Vicino al cuore (IV) [di Elena Morando]
La prima parte è stata pubblicata il 25 giugno; la seconda il 1 luglio 2014, la terza l’8 luglio 2014. Soggetto e sceneggiatura Premio Solinas storie per il cinema- borsa di studio Claudia Sbarigia 2009. Contributo progetti di sceneggiatura per la produzione di lungometraggi di interesse regionale Annualità 2010 Regione Autonoma della Sardegna. Produzione del film: ©BLUE FILM 2010 di Alessandro Bonifazi e Bruno Tribbioli Viene qui presentato (a puntate) l’intero trattamento, originale e inedito scritto da Elena Morando, di Vicino al cuore, vincitore del Premio Solinas nel 2009 e che, grazie al contributo della Regione Sardegna, diventerà una sceneggiatura e, in seguito, un film, prodotto dalla casa di produzione Blue Film per la regia di Luca Brignone. La Blue Film, con la produzione di questo lungometraggio, intende proseguire l’attività di valorizzazione del territorio regionale sardo iniziata nel 2008 con la realizzazione del film “Beket” di Davide Manuli (ha partecipato a più di 60 festival nazionali e internazionali), nel 2011 con il film “La leggenda di Kaspar Hauser” di Davide Manuli (prodotto con il contributo del MiBAC e della Regione Sardegna) con un cast internazionale: Vincent Gallo, Claudia Gerini, Elisa Sednaoui, Fabrizio Gifuni, Silvia Calderoni e proseguita nel 2012 con il film “Happy Days Motel” regia di Francesca Staasch (prodotto con il contributo di Rai Cinema e della Fondazione Sardegna Film Commission). (NdR). Motivazione della giuria del Premio Solinas 2009: Dentro una scrittura preziosa, prendono forma i bagliori di quattro esistenze femminili, legate le une alle altre dai fili leggeri dell’esistenza che a tratti le avvicina per poi riallontanarle come un puparo con le sue marionette. Ma a quei destini apparentemente già scritti, le quattro donne riescono a sottrarsi, lasciando che i sentimenti li spazzino via come il vento impetuoso spazza le vie di quel paesino ai confini del mondo. L’intarsio delle loro storie, con i suoi colori cangianti, la sua trama nascostamente robusta, porta lentamente alla luce un arazzo mai banale di esistenze femminili (comuni ma non banali). III-MARIA ANA. Maria Ana se ne stava seduta sul gradino della casa della vecchia. Aveva messo lo smalto rosa chiaro sulle unghie e tenendo le mani sulle ginocchia per non rovinare lo smalto , guardava la processione sfilare lenta. In testa al corteo c’era il prete, seguito da un chierichetto che teneva una grande croce di legno in mano un po’ sollevata, il bambino era magro e piccolo, e sotto il peso di quella croce, oscillava, stringendola al petto con forza. Sembrava quasi che il motivo della processione fosse la penitenza di quel bambino, e che se lui si fosse accasciato, nessuno si sarebbe preoccupato di risollevarlo, e invece quella processione era un funerale che sfilava silenzioso, attraversando la piazzetta del paese. Da due giorni Maria Ana non telefonava a casa e non sapeva se le sue figlie fossero tristi per questo motivo, ma sapeva che “il bisogno” era più il suo, un misto tra dovere di madre e reale impellente desiderio di sentire nel corpo, o almeno nella voce, le sue due figlie. Forse loro, a quell’assenza non ci facevano caso e forse, non la aspettavano nemmeno più. Quell’uomo l’aveva risvegliata da un sonno ed ora sentiva che il suo corpo era così adatto per l’amore che non avrebbe più potuto rinunciarci a lungo; era come se un sotterraneo flusso liquido, fresco e caldo insieme, le corresse ora nel corpo, rendendola più viva e giovane. E mentre se ne stava seduta con la faccia rivolta al sole e gli occhi chiusi, capì che se per tutti c’era un momento buono, quello era il suo momento, e che non poteva né doveva rinunciarci. La vecchia intanto, si muoveva per casa, strascicando le solite parole inutili e lamentandosi dei dolori alle gambe, con più convinzione e frequenza del solito; era domenica, e Maria Ana non si sentiva obbligata a darle retta, perché se c’era una cosa sacra per lei, era il suo giorno libero. Così, si alzò in fretta, con il tepore del sole che ancora le scaldava la faccia e andò a cambiarsi, mentre la vecchia la guardava con insistenza dalla sua poltrona in pelle vicino al camino, sembrava che per una sua qualche curiosità sotterranea volesse penetrare i segreti e le bugie di Maria Ana. Le aveva detto che andava a trovare le sue amiche e che non poteva tardare e che la mela per la colazione, gliela aveva lasciata sbucciata nel frigo dalla sera prima, ma lei sembrava non volesse saperne ancora, di fare la colazione con lo yogurt, il pane spezzettato e la mela, e ostinatamente la guardava, con i suoi occhi piccoli e acuti; “bugiarda” le disse infine e a voce alta “sei una bugiarda!” Maria Ana ebbe un tremito e un dolore segreto e pungente cominciò a correrle nelle mani dentro i tendini, si prese le mani doloranti e poi continuò a infilarsi le calze scorrendo il nylon velocemente, la vecchia intanto si era alzata, e la sentiva che frugava nei cassetti del comò cercando qualcosa. Maria Ana era pronta, un vestito color panna con piccole medagliette dorate che brillavano nella scollatura, si guardò allo specchio, le cadeva bene sui fianchi e la scollatura le aderiva al seno, mostrando la parte bianca e soffice che la faceva sentire più femminile, e mentre cercava sotto il letto le scarpe, la vecchia entrò: aveva in mano una bella spilla d’oro con delle gemme rosse, come un grappolo d’uva, che cadevano su foglioline intarsiate e accenni di rametti sottili, la teneva in alto quasi trionfante, per mostrarla bene a Maria Ana e quando le arrivò vicino, con un fare sicuro da zia premurosa gliela appuntò sul petto, “ecco, ora stai bene” disse, Maria Ana sorrise e prendendola per le spalle con un gesto scomposto la baciò sulla guancia. Poi si allontanò, raccomandandole di fare colazione; che poi la mela se non la mangiava subito si sarebbe tutta annerita o forse era già nera! Povera vecchia! Pensò Maria Ana, non ha nessuno e non va neppure in chiesa, e pensando a sua madre; almeno lei aveva le sue due figlie a tenerle compagnia e la sua lontananza da casa, forse, era una fortuna, che le faceva passare una vecchiaia utile e allegra con due belle bambine. Quando arrivò alla piazza, non c’era nessuno, tirava solo un maestrale terribile che ribaltava dei cartoni vicino al negozio del macellaio, Maria Ana chiuse gli occhi, delle risate gioiose di bimbe le risuonavano nella testa, sentì una specie di nausea leggera e un fastidio improvviso per quel vestito e quelle scarpe a punta, come se improvvisamente si fosse resa conto di non essere nei panni giusti, solo l’idea della spilla, appuntata sul petto, le dava una sensazione gradevole di protezione; come se la vecchia con quel gesto l’avesse infine accettata nella sua famiglia. Quando aprì gli occhi, vide il pulman di fronte a sé e una ragazza giovanissima appoggiata sul cruscotto che tirava la giacca all’autista, il suo autista, lui sorrideva svincolandosi e premendo il clacson per scherzo. L’eco di quel suono risuonò nella piazza, attutito dal vento, Maria Ana rimase ferma e sistemandosi la borsetta nel braccio, fece finta di cercare qualcosa dentro. L’autista aprì la porta e disse “allora sali?” Ricomponendosi e sistemandosi la giacca, mentre la ragazzina ferma al suo posto sul cruscotto, controllava maliziosa il suo telefonino. Maria Ana lo guardò e tirando in su il mento in un attimo di orgoglio disse “non ho il biglietto”. IV- CHIARA. Al funerale c’erano tutti, quasi tutta la scuola, i professori e il preside, anche le bidelle: era strano vederle vestite bene per quell’occasione, con le scarpe lucide e il cappotto, ed era strano pure, per Chiara, vedere quei ragazzi e quelle ragazze che ora, sembravano davvero addolorati e sconfitti; proprio loro, che facevano soffrire Luca con la loro fredda e ostinata indifferenza. Chiara, seduta nelle ultime file, lontana da tutti, incappucciata nella sua felpa blu preferita, guardava e osservava tutto con attenzione, quasi considerando le probabilità degli spostamenti e delle espressioni di tutti: ecco, ora ne era sicura, il preside si sarebbe voltato a vedere dov’erano i ragazzi della sua scuola e se si stavano comportando bene, e ecco, la bella della classe, Margherita, si sarebbe alzata e con le sue due amiche scudo sarebbe andata ad appoggiarsi alla colonna, tutta sexi e sciancata, con i pantaloni bassi in vita che mostravano un po’ la pancia. Eppure piangevano, ma per lei, non erano lacrime quelle, vere, come le aveva viste negli occhi della Angius, era piuttosto il delirio di un’ isteria collettiva, una carambata stucchevole più televisiva che reale. Ne era sicura, avrebbero applaudito sicuramente prima o poi! Ma nonostante tutti i suoi sforzi mentali, su una cosa non riusciva ad avere il controllo; il dolore, che le sgorgava in una forma di abbandono totale e nelle lacrime che le scorrevano giù dal viso senza esserne consapevole ed ora, in maniera inconsueta, sentiva un desiderio violento di essere consolata e abbracciata, sorretta e portata via, lontano da lì. La Angius, se ne stava nei sedili davanti con le mani giunte e i capelli nerissimi raccolti in uno chignon, e anche da lontano, Chiara poteva percepire il soffio del respiro che le correva giù nella nuca e le faceva vibrare le spalle, non stava piangendo, stava solo sprofondando in una calma disperazione, da dove poi, Chiara ne era sicura, sarebbe poi risalita con qualche bellissima considerazione sul mondo e sull’individuo. E così per gioco, aggrappandosi a quella figura elegante di dama nera pensierosa, Chiara sentì nascere un desiderio preciso di lei, che le correva in luoghi sconosciuti e desolati dalla tristezza e dal lutto. Quel prete da mezzora stava facendo una predica inutile, spostandosi lentissimo come dentro un acquario, sapeva di essere padrone del palco, e tra un’ affermazione dolorosa e senza speranza sul destino degli uomini e un amen altissimo e strascicato, si prendeva tutta la sua gloria da attore in pensione. Poi ad un tratto vide il prete raggelarsi in una posa terrorizzata, e con sua grande sorpresa e di tutti, vide una vecchia che uscendo dal suo posto, con fare deciso, saliva sull’altare e scostava il prete con una spinta. Il prete poi, ancor più sorprendentemente, non faceva niente per contrastarla o mandarla al suo posto, anzi, se ne stava buono, buono, mentre lei, la vecchia, con gesti precisi riordinava l’altare per fare spazio alla comunione. Tutti dimenticarono per un attimo il motivo per cui erano lì, persino i genitori del ragazzo, che agitati, si giravano verso i parenti. Chiara dal suo posto, aveva visto la madrina del ragazzo ridere, ne era sicura, stava ridendo, nascondendo la bocca nella sciarpa senza riuscire a contenere i sussulti di quella risata. Solo la Angius se ne stava diritta senza spostarsi di un millimetro, tutta concentrata in quella visione, e guardandola da dietro, Chiara aveva quasi l’impressione che la Angius avesse momentaneamente smesso di respirare, perché tra tutto quello scompiglio che si era creato la sua figura sembrava quasi una statua di una madonna nera, lasciata là dopo una processione. La vecchia che era salita sull’altare e che rivolta al prete, stava impartendo degli ordini per dare la comunione quasi fosse lui il chierichetto, era zia Annarosa, la zitella bigotta del paese, che metteva i fiori e riordinava tutti i giorni la chiesa. Chiara, non la conosceva di persona, ma sapeva da sua madre, che zia Annarosa era quasi impazzita per un amore non corrisposto che aveva avuto da giovane e che da quel momento si era rifugiata in chiesa come se quella fosse la sua casa, e quando poi le erano morti i fratelli, lei si era fatta così assidua che conosceva a memoria salmi interi e tutte le procedure esatte delle funzioni, e questo la madre di Chiara lo sapeva bene, perché quando si era sposata e l’attuale prete giovanissimo era appena arrivato in paese, Zia Annarosa nella fila di fronte, gli suggeriva tutte le cose da fare,indicandogliele a volte con il dito. La vecchia zia ora, muovendosi leggera e sicura tra o stupore di tutti, stava impartendo l’ufficio della comunione, con una maestria da sacerdote esperto, ma con in più, una gaiezza fresca, femminile, che dava ai gesti, insieme alla sacralità necessaria, un che di quotidiano e semplice, come se quella chiesa fosse la sua casa, e insieme la casa di tutti. Tutti erano incantati e presi da uno stupore paralizzante, persino le ragazzine di quinta, smisero le loro pose abituali da star di copertina, e con la bocca aperta sembravano ripiombate pesantemente nell’età dell’infanzia, la madre di Luca poi, aveva smesso di piangere e con le altre rispondeva con voce sicura e alta alle domande di fede. “Poi prese il calice ..” e sollevandolo in aria con la mano sinistra, zia Annarosa si fece tutta colorita in volto con gli occhi piccoli che erano due carboni accesi e anche se non aveva la veste da messa ma un abitino sgualcito e grigio con lo scialle sulle spalle, la sua figura sembrava completamente ed esteticamente necessaria a quell’altare, a quei fiori e anche a quei fedeli che per la prima volta sperimentavano la catarsi religiosa. Il prete a testa china, sembrava dovesse scomparire e nonostante la sua veste viola con la croce dorata brillante, era davvero invisibile. Poi Zia Annarosa scese i gradini e lui la seguì, mettendosi di lato e reggendo il piattino per le ostie. Ci fu una totale immobilità e silenzio nella sala, solo la coppa dell’incenso ondeggiava per inerzia tra le mani del chierichetto anche lui completamente rapito ed immobile. Chiara vide la Angius muoversi per prima, e composta con le mani giunte, camminare verso Zia Annarosa, la zia aprì gli occhi come presa da una gioia infantile che stava per essere soddisfatta, e sporgendosi più del dovuto verso la Angius, le diede l’ostia, accennando un lieve sorriso. Ci fu un movimento di tutta la sala, un corpo unico di teste e corpi che si accasciava nel respiro, come se finalmente tutta la tensione accumulata nell’attesa di qualcosa fosse infine espirata e rilasciata nell’aria fresca e marmorea della chiesa. |
andando avanti nella lettura mi sono reso conto di trattenere il respiro … e di pensare chissà … adesso cosa succederà !! Brava Elena!!!