Onorevoli, elicotteri, prime pietre [di Leonardo Mureddu]
Questa è una storia vera di cui sono stato testimone. Data la mia età di allora, mi si scuserà qualche piccola imprecisione cronologica. Ho fatto le scuole elementari a Procida, alla fine degli anni ‘50. Ricordo molto bene quel periodo, anche perché un maestro piuttosto severo e violento ha aiutato a rendere indimenticabili molte delle ore passate in classe. L’edificio scolastico era nuovo allora, con un vasto cortile col pavimento di mattoni rossi dove ogni mattina tutte le classi si riunivano per la cerimonia dell’alzabandiera. La bandiera veniva lentamente issata sull’asta al centro del cortile, mentre un bambino scelto per la voce squillante recitava una preghiera (che vorrei tanto ricordare) che cominciava con “A te Signore…”. Poi si andava in classe. Il Maestro, oltre a essere tale, era anche assessore ai lavori pubblici del Comune, un uomo politico dunque. Fumava una sigaretta dopo l’altra e si faceva portare tanti caffè dalla bidella, in una tazzina di vetro chiusa con un foglietto di carta con quattro cocche. Sembrava molto buono quel caffè. Fumava, beveva caffè e ci menava. Ogni tanto riceveva qualcuno, guardava delle carte, impartiva ordini, ma anche mentre seguiva questi affari ci teneva d’occhio. Zitti e buoni. Un giorno, dopo aver parlottato con un signore in abito nero che evidentemente gli incuteva rispetto, si girò verso di noi e ci annunciò: “costruiremo il secondo piano di questa scuola!” Quel giorno fu una mezza festa. Ci fecero schierare nel cortile come per l’alzabandiera, ma tutti rivolti a un palco. Fermi in piedi, zitti e buoni ad aspettare i pezzi grossi. Fu un vero spettacolo, l’Onorevole arrivò dal cielo con un elicottero che atterrò nel piazzale dall’altra parte dell’edificio, ma facemmo in tempo a vederlo enorme, chiassoso e forsennato a scuotere alberi, fili della luce e i nostri fiocchi. Proprio in quel periodo davano alla TV il telefilm “Avventure in elicottero”: ben sapevo come ci si stava dentro, tra i mille comandi e il frastuono del motore. Mi immaginai un Onorevole coraggioso, pilota di elicotteri. Quando poi lo vidi sul palco, a fianco del Maestro, del Direttore e di altri pezzi grossi, mi deluse un po’: era bassottino, aveva dei baffetti, ed era vestito come tutti gli altri, non come Chuck, il protagonista del telefilm. La visita di Leone fece un grande effetto sul Maestro: da quel giorno cominciò a parlarci di edilizia, cantieri, calce e intonaci, passeggiando avanti e indietro per l’aula, fumando e tossendo. Ogni tanto doveva uscire dall’aula perché arrivavano telefonate da pezzi grossi, sindaco, ingegneri e costruttori. Quando iniziarono i lavori venne chiuso l’ingresso principale della scuola, e tutti noi dovevamo passare, entrare e uscire dal retro. I muratori lavoravano sopra le nostre teste, si sentivano i rumori, pestavano continuamente, cantavano e facevano cigolare le carrucole. Ma le lezioni andavano avanti regolarmente, anzi il Maestro ogni tanto guardava in su, piantato in mezzo all’aula a gambe larghe e mani in tasca, e sorrideva felice. Un giorno, durante una lezione, cominciano a cadere pezzetti di calce dal soffitto: qualche bambino avverte: “prusso’, sta carenn’o suffitte!” Lui guarda in su, giudica, niente di grave, sono solo calcinacci, esce, torna col bidello e con una pertica lunga lunga, cominciano a pestare il soffitto, cadono altri pezzetti, poi uno molto grosso che fa rumore e polvere. “Ecco qua! Ora tutto quello che doveva scendere è sceso” dice soddisfatto. Riprendiamo la lezione come se niente fosse. La mattina dopo, mentre siamo diretti a scuola, ci raggiungono di corsa dei bambini in grembiule, festanti, urlando: “nun c’è scola! È crollata a’scola!” E infatti la scuola era proprio crollata, almeno in parte. Seppi poi che la nostra aula era completamente distrutta, insieme ad altre due o tre di quell’ala. Fu inagibile per tutto l’anno e il successivo, e si fece lezione nel grande locale del refettorio, dall’altra parte del cortile, un capannone rimbombante e freddissimo diviso in classi con pareti di legno a mezza altezza. Da allora ho sempre pensato che certi onorevoli e certe prime pietre fanno crollare le scuole.
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Dimenticavo la postilla: dal giorno del crollo non si fece più l’alzabandiera.