Se le cose stanno così ci rivolgeremo a Madrid (II) [di Nicolò Migheli]

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In Europa a fine 2014 vi erano state delle importanti novità. Si era verificato “l’allargamento interno” Scozia e Catalogna, a seguito dei referendum erano diventati indipendenti. Nuovi stati europei. Però per evitare che il processo fosse troppo traumatico, che la loro richiesta di adesione alla Ue come nuovi stati venisse bloccata da Spagna e Regno unito, entrambi decisero per la monarchia. Elisabetta II rimaneva regina di Scozia e Felipe VI re di Catalogna. Una separazione consensuale. In Sardegna però era diverso. Essere indipendenti si chiedeva il Presidente? Come facciamo a sopravvivere? Allo stesso tempo però si rendeva conto che non si poteva andare avanti così.

Gli ritornavano in mente le parole di un vecchio politico «Ogni presidente di regione, alla fine del suo mandato è talmente urtato con Roma che diventa, non dico indipendentista, ma di sicuro federalista estremo» Ma la parola federalismo ormai era morta e sepolta. Eppure qualcosa bisognava fare. Uno dei più importanti costituzionalisti italiani, interpellato disse che non vi era nessuno spazio, che bisognava accettare il nuovo corso e coglierne i vantaggi e le opportunità «D’altronde – aggiunse- questa vostra autonomia speciale non è che l’abbiate usata bene, adesso vi conviene fare di necessità virtù» Si prese i suoi centomila euro per la consulenza e se ne tornò a Roma. Il Presidente però non era uomo arrendevole. Ovvero lui avrebbe anche lasciato perdere, ma in giunta e in consiglio lo pressavano, lo tartassavano di richieste.

Il giornale del capoluogo, pubblicava appelli, articoli di fondo, dove si invocava una decisione, mentre la New Island, l’altro giornale, magnificava le sorti della nuova costituzione, della Sardegna e dell’Italia. Il Presidente era sensibile ai richiami di quest’ultimo giornale che era stato sempre in suo favore, esprimeva un pensiero in cui una volta si riconosceva, ora non più. Proprio in quei giorni vi erano state due scoperte importantissime. Monti Prama aveva restituito altre dieci statue imponenti dei Giganti. Due intatte e di rara bellezza. In una piccola biblioteca privata di Londra era stato scoperto un papiro egizio in cui si raccontava la storia degli Shardana e la loro provenienza da un isola chiamata SRD e che questi avevano fondato Siro e Sidone. La notizia era una bomba storica, i fenici eravamo noi. I giornali locali dedicavano pagine su pagine agli eventi.

Il Presidente del Consiglio Bufalmaco Bufalmachi si era precipitato a Cabras in compagnia di alcune sue ministre avvenenti ed aveva annunciato l’interesse di un fondo sovrano del Golfo ad un grande investimento che avrebbe risolto i problemi occupazionali dell’oristanese. Gli arabi avrebbero costruito un museo modernissimo, sarebbe bastato riprendere il progetto del Betile mai realizzato. In compenso ad una concessione centenaria, avrebbero costruito tre alberghi di lusso ed un campo golf sulla riva del mare. L’aeroporto di Fenosu sarebbe stato il luogo d’arrivo dei turisti ricchi da tutto il mondo. Ogni tanto una buona notizia. L’orgoglio dei sardi ne era rafforzato. Bufalmachi si fece alcuni selfie con i Giganti e li pubblico subito su twitter. La twitter politik, era il segreto del giovane premier, garantiva presenza costante e consensi. Essere lì con i Giganti alle spalle era una condizione unica. “Seus totus sardus suba is palas de is gigantis” scrisse o fece scrivere dal suo ufficio stampa.

Lo smart phone si illuminò di nuovo, il Presidente rispose subito. Era Reginald W. Andersen IV dello studio Reginal W. Andersen & son. Prestigioso ufficio legale di Londra specializzato in cause internazionali. Da duecento anni difendevano la corona britannica e l’impero, quando c’era ancora, nei tribunali internazionali. Una potenza del diritto con un palmares di cause vinte senza uguali nel mondo. Sir Reginald l’avvocato, era anche barone di sua maestà e frequentava l’Italia. Castello con vigneto in Chianti, barca a Marina Piccola. Con il Presidente si erano conosciuti in mare ed era sorta una solida amicizia. L’inglese si limitò a poche parole, disse che c’erano novità importanti ma non poteva dirgliele al telefono. Sarebbe stato a Cagliari il giovedì seguente e in quella occasione davanti alla Giunta riunita, avrebbe esposto i risultati di una ricerca per cui aveva ricevuto un incarico dalla Regione.

Al Presidente tornò il buonumore e con esso sparì dalla mente l’incipit di Musil che lo tormentava tutta la mattinata. Dispose una convocazione urgente della Giunta e fece preparare la sala. Il giovedì stabilito Andersen puntuale alle undici del mattino era già nell’ufficio del Presidente. Entrambi si spostarono nella sala delle riunioni. Molti assessori avevano dovuto sospendere o annullare i programmi già in agenda. L’incontro era importante e delicato.

Il Presidente presentò l’ospite anche se non ve n’era bisogno. Tutti sapevano del perché si trovasse lì. Reginald distribuì un fascicolo battuto a macchina, indovinando la sorpresa dei presenti, iniziò a parlare in un ottimo italiano in cui comparivano, di tanto in tanto, dei toscanismi e qualche sardismo frutto delle sue frequentazioni mediterranee. «Gentili signore, distinti signori, vi starete chiedendo perché vi ho dato un documento scritto con un reperto storico, ma le precauzioni non sono mai troppe. Prima ancora che Snowden rivelasse al mondo il meccanismo mondiale delle intercettazioni, noi messi sull’avviso da qualche buon amico, siamo andati in Russia – lì le costruiscono ancora- ed abbiamo acquistato delle macchine da scrivere meccaniche. I documenti scritti così e chiusi in cassaforte non possono essere intercettati da nessuno. Quando i temi sono molto delicati come quello di oggi preferiamo fare così. Vi prego alla fine della riunione di chiudere il documento che vi ho dato in cassaforte e di non far parola con nessuno di quanto ora vi dirò.».

«Custu mi praxidi.» Bofonchiò Ringhio rivolto ad un collega. L’attesa si era fatta pesante. Nel silenzio rotto solo dal brusio dei condizionatori, sir Reginald riprese la parola. Man mano che esponeva il problema, sconcerto e sorpresa si impadronirono dei presenti. Il succo del discorso era che la Sardegna dal 1847 si trovava in una situazione di illegittimità. I Trattati di Utrecht del 1713, quello di Rastadt del 1714, quello di Londra del 1718, con i quali la Sardegna era passata ai Savoia erano chiari. Il governo piemontese non aveva rispettato quelle clausole. Gli usi e costumi dell’isola erano stati stravolti. La Perfetta Fusione del 1847 un inganno, l’avrebbero dovuta dichiarare gli Stamenti ma dal 1720 non erano mai stati riuniti. Poiché i trattati, se non vi è un atto tra i firmatari o vengono impugnati da uno dei contraenti, sono ancora in vigore, il risultato è che la Sardegna ha tutti i diritti per rivolgersi a Vienna e Madrid per vederli rispettati, così come stabilito da quegli accordi settecenteschi.

Sir Reginald trattenne il fiato e poi con molto tatto aggiunse:« Il Regno di Sardegna è ancora vivo, tutti gli atti che lo hanno abolito sono illegittimi- si guardò intorno e misurando le parole aggiunse- ed esiste anche un re, è Felipe VI di Spagna e Catalogna; il titolo di cui si fregia non è onorifico. Lui è vostro re veramente.».

Il Presidente e i suoi assessori passarono dalla incredulità all’euforia. Una somma di emozioni contrastanti li colse, furono colpi di tosse imbarazzati, una assessora chiese che venisse alzata la temperatura dei condizionatori, qualcuno invece sudava e si allentò il nodo della cravatta. «Bolli nai che se le cose stanno così ci rivolgeremo a Madrid e così la cantiamo a cussu balossu de Bufalmacchi» sbottò Ringhio. La battuta fu provvidenziale tutti cominciarono a ridere. Anche sir Reginald, benché non avesse capito del tutto.L’inglese aggiunse che c’erano tutti gli estremi per una causa alla corte internazionale dell’Aia, lui naturalmente l’avrebbe patrocinata, costava un po’ ma per una regione l’impegno era affrontabilissimo. La riunione venne sciolta e non venne redatto nessun verbale. D’altronde era inutile, l’incontro era informale.

L’Anderson e il Presidente si appartarono e sottovoce l’inglese aggiunse: «Bisogna avere appoggi internazionali. Con l’Austria nessun problema, loro stanno già agendo per contrastare la revoca dell’autonomia sudtirolese, con la Spagna ci dovrete parlare voi, io – abbassò ancora di più la voce- non sono qui solo come avvocato, rappresento il governo del Regno unito. La politica inglese, è sempre stata contraria ad un eccesso di potere nel continente europeo, oggi con la crisi francese; il perno forte è l’alleanza tra Italia e Germania, è nel nostro interesse colpire il soggetto più debole, l’Italia, in modo da incrinare quell’asse. Anche la Francia potrebbe essere possibilista, sarà il nostro governo a convincerla. Noi siamo favorevoli ad un vostro distacco, o comunque ad una forma di vostro autogoverno. Adesso sta a voi decidere cosa fare.». (continua)

 

 

 

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