Arte inerte [di Carlo A. Borghi]

sogmo

Crisi. Crisi del corpo e dei suoi bisogni. Crisi di idee come incarnazioni ed estensioni del corpo individuale e sociale. Nella cosiddetta società liquida tutto risulta liofilizzato e solubile, come un caffè o un brodo. Non restano tracce. Non restano impronte biologiche o estetiche. Mancano ipotesi e proposte di soluzioni dei conflitti da parte degli artisti audiovisivi, performers compresi. Crisi dell’arte come procedura d’avanguardia anche anarchica, libertaria e oppositiva nei riguardi di sistemi stabiliti e stratificati. Crisi dell’Arte Contemporanea in quanto possibile forma di identificazione di riscatto da tutte le schiavitù.

L’alta marea multi e crossmediale omologa e appiattisce. Vince il superfluo dal vivo e nella rete. Ci sono stati nudi d’artista capaci di manomettere la realtà fuori dal quadro e dai riquadri dei teleschermi. Troppa roba liquida e liquefatta fino all’evaporazione, negli attuali circuiti e cantieri dell’arte, pubblici e privati. Troppa roba fluidificante che spegne ogni vero desiderio di trasgressione, ogni impulso di eccitazione, dal quale nascerebbe il sano istinto della provocazione fatta ad arte. Ogni buona provocazione nasceva, in altri tempi, dal piacere corporale della provocazione stessa versus un bersaglio individuato. Nasceva spesso dal corpo stesso dell’artista nudo in prima persona ed esposto e riprodotto nella sua propria e tridimensionale nudità.

Essere-accadere-divenire. Andava così. Erano le patologiche, escatologiche e spesso destabilizzanti provocazioni della prima body art. Basterebbe pensare a Gina Pane (1939-1990) come artista messa a nudo e a morte dal suo stesso martirio eseguito in forme e atti incalzanti e seriali. Erano i tempi di Lea Vergine e del suo Il corpo come linguaggio (1974). La nudità è uno stato dell’essere, che si conquista per dare luogo al luogo, per offrire ospitalità allo straniero che ci abita. (Franco Rella). C’era una volta il Ready Made (objet trouvé) papale-papale e anche esso nudo. Era nato con la Ruota di Bicicletta di Marcel Duchamp e quindi compie 100 anni. Ora in tempi di genocidio consumista l’oggetto trovato si identifica nel Rana Plaza del Bangladesh, noto insieme a tante altre fabbriche come Ready Made Factory.

A tutto ora pensa l’intrattenimento. Pensa al mantenimento stabile dell’ordine costituito. Pensa a darti la dose quotidiana di trasgressione. Sono dosi omeopatiche e placebiche utili per calmare il rischio di bollenti e rivoltosi spiriti. È l’arte della diluizione audiovisiva in ridondanti e neobarocche forme di espressione plurilinguistica e polisemica. “L’arte o è plagio o è rivoluzione!”- scriveva quel figurazionista esotizzante di Paul Gauguin nei suoi diari di bordo. Era l’alba del Novecento, di quel Novecento che fino al suo settimo decennio avrebbe provato a strattonare e stropicciare le giacchette da camera dei potentati accademici e politici. Al momento tutto è plagio nell’arte, plagio facilitato dalle tecnologie imperanti e pronte all’uso e all’abuso.

Vince la Tecnocrazia Tecnologica. Nella uniformità del plagio non c’è posto per gesti sorprendenti e destabilizzanti anche estranianti. In questa modalità di flusso ininterrotto di installazioni e superfetazioni polimateriche e polivisuali, la trasgressione e la provocazione gestuale e concettuale si risolvono in un caleidoscopico nulla di fatto. Così il gesto eclatante e sconcertante passa nelle mani di chi, per questa o quella disperazione, si butta nella mischia armato quanto può bastare per fare molto male a sé stesso e agli altri. L’alternativa è quella di rigenerarsi al grido di Albert Camus: mi rivolto, dunque siamo! Era un uomo in rivolta, alla esatta metà del Novecento. Aggiungeva: “Gli scrittori non stanno al servizio di chi fa la storia ma di chi la subisce”.

Vale anche per gli artisti. Anche la Sardegna avrebbe bisogno di uno stato di eccitazione permanente come quello esposto dalle donne F9 riunite a Paestum per Libera ergo sum. Non resterebbe che il sogno come ultima spiaggia. Un sogno come il celebre sogno di Paul Delvaux (Le Reve-1935 olio su tavola).

Crisi.

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