli strati di detriti accumulati sul fondo del lago Van dell’Anatolia attesta un profondo mutamento del clima con un aumento della temperatura e delle precipitazioni intorno al 9.500 a. C.

Il cuore della Mezzaluna fertile, il cosiddetto triangolo d’oro solcato da Tigri ed Eufrate – che nella Genesi vengono ricordati come due fiumi dell’Eden – è noto per la ricchezza della fauna e la naturale presenza di campi di grano selvatico. È qui che i Sumeri credono che l’uomo abbia appreso l’agricoltura. Ed è qui che le ricerche archeologiche e genetiche documentano la “rivoluzione neolitica” caratterizzata dalla più antica domesticazione di cereali e bestiame.

Innovazione agricola, sedentarizzazione, stratificazione sociale e proliferazione di riti civili e sacerdotali dimostrano un legame suggestivo tra Eden e agricoltura. I campi dei primi agricoltori devono apparire ai nostri antenati come qualcosa di superiore in termini di qualità della vita ed è assai plausibile che il loro ricordo, tramandato nel tempo, alimenti il mito paradisiaco delle religioni monoteistiche. Quant’è vero che le leggende fioriscono sopra un fondo di verità storica.
*Nella foto: bassorilievo con figure animali, ritrovato nel sito di Gőbekli Tepe (Turchia)

 

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