Maryam Mirzakhani, quando la matematica è donna [di Giuseppe Pulina e Margherita Solci]
Se non fosse stata una notizia, non starebbe rimbalzata fra tutti media mondiali: una trentasettenne donna iraniana, Maryam Mirzkhani, è stata insignita della medaglia Fields, premio che per la matematica tutti considerano equivalente del Nobel. E’ una notizia perché è la prima donna che riceve il riconoscimento (istituito nel 1936) e perché è il primo premio di questa entità conferito a una personalità scientifica iraniana. In realtà, la medaglia Fields è molto diversa dai Nobel in quanto è assegnata ogni 4 anni a matematici under ’40 (e non annualmente a scienziati molto avanti nella carriera). E forse questa differenza non è casuale: Nobel, si dice, non istituì un premio per la regina delle scienze in quanto sospettava che la fidanzata se la intendesse con un matematico (Magnus Gustaf Mittag-Leffler); dal canto loro i matematici, riuniti al congresso mondiale di Oslo nel 1936, vollero premiare (in omaggio all’iniziativa del matematico John Charles Fields, morto quattro anni prima) le “giovani menti più brillanti” nella disciplina. L’altra parte della notizia risiede nel percorso, particolarmente complicato, che ha portato una donna iraniana al vertice della matematica mondiale: a 17 anni vince la medaglia d’oro alle olimpiadi internazionali di matematica, si laurea a Teheran e consegue il dottorato ad Harvard con Curtis Mcmullen (anche lui medaglia fields nel 1998), per poi insegnare a Princeton e, attualmente, a Stanford. La “non” notizia è il fatto che il vincitore sia una donna. Sulla presunta inferiorità delle donne per la matematica, si sono esercitati in passato (e i media ci battono tutt’ora) in tanti, compresi eminenti matematici (è famosa la battuta di Herman Weyl, matematico, fisico e filosofo del secolo scorso, il quale citando due matematiche famose, Kovaleleskaja e Noether, disse la che prima non era una matematica e la seconda non esa una donna). Non staremo a ricordare le tante donne matematiche della storia (da Ipazia, alessandrina del IV secolo, uccisa dai fanatici cristiani, a Gaetana Agnesi, italiana del nel XVIII secolo che ha studiato l’equazione universalmente nota come “versiera di Agnesi”: il sito dedicato www.agnescott.edu riporta 148 biografie di donne matematiche attive dal XVIII al XX secolo): basterà riportare i dati che vedono, attualmente, 1015 donne svolgere a pieno tempo la professione di ricercatrice in matematica, rappresentando oltre il 30% del totale dei docenti universitari italiani (in Sardegna, la regina delle scienze è mingherlina: solo 15 donne matematiche fra le università di Cagliari e Sassari su 47 docenti, con 6 soli professori, di cui uno solo ordinario!). Cerchiamo ora di spiegare, il più semplicemente possibile, perché la studiosa iraniana ha vinto la medaglia. Maryam Mirzakhani ha dato, come si legge nella motivazione del premio, eccezionali contributi allo studio della teoria delle superfici di Riemann (superfici in cui è fissata la struttura conforme, in altre parole il modo di misurare gli angoli) e degli spazi che le parametrizzano (spazi di moduli). Questi risultati sono stati intuiti e ottenuti con una straordinaria combinazione di metodi geometrici, algebrici, topologici, analitici e probabilistici. In particolare, nell’ambito delle superfici iperboliche (superfici a curvatura negativa, che si possono rappresentare localmente come delle “selle”), Maryam ha dimostrato importanti teoremi riguardanti il volume dello spazio di moduli, il numero e la lunghezza delle geodetiche (curve di minima lunghezza) chiuse sulle superfici. Tali risultati le hanno permesso di ottenere una nuova (e inaspettata) dimostrazione di una importante formula di Witten sugli invarianti topologici delle superfici, stabilendo così una connessione con il campo della fisica quantistica (Witten, matematico e fisico americano, anch’egli vincitore nel 1990 della medaglia Fields, ha dato essenziali contributi alla teoria delle stringhe e alla teoria quantistica dei campi). Inoltre, studiando la dinamica degli spazi di moduli, la Mirzakhani ha potuto dimostrare, tra l’altro, le proprietà ergodiche del flusso dei terremoti di Thurston, ovvero particolari deformazioni di strutture iperboliche che si possono rappresentare come composizione di “scorrimenti” ed “emersioni”. Recentemente, ha dimostrato un’importante congettura da molti anni aperta relativa alle proprietà di “regolarità” della chiusura delle geodetiche complesse, che le differenziano dalle geodetiche reali, la cui chiusura può avere caratteristiche frattali. Si tratta di argomenti difficili, per molti versi lontani e astrusi rispetto a ciò che è considerato “cultura” dalla media degli italiani. La speranza è che la Fields di Maryam e il clamore mediatico conseguente, facciano cadere definitivamente i pregiudizi che contrappongono le donne alla matematica ma, soprattutto, consiglino i cosiddetti “intellettuali” da teleriporto (intellettuali che frequentano i salotti televisivi utilizzando il cervello nello stesso modo in cui coloro colpiti da calvizie incipiente usano i residui capelli per mascherare la pelata, nda) dall’astenersi dal vantarsi in pubblico di “non capire nulla di matematica”. Ci sarebbe da vergognarsi, ci sarebbe. *Direttore del Dipartimento di Agraria di Sassari
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Bella questa chiusura, e quantomai vera. Molte persone egocentriche nelle quali non alberga certo l’umiltà che la scienza, quella vera, dovrebbe suggerire, ritengono che non capire nulla di matematica sia, in ultima analisi, un segno di intelligenza…Come a dire: ” La matematica è una perdita di tempo. Il mondo va avanti anche senza la matematica…e l’esempio sono io! ” E’ il classico atteggiamento che in un campo differente ha segnato le cronache nostrane quando un ministro (egocentrico e privo di umiltà) ebbe a dire che “con la cultura non si mangia”.
Ho una sfrenata ammirazione per coloro che capiscono la matematica meglio di me, perché tutte le volte che, di stentata illuminazione in stentata illuminazione riesco a capirne qualcosa, mi si apre una finestra su un mondo favoloso di logica, ordine e chiarezza, pure nel caos apparente.
E capisco che aveva ragione Einstein quando diceva: “Più procede l’evoluzione spirituale del genere umano, più mi convinco che l’autentica religiosità non è paura della vita, né paura della morte, né fede cieca, ma incessante ricerca della conoscenza razionale.”