Se santa Cecilia tornasse sulla terra prenderebbe le parti di Adealide e fracasserebbe l’organo [di Maria Laura Ferru]

PTDC0010 - Copia

Santa Cecilia è per tradizione la santa protettrice dei musicisti. Ma quella che campeggia irata nel Retablo dei Consiglieri della città di Cagliari è sicuramente da annoverare tra le rappresentazioni di santi e protettori più anticonformiste tra quelle prodotte a Cagliari nel XVI secolo. Basta uno sguardo per capire che non ha niente della leziosa benevolenza o dell’estasi mistica di cui anche i dipinti rinascimentali sardi abbondano. Mettendola poi a confronto col dipinto di santa Cecilia di Raffaello, dal quale il pittore sardo Michele Cavaro trasse sicuramente ispirazione, si ha la sconcertante rivelazione che il pittore sardo non scelse come modella per la sua santa la santa Cecilia di Raffaello ma una figura di contorno. E di lei fece la sua, sconcertante, santa Cecilia.

La santa cagliaritana appare infatti come se si fosse voltata d’impeto, come se a stento riuscisse a trattenere l’urgenza di sentimenti e parole che vorrebbe indirizzare a chi la guarda. E’ questo chiaramente il senso del suo guardare con cipiglio severo fuori dalla scena: a lei il pittore affida un muto ma eloquente rimprovero. Indirizzato a chi? Facile da capire: fuori da quella scena non c’era che la società cagliaritana che aveva già doppiato la metà del Cinquecento e che tra violenze pubbliche e private non dava certo spettacolo degno di buon cristiano.

La stagione del crimine consumato anche in pubblico era iniziata a Cagliari a ridosso della Pasqua del 1552, quando venne bastonato in pubblico il consigliere comunale Bartolomeo Selles e successivamente venne ucciso col ferro suo fratello Gerolamo, che si era rifugiato nel convento di San Domenico. Ed era andata avanti per decenni, tra arresti, avvelenamenti e testimonianze false che avrebbero portato l’allora avvocato fiscale del Comune, Sigismondo Arquer, a morire tra le fiamme in terra di Spagna.

Come non capire Michele Cavaro, che quegli avvenimenti dovette conoscere di prima mano stando in città in quegli anni, e il suo proposito di usare l’arte sua per lasciare ai posteri l’indicazione palese del suo rifiuto e della sua ira per tutto ciò che lo circondava? E come poteva farlo senza rischiare a sua volta la pelle se non attribuendo il suo atteggiamento recriminatorio ad un personaggio che rimanesse al di sopra di ogni sospetto? Il travaglio che Michele Cavaro dovette vivere e che gli sconvolse la vita (all’epoca si allontanò da Cagliari per parecchi anni, probabilmente per mettersi al riparo) è comunque testimoniato dalla sua arte, che attesta mirabilmente anche il suo impegno civile.

Fu pittore di una famiglia che da almeno quattro generazioni operava a Cagliari tanto da meritarsi a pieno titolo il secondo appellativo di Pintòr. Sarebbe bello se una ricerca genealogica ad hoc riuscisse a dimostrare che Giaime e Luigi Pintòr, conosciuti ed amati da molti giovani sardi del Novecento per il loro indefesso impegno civile, provenivano da quel ramo di artisti sardi.

Oggi alla santa Cecilia, che dalla parete dell’anticamera della Sala Consiliare del Palazzo di Città di via Roma continua ad essere muta testimone dello scorrere della vita cagliaritana, vorremmo rivolgere una sentita preghiera. Vorremmo che questa volta la santa volgesse il suo muto ma eloquente rimprovero contro chi si rende colpevole di malgoverno cittadino, come può essere quello che scaturisce dalla mancata applicazione di norme comunali pensate a difesa della salute dei residenti. Malgoverno che permette che due cagliaritane, che hanno lo stesso nome di Adelaide ma che sono di età diversa, conducano una travagliata esistenza sotto la quotidiana minaccia alla loro salute provocata dal rimbombo continuo e martellante della musica imposta da chi ha scelto la strada dove esse abitano per attività di mescita e ristorazione all’aperto.

Dobbiamo rivolgerci ai santi protettori della musica – è questo il paradosso- perché oggi gli appelli dei musicisti di grande sensibilità civile, vedi quello di Salvatore Accardo di qualche settimana fa, faticano a farsi strada in questa città caduta solo da qualche tempo nella più becera logica delle concessioni indiscriminate ad attività rumorose e disturbanti, in spregio totale dei residenti e del loro equilibrio fisico e mentale. Infatti è risaputo che se non c’è riposo per il corpo non c’è pace per la mente e, di conseguenza, non c’è per l’adulto possibilità di ripresa e per l’infante possibilità di crescita serena. La musica dovrebbe aiutare i processi vitali, non ostacolarli.
Ci piace pensare che, messa di fronte a questa grave e inquietante situazione, sicuramente la nostra santa Cecilia, per dare un segno forte della sua contrarietà alla musica fuori luogo e fuori senso, questa volta non esiterebbe un attimo a distruggere l’organo che pure tiene in mano.

*Esperta di ceramica sarda e perito in argenti antichi

 

2 Comments

  1. silvia ledda

    Gent.ma sig.ra Ferru, potrebbe spiegare secondo quale ragionamento storico – artistico, o in base a quali documenti in suo possesso, basa l’attribuzione del retablo a Michele Cavaro?

    • Maria Laura ferru

      Gentile Silvia, per un primo approccio all’argomento posso segnalarLe il mio libro “Chi si fa agnello il lupo se lo mangia Storia cagliaritana del Cinquecento” pubblicato nel 2012 dalle Edizioni Sole di Ivan Botticini ma di cui si può trovare anche l’edizione precedente del 2010. Buona lettura Maria Laura Ferru

Lascia un commento