MATRICA: a chi fa bene regalare il territorio sardo? [di Tore Corveddu]

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Tra qualche giorno finisce l’annata agraria cerealicola e, con essa, la raccolta di sementi e residui della trebbiatura. Un’annata di rese medie, dicono gli addetti del settore, in particolare per le colture non soggette ad irrigazione, considerato che quella appena trascorsa non è stata un’annata siccitosa. Un’annata media anche nella Sardegna del Nord Ovest, dove si trovano le cosiddette coltivazioni sperimentali di cardo di quella che dovrebbe costituire la prima catena della “filiera agricola” legata alla chimica verde. Qui, però, pare che l’annata abbia prodotto numeri strabilianti!

Anzi, meglio, da quel che si legge sulla stampa locale, e attribuito a dichiarazione nientemeno che di due senatori (Il capogruppo PD in commissione Ambiente Massimo Caleo e Silvio Lai), “si sono ottenuti 18 quintali di seme e 18 tonnellate (180 q.li) di materia organica per produzione energetica da ogni ettaro”. E, continuano i nostri, “l’obiettivo per la produzione di MaterBi richiede 5 mila ettari, ma si può arrivare sino a 15 mila se si vuole far lavorare la centrale energetica e rendere completamente autonomo il sistema”.

L’articolo in questione, poi, prosegue con la moltiplicazione dei risultati. Incredibile! La prima cosa che viene da pensare e che costoro, detti senatori, abbiano utilizzato cifre fornite da altri, ma in questo caso la colpa sarebbe ancora più grave perché si rendono protagonisti, e amplificatori, di informazioni che sono fuori dalla realtà.

Per capire meglio: se da 1 ettaro si sono ricavati 18 quintali di seme (quantità straordinaria per tale tipologia) e l’obiettivo è di 5 mila ettari, con tali rese si produrrebbero 9 mila tonnellate di semi, da cui si estrarrebbe la materia prima. Novemila tonnellate, capito! Non credo necessario aggiungere altre considerazioni o, almeno qui, si possono evitare. Poi si dice che se si arriva a coltivare 15 mila ettari si può ottenere la materia vegetale (intesa come scarto) per rendere autonoma una centrale a biomasse che produrrebbe, e scritto nel progetto, oltre all’energia termica, per una potenza pari a 43,5 MW/E.

Anche qui, per alimentare una centrale di queste dimensioni sono necessarie circa 450 mila tonnellate di legno cippato, paglia o simili. . . nel territorio intorno a dove avviene questa “coltivazione sperimentale”, i più bravi produttori non arrivano a produrre – badate, in zone di grande pregio agricolo – più di 10 tonnellate per ettaro di fieno prativo, quindi circa la metà di quanto hanno prodotto “i nostri”. Ma se non fosse così, e utilizzando sempre i dati dichiarati a mezzo stampa, per produrre circa 450 mila/tonn. servirebbero non meno di 25 mila ettari, che sono già 10 mila in più. Ma se i dati dei migliori produttori sono più veritieri, la superficie si raddoppia: 50 mila ettari! Una bella differenza. Un agronomo, o un dipartimento universitario, potrebbero essere molto più precisi.

Ma il punto non è questo. Il punto vero è che si continua ad andare avanti (molto lentamente) in un progetto – che ora si definisce in esclusiva mondiale proprio in Sardegna (sic!) – che sconvolgerebbe tanta parte (quanta???) del territorio regionale per una produzione, che dopo il 4° anno di raccolto, ci lascia in una grande indeterminatezza.

Per una mega centrale a biomasse (che non sono proprio energie rinnovabili!). Intanto, da più parti, compresa la boscosa Toscana, i sindaci si coalizzano per sostenere che l’utilizzo delle biomasse – quelle vere – per la produzione di energia (termica ed elettrica) può rappresentare una soluzione sostenibile se effettuata con impianti di piccole dimensioni e utilizzando scarti locali, cioè prodotti a breve distanza, e non sono mai convenienti – invece – se legato a grossi impianti che usino produzioni ad essi dedicate, soprattutto se frutto di utilizzo di vastissime superfici agricole più consone a scopi alimentari.

Tutto ciò tralasciando che, come scritto nel progetto di Matrica, i terreni interessati dalla filiera agricola sarebbero dovuti essere marginali, anche se è accettabile che le sperimentazioni si possano realizzare anche in territori di pregio.

Si può continuare a procedere senza una corretta e trasparente informazione? Si possono permettere i rappresentanti politici, soprattutto se senatori, di divulgare informazioni che creano ulteriore confusione? Io credo di no, ma credo anche che non sia questa l’innovazione che conseguiva al superamento di una produzione chimica di base. Primo perché questa non è innovazione, anche se si usa molto coniugare con “green” questa prospettiva industriale, ed anche perché, ascoltando con attenzione le parole dell’amm.re Catia Bastioli e rileggendo con attenzione il progetto di Matrica, le lavorazioni che fanno derivare il valore aggiunto, almeno per le bioplastiche, avviene altrove e non in Sardegna.

A chi fa bene continuare a regalare il territorio sardo in questo modo?

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