Sardegna quasi un continente. Ma siamo sicuri? [di Maria Antonietta Mongiu]

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Gilles Deleuze in “L’isola deserta e altri scritti” sostiene che per i geografi due sono i tipi di isole: le continentali nate “dalla disarticolazione, da un’erosione, da una frattura, esse sopravvivono all’inabissarsi di tutto quello che le tratteneva”. Le oceaniche o originarie formate da coralli o nate da eruzioni sottomarine, improvvise o lente che siano. Le due tipologie sono referenti dell’antagonismo tra i due elementi ma anche di un’inossidabile interdipendenza. Raccontano le une del mare sulla terra e le altre della terra sotto il mare. Tertium non datur! Per sempre.

Un quadro inquietante dominato dall’orrore e dalla fascinazione l’uno dell’altra. La tranquillità bandita. In questa diade gli uomini amano proiettare la coppia genitoriale e ne  pretendono un’improbabile rappresentazione eirenica. All’insegna della mitopoiesi e dell’illusione. L’esito, tutt’altro che rassicurante. Giacomo Leopardi l’aveva anticipato nel “Dialogo della natura e di un islandese”.

Al dunque ciò a cui assistiamo oggi nell’isola nostra non è così stravagante o imprevisto ma preannunciato da filosofi e poeti. Realtà socialmente drammatica. Disoccupazione come mai prima. Emigrazione simulata d’altro. Interventi a pioggia. Svendita dei beni comuni. Ti aspetteresti opposizioni se non intransigenti almeno alternative. Ed invece tra i règoli locali di opposte sponde far play, danze e contro danze, pacche sulle spalle, sorrisi ed ammiccamenti, abbracci e complimenti. Proiezione in sedicesimo dell’unione contro natura a Roma. Una gioiosa classe dirigente che è, nell’assoluta inconsapevolezza, garrula quanto cinica. La foto dell’apocalisse prossima.

La Sardegna si può ascrivere, a ragione, alla tipologia delle isole continentali, quelle che sopravvivono” a tutto quello che le tratteneva”. D’altronde “Un’isola quasi un continente” da titolo di un libro è ormai un luogo comune. Addirittura  un bizzarro geologo rimprovera ai suoi abitanti, veri ottentotti, che potrebbero farsi d’oro millantando sul labile confine nominalistico tra l’isola di Atlante e Atlantide. Praticamente, chiunque, nativo o proveniente di là dal mare, dovrebbe rifilare ai malcapitati vetrini colorati al posto dei diamanti. Il geologo non sa che già avviene sistematicamente.

Deleuze come Leopardi mette in guardia dalla pulsione a sottrarsi alla contraddizione del vivere in generale ed in un’isola in particolare, compresa in quella continentale. Solo con il principio di realtà e di responsabilità ci si può salvare dai due leoni leopardiani “ così rifiniti e maceri dall’inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell’Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno”. Una metafora che ben si attaglia alla Sardegna che crede che la salvezza arrivi da falsi leoni. Ciarlatani e sorridenti quanto incompetenti ed improbabili soprattutto quando occhi saettanti, ad uso dei media, digrignano denti, agitano criniere.

Omero ci aveva illuminato che per “vedere” Itaca da Itaca bisogna partire. Necessari separazione, distanza, un viaggio molto lungo e pericoloso avverte Costantino Kavafis perché Itaca ridiventi una possibilità. Un viaggio, scrisse Dante, di virtute e canoscenza grazie a cui “con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare” chiude Kavafis.

Itaca come la Sardegna stanno là dove sono sempre state. In quel mare Libico dove tutti i geografi ed i poeti ci hanno posto. Luogo denso di dolori e di gioie immani. In una dialettica che a volte si fa contrasto ed altre volte comunità finanche genetica come la migliore ricerca sarda sta dicendo al mondo. Ma i nostri règoli locali non lo sanno.

Non è grave ignorare quanto sia lunga la Sardegna. Basta consultare i dati OCSE Pisa. Non lo sa il 70% non solo dei nostri quindicenni ma dei Sardi. E’ più grave tuttavia che nella notte degli orrori mentre centinaia di nostri fratelli e sorelle venivano inghiottiti dal mare nostrum i règoli regnanti e non li ignorassero. Ignoravano la vera geografia del mondo.

Tranquilli però. Sardegna e Itaca, sopravvivranno “all’inabissarsi di tutto quello che le tratteneva”.

3 Comments

  1. Giuseppe

    Bellissimo racconto della verità!

  2. Tecla

    Articolo colto, profondo, appassionato e realistico, che chiude con una speranza che sembra certezza: Itaca e Sardegna sopravvivranno

  3. Anna Maria Busia

    Sublime fotografia di un’isola che sopporta tutto

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