Sardi da boxe [di Carlo Bonacorsi]
Nell’80 ho fatto due incontri di pugilato da professionista Dopo 10 anni di attività dilettantistica inseguivo il mito del super uomo. Di nascosto dalla mia famiglia, da maggiorenne, presi la licenza e feci la visita. Alla Montagnola di Firenze incontrai per una borsa di 500.000 lire un sardo, tale Romano Carta, corto e legnoso, duro come un ciocco; vinsi alla sesta ripresa per KO tecnico; provai rimorso, lui aveva bisogno della borsa, io no. A settembre dello stesso anno, sempre alla Montagnola altro sardo, Meloni, il nome di battesimo non lo ricordo, borsa di un milione di lire, categoria super-welter, 67 kg di nervi e muscoli. Io relativamente lungo, Meloni corto e legnoso, tecnicamente primitivo, mestiere da vendere. Io ero una farfalla creata da Freddy Manfredini, Meloni lo faceva di mestiere per davvero il pugile. Io, leve lunghe, all’inizio -in mezzo a nuvole di fumo di sigarette, imprecazioni e bestemmie del pubblico, pubblico di scommettitori e figli di puttana- arrivai a segno diverse volte e mi sentivo di farcela, le gambe andavano bene, le gambe fanno la differenza, guardi partire i colpi dal movimento delle gambe, da come girano i piedi, i piedi, tutto parte dai piedi, tieni la testa bassa e guardi i piedi dell’avversario. Doppio il sinistro e sparo il destro, Meloni va a tappeto, il pubblico impreca, avevano scommesso tutti su di lui. Meloni si rialza, scatta il gong, Freddy Manfredini è euforico e mi sventola l’asciugamano personalmente per rinfrescarmi mentre con l’altra mano mi allenta la cintura, mi dice di sparare il destro, che è il momento di sparare il destro, di caricare il destro, un destro che pesa 150 kg e che mi ha lasciato la mano devastata. Meloni cambia, non accetta lo scambio, mi brecca, mi tiene stretto, mi aggancia; mentre l’arbitro ci stacca con la cucitura dei guantoni mi apre una ferita sulla palpebra destro, poi di nuovo, e poi ancora, mi stringe e approfittando della pelle sudata, sempre con la cucitura dei guantoni, sempre mentre l’arbitro ci separava mi apre anche il sopracciglio sinistro, cola il sangue, non vedo un cazzo. Suona il gong, Freddy prende la matita emostatica e mi sutura le palpebre all’angolo, bestemmia, gli dico di non azzardarsi, non azzardarsi a buttare l’asciugamano, sono una furia e non respiro più, odio e rabbia. Settima ed ultima ripresa, allungo le braccia per non farlo avvicinare, infiniti jabs di sinistro, Meloni si avvicina a testa bassa, mi cinge e mi tira una testata nella bocca, break, mi prende bene col suo destro, le gambe mi abbandonano, vengo contato fino a sette da ritto, riparto, arriva il sinistro e poi il destro, un montante devastante che mi lussa la mandibola e mi butta giù, se lo vedi arrivare mordi il paradenti, se sei già stordito non mordi e sei fottuto. Passai dal pronto soccorso quella sera, quando tornai a casa a notte fonda, dopo aver firmato per essere dimesso, raccontai di essere stato aggredito per strada. Non ho mai più combattuto.
*L’autore del racconto è di Firenze. E’ padre di due figli e sposato da sempre con la loro madre. E’ cresciuto nell’ambiente intellettuale che ruotava attorno alla Casa Editrice Vallecchi, e vanta una reale familiarità con i suoi autori del secondo novecento. |