Vite di carta [di Silvano Tagliagambe]
Nel Racconto italiano di ignoto del novecento, abbozzato da Gadda nel 1924, l’autore attribuisce a uno dei suoi personaggi, il giovane Grifonetto, architetto di simpatie fasciste, la seguente meditazione: “Quanta carta! Pensava. Viviamo in un mondo di carta”. Come scrive Mario Porro l’Italia uscita dalla Grande Guerra è giudicata attraverso il filtro del Seicento manzoniano, quello di Caravaggio e di Galilei. È da quest’ultimo che lo scrittore attinge l’immagine del mondo di carta: nella giornata seconda del Dialogo sopra i due massimi sistemi, Salviati ricorda all’aristotelico Simplicio che non è proprio della filosofia sottoscrivere il detto di un’autorità pur indiscussa per “serrar la bocca all’avversario”: “Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta” . Se questa raccomandazione vale per i nostri discorsi, a maggior ragione dovrebbe valere per le nostre vite, che dovrebbero svolgersi in un mondo reale e sensibile, e non in un mondo di carta! Invece ormai in Italia siamo tutti costretti a ripetere e a far nostra la riflessione del giovane Grifonetto. Da professore universitario all’inizio della mia carriera dovevo occuparmi dei miei studenti, per fare in modo che apprendessero qualcosa di utile e significativo per loro, e delle mie ricerche, finalizzate a imparare a mia volta qualcosa da insegnare e a tenermi costantemente al passo con i tempi. Poi, via via, ho cominciato a subire l’incubo e la persecuzione del mondo di carta: megaquestionari da riempire, con tutto il contorno di documenti e adempimenti vari, una vera e propria tortura burocratica ossessiva e oppressiva quanto stupida, come dimostra il fatto che ci venivano chiesti di continuo, ad esempio, dati sugli studenti di cui la burocrazia medesima può disporre facilmente, dal momento che ha un’anagrafe degli iscritti aggiornata ogni mese. A questo punto mi sono arreso: constatato che il mondo di carta era un vampiro crudele che sottraeva tempo ed energie al mondo reale con i suoi problemi concreti da affrontare e risolvere, ho preferito andarmene in pensione, dal momento che avevo scelto l’attività di docente per motivi che nulla avevano a che fare con la compilazione, fino a un dettaglio irrealistico e maniacale, di una quantità enorme di griglie e caselle affamate di dati e di informazioni. Questa decisione mi è costata e ne ho sofferto, ma guardando indietro devo considerarla saggia e previdente, poiché se c’è una cosa che oggi accomuna gli italiani, tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro attività e professione, siano docenti universitari o di scuola elementare, media o superiore, ingegneri, architetti, avvocati, funzionari, impiegati, operai, agricoltori e via elencando ed esemplificando, è il fatto di essere costretti a trascorrere buona parte della loro esistenza in un mondo di carta, con effetti paralizzanti, alla faccia di tutti gli appelli retorici alla semplificazione. L’insegnamento di Galileo ha dato avvio alla rivoluzione scientifica e ai progressi che ne sono seguiti. Questo è uno dei tanti patrimoni della nostra storia e della nostra cultura che abbiamo disatteso e di cui non riusciamo più a comprendere il senso e le ragioni. Carta e ancora carta, sempre carta, testi, nude autorità, questionari, formulari, anziché impegno concreto, studio, ricerca, formazione, professione, libero esercizio delle capacità e competenze. Signori governanti, almeno risparmiateci i vostri continui cinguettii anch’essi di carta, che ormai sommergono il canto reale degli uccelli e ci consegnano una realtà che separa l’informazione dalla scienza e dall’arte, trasformandola in propaganda. Così il mondo diventa sempre più sciocco e insipido, perché si rende miope alla complessità e alla bellezza della natura e della vita che la scienza e l’arte ci rivelano, in quanto entrambe sanno parlare in modo diretto alla mente e al cuore e ci aprono gli occhi al fascino, alla profondità, alla semplicità della natura delle cose. |