Tempi della vita e tempo della politica [di Silvano Tagliagambe]
Sono arrivato a un’età nella quale la notte, prima di addormentarsi, si pensa sempre più spesso: “è passato un altro giorno, e non è successo niente di importante”. Lo si pensa con angoscia perché a questa età i giorni davanti a noi sono sempre meno e scivolano via sempre più veloci. Ecco allora quell’impazienza febbrile che, quando ti svegli, ti fa desiderare che sia la volta buona, che stia per accadere qualcosa di significativo che dia una svolta non soltanto e non tanto alla tua vita, ma a quella di tutti, dei tuoi figli, dei tuoi nipoti, dei tuoi amici, dei tuoi vicini e via via di tutte le persone, vicine o lontane che siano, più o meno note, con le quali formiamo quella rete di mutui rapporti, di reciproche informazioni di cui è fatta la nostra esistenza e che le conferisce senso. Per questo sovente mi spingo a pensare che il tempo non esista, non sia qualcosa di oggettivo, ma soltanto il risultato di ricordi, attese, speranze, esigenze, desideri, sogni, angosce, preoccupazioni, dolori inevitabilmente diversi per ciascuno di noi, cioè di esperienze soggettive ognuna delle quale danza indipendentemente con quelle vicine, seguendo un ritmo proprio. Percepito in questo modo lo scorrere del tempo diventa qualcosa di interno al mondo così come lo viviamo, qualcosa che nasce dalla relazione fra eventi che sono il nostro mondo e che generano essi stessi il proprio tempo. Questa idea che le cose cambino solo in relazione l’una all’altra e che il tempo sia soltanto l’esito di questo mutamento reciproco e del ritmo con cui avviene si rafforza quando viene meno quel nesso tra il tempo e la sua misurazione che Einstein considerava fondamentale e imprescindibile per capire cosa sia il tempo. Giuseppe Tornatore, un regista profondamente nutrito di cultura filosofica e che proprio per questo il 10 luglio dell’anno scorso ha ricevuto dall’università di Palermo la laurea honoris causa in Scienze filosofiche, ci mostra l’esito di questa scissione con un’immagine esplicita e fulminante nel suo film Una pura formalità. Come ricorda Franco Lo Piparo nella laudatio con cui motiva l’attribuzione di questo titolo onorifico, al settimo minuto del film il regista fa vedere un orologio a pendolo senza lancette e con alcuni numeri cancellati. Il pendolo oscilla, quindi il tempo scorre. Ciò che manca è la misurazione del tempo, ossia ciò che gli dà un senso e una direzione. La chiave di lettura di questa immagine ce la dà lo stesso Tornatore nella definizione che dà di questa sua opera: “È un film che si svolge nell’aldilà, un giallo in cui l’assassino e l’assassinato sono la stessa persona, un film che si svolge in quel breve spazio di tempo che separa la vita dalla morte”. Questo intervallo, proprio perché breve, non può essere sprecato lasciando scorrere il tempo senza contrassegnarlo con qualcosa di significativo, con qualcosa che sia misurabile. Dilapidare il tempo è un segno intollerabile di mancanza di rispetto verso le attese, le speranze, le esigenze, i desideri, i sogni, le angosce, le preoccupazioni e i dolori che, come abbiamo detto, danno sostanza e ritmo al nostro tempo, al tempo di ciascuno di noi. Lasciar passare, senza alcun contenuto tangibile che lo misuri, il tempo di un disoccupato, di un giovane che non ha mai assaporato la fatica ma anche la soddisfazione del lavoro, di una donna che questa fatica la prova solo dentro le pareti della sua casa, come risultato delle quotidiane faccende domestiche, di un adolescente che è stato espulso dalle aule scolastiche e non ha alcun desiderio di tornarci, è una mancanza che coloro ai quali è affidata la gestione del nostro spazio pubblico non dovrebbero potersi permettere. Questa mancanza, ci dice Tornatore, significa privare di una direzione il tempo delle generazioni che si susseguono, significa consentire che le esistenze di tante, troppe persone non riescano a trovare una bussola, vuol dire lasciare che la loro rete di relazioni personali e sociali si restringa sempre più, fino a contrarsi in punti privi di collegamenti e vuoti di significato. Equivale, in definitiva, a condannare tante, troppe vite a una pura formalità, appunto. Questo è il delitto di una politica il cui orologio sa segnare solo il proprio tempo. |
E’ un intervento bellissimo che interroga la politica politicante sul perchè pensi solo al suo spazio personale, al suo interesse privato, al suo eterno presente
Maria Antonietta
E aggiungerei, anche, che la colpa è di una burocrazia autoreferenziale che privilegia il rigido formalismo normativo a discapito della soluzione al problema. Una colpa condivisa con la Politica, equamente condivisa. Politica e burocrazia sono complici e l’una scarica le colpe sull’altra ma, in fondo, sono come i ladri di Pisa.