Sono Tommaso. Solo Tommaso [di M. Tiziana Putzolu]

joyce e Giovanni

Arriviamo ad Armungia alle diciassette. Come previsto. Di un caldo venerdì di luglio. Dopo un’ora e venti minuti di percorso. Attraversando una zona impervia dove non vi era traccia di nessun essere vivente nè a due nè a quattro zampe. Quando giungiamo in paese mi appare subito dilaniato da quell’edilizia a basso costo che ne ha rovinato molti, nell’isola. Spero che si sia salvato il centro storico.

La mia amica deve discettare della figura di Joyce in qualità di sociologa. Io sono lì con l’obiettivo unico di esserci. Mi basta. Solo per guardare intorno. Annusare l’aria che hanno respirato Joice ed Emilio. E per quanto mi riguarda sono anche emozionata.Durante il tragitto in auto non è possibile non commentare che Sardegna aveva trovato quella ragazza giovane e bellissima quanto irrequieta, colta, anticonformista, rivoluzionaria, libera e, mi dicono alcuni, autoritaria e un po’ antipatica, quando giunse nell’immediato dopoguerra con un bambino piccolissimo, Giovanni. Ad Armungia.

Ecco subito il Museo Lussu. Cerchiamo Casa Lussu! Chiedo ad un tale che pare del posto. Mi guarda un po’ stupito. Ah, mi risponde, Casa Lussu …vediamo … Ci pensa. Io sono sorpresa. Perché mi aspettavo una risposta immediata. Pronta. Invece no. Ci doveva pensare. Mi è parso strano. Non il Museo? Mi chiede. No, gli rispondo, quello lo vedo. Cerco la Casa. E alla fine arrivano le indicazioni. Non ho ancora sciolto il dubbio se non lo avesse chiaro oppure se era il tentativo di difendere un bene privato dalla curiosità di una estranea. Non lo saprò mai.

Mi dice, un altro, giri a sinistra e poi ancora a sinistra. Sempre a sinistra deve andare. Troverà una ripida discesa. E’ lì. A questo punto mi chiedo se è solo un caso o una metafora. Ho faticato a trovare la casa.Percorriamo a piedi il paese che pare deserto. Forse a causa del caldo. Ma finalmente intravedo una rappresentante del genere umano femminile alla quale chiedo di nuovo indicazioni. Più pronta del primo, ça va sans dire, mi dà precise indicazioni. Il portale rosso, il terzo della discesa.

E finalmente eccolo, il portale rosso. Dev’essere questa Casa Lussu, ci diciamo mentre ci viene incontro un giovane, alto e bello, decisamente. Piacere, sono Tommaso, ci dice mentre ci presentiamo e colgo un accento decisamente romano. Entrate, ci dice, vi stavamo aspettando. Posate le vostre cose in quella stanza. Entriamo in una stanza con una grande libreria e molti tappeti. Siamo a Casa Lussu.

Il grande spiazzo centrale sterrato e le diverse abitazioni intorno rispecchiano le logiche costruttive del tempo. Una casa bassa. Scale esterne, bagno esterno, due lolle coperte da frasche. All’antica. Soprattutto non vedo nessun restauro. Le porte e le finestre sono quelle originali, mostrano l’evidente passaggio del tempo. Siamo autorizzate a salire nello studio di Emilio. Pare sia concesso a pochi e ne apprezzo il privilegio. Spartano, un tavolo ed una sedia, un letto vicino. Un mobile. Il tavolato. La finestra aperta sul cortile.

Giuseppe che gentilmente ci guida mi dice che i telai che vediamo in uso sono utilizzati da Tommaso. Quel giovane che avete salutato prima. E’ lui che fa i tappeti. Con la compagna Barbara. Tommaso Lussu, figlio di Giovanni, lui figlio di Emilio e Joyce. Tommaso ha deciso di vivere questa casa. E’ venuto via da Roma. Si è trasferito ad Armungia e vive facendo tappeti. Forse, penso. Non sono convinta. Ma penso che si porti sulle spalle l’insostenibile pesantezza di quel cognome.

Qualche minuto dopo riincontro Tommaso nel cortile. Non posso fare a meno di osservarlo. A chi somiglia? E, mi chiedo, quanti avranno già fatto quell’idiota tentativo di cercare in lui le somiglianze con gli avi? E sì, gli occhi della nonna, lo zigomo del nonno eccetera eccetera. Ma era il nipote, non il figlio! Mi dico. Ma si tratta del nipote di Joyce e di Emilio. Mi rispondo. Figlio di quel piccolo Giovanni di cui narra Joyce in qualche scritto. Come si fa a non cercare in quel giovane i tratti di quella pesantissima eredità? Di quella storia?

Inizia il ricordo di Joyce. E’ arrivata tanta gente. Siamo seduti. A Tommaso il compito di introdurre i lavori. E’ emozionato, si vede. Forse non troppo avvezzo a parlare in pubblico. Dice cose interessanti, parla di Joyce, non di mia nonna. Joyce è lì, presente. E chissà se avrebbe apprezzato. Io penso di no. Avrebbe detto fate, non chiacchierate. Guardatevi intorno, guardate come il mondo peggiora anziché migliorare. Venerdì avrebbe parlato dei bambini di Gaza uccisi, dei siriani, della lotta tra fratelli in Ucraina. Forse si sarebbe precipitata in quelle zone.
Non so…osservo Tommaso e gli scatto una foto. Di profilo. Riesco ad immortalare lo sguardo del nonno, poche storie! Che mio nonno lussurgese aveva conosciuto e del quale mi aveva parlato quando io facevo il liceo. Con una ammirazione che non gli avevo visto riservare a nessuno. Come di un mito, un temerario, l’unico politico vero che lui avesse mai apprezzato e di cui mi raccontava. Gli altri…bastava il gesto della mano. Per lui il Partito d’Azione era per sempre. Ma io non capivo nulla e mi si perse nella memoria quella frase, tra le altre ‘era sposato con una continentale, molto più giovane di lui, una matta’. Mi torna in mente in quel momento, in quella casa.
La parola alle esperte. Che dicono belle cose di Joyce. Tommaso si dilegua. Provo a cercarlo con gli occhi. Dove sarà finito? Forse sta aiutando Barbara e le altre a preparare il rinfresco previsto per la fine dell’incontro. Oppure sta prendendo le adesioni per l’Associazione Casa Lussu che ha costituito e che è in parte l’obiettivo della serata. Lo intravedo ad un certo punto. E’ defilato. Ascolta un attimo e sparisce. Il sole è sceso e le luci si sono accese nelle lolle. Si mangia e si chiacchiera. Qualcuno tenta di ballare un ballo sardo ma nessuno ne è capace. Si respira un’aria sospesa. La finestra dello studio di Emilio è spenta. Forse Joyce ha fatto sellare un cavallo ed è uscita da quella porta dietro la lolla che dà sulla campagna. Sono ormai le ventidue e dobbiamo andare. Cerchiamo Tommaso per salutarlo. Facciamo un giro intorno. Nessuno sa dove sia.

2 Comments

  1. Antonello Farris

    Sono capitato ad Armungia sette anni fa. Cercavo la casa di Emilio Lussu e le poche persone che ho incontrato (sia giovani che anziani) mi guardavano come fossi un marziano. Dopo molti tentativi sono riuscito a trovarla ma non era visitabile. Ciò che mi ha colpito è stata l’indifferenza e l’ignoranza dei paesani su che cosa ha significato per la cultura italiana la figura di Emilio Lussu e di sua moglie Joice (grandissima donna impegnata in molte battaglie sociali).
    Mi capita spesso, nei paesi della Sardegna, di incontrare questa indifferenza e ignoranza. Lo scorso anno attratto da un servizio visto in tv sono andato a Nule per la fiera del tappeto…Una desolazione, nessuno sapeva niente, strade deserte, e se vuoi mangiarti un panino perché si è fatta ora di pranzo è meglio che te lo scordi. Unico rimedio risalire in auto e scappare…
    Mi capita spesso di scappare dai paesi sardi.
    Chissà quando arriverà il giorno che proverò dispiacere ad allontanarmi da un paese sardo.
    Questo istinto alla fuga non vale, ovviamente, per tutti, ma per tanti sì, e sono troppi.

  2. Lino

    Come figlio di antifascisti, ed antifascista io stesso, non ho potuto che ammirare la Figura di Emilio Lussu e questa visita alla sua casa natale mi ha ripurtato indietro di tanti anni! Anni nei quali se solo ti interessavi di qualcuno con cui non avresti davuto condividere niente perchè niente ti accomunava, venivi ostracizzato, ma io vedevo in Lui quell’antifascista non rabbioso, ma consapevole del grave danno che il fascismo stava partando con se; anche se non tutto avrei potuto condividere con Lui e con le idee del partito d’azione, mi sarebbe paciuto condividerne quelle che ci accomunavano. Bravissima Tiziana per queste Tue riflessioni. A presto

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