Renzi: Subito tagli per 20 miliardi e sul bonus non torno indietro [di Roberto Napoletano]
Il Sole 24 ore 3/09/2014. Ha una sciabola in mano, Matteo Renzi, e la brandisce muovendosi da un capo all’altro della stanza nel suo ufficio a Palazzo Chigi. Il fido portavoce, Filippo Sensi, a un certo punto, teme che, tra un roteare e l’altro, venga giù un pezzo di lampadario. Guardavo entrambi e pensavo se avevo davanti un novello condottiero o un Don Chisciotte e, soprattutto, in quel lampadario per un attimo ho visto l’Italia e il suo rischio di una caduta fragorosa. Dio ce ne scampi. A Matteo Renzi e al suo governo, in questi primi sei mesi, non abbiamo risparmiato critiche, a partire dalla composizione della squadra nel giorno di esordio. Non abbiamo condiviso il calendario delle priorità: l’emergenza è l’economia non le riforme istituzionali che sono ovviamente molto importanti, ma per noi vengono appena dopo. Il Paese ha bisogno di ritrovarsi in un disegno civile di sviluppo che liberi le risorse positive e crei un «ambiente» di competitività e di legalità capace di catalizzare fiducia e attrarre investimenti per dare opportunità serie ai troppi giovani senza lavoro e ai troppi quarantenni/cinquantenni che la sera vanno a letto con un’occupazione e la mattina dopo si svegliano senza un impiego e senza la speranza di riaverlo. Ascoltiamolo. Presidente, il bonus da 80 euro non ha portato l’auspicata scossa all’economia, ma vendite al dettaglio in caduta (-2,6%), nuovo balzo della disoccupazione (12,6%), l’Italia in deflazione e recessione. Il Paese esige serietà: l’emergenza è il lavoro e il lavoro può venire solo dagli investimenti. È ancora in tempo per farlo: se la sente di dire che i 10 miliardi che ha impegnato per il bonus li mette tutti per ridurre il costo del lavoro privato e se la sente di prendere l’impegno di fare (non annunciare) una vera riforma del mercato del lavoro? Nel modo più categorico le rispondo no sulla prima ipotesi. Ho un’opinione radicalmente diversa e ritengo prematura la valutazione degli effetti del bonus sull’economia: ogni considerazione è parziale in assenza di uno studio serio. Abbiamo voluto il bonus da 80 euro per dare un senso di giustizia sociale e sostenere il potere d’acquisto del ceto medio che è stato tartassato in questi anni e non ha mai visto un intervento di riduzione delle tasse così significativo. Quindi, non solo lo confermo, ma se riesco, lo allargo. Nello stesso tempo, però, abbiamo ridotto l’Irap sulle imprese del 10%… Lo avete fatto aumentando le tasse sugli utili societari. Anche qui c’è una logica: abbiamo voluto spostare tassazione dal lavoro alla rendita finanziaria. Per quanto riguarda, invece, la riforma del mercato del lavoro, le assicuro che ci sarà entro l’anno, tocca al Parlamento, ma rispetteremo l’impegno assunto. Del mercato del lavoro ne parliamo subito dopo, insisto sul primo tema: le elezioni sono passate, il bonus nell’urna si è visto, nell’economia no. Sbagliare una volta è concesso, ma insistere nell’errore con le poche risorse pubbliche disponibili può essere davvero pericoloso… Che sia sbagliato lo pensa lei, caro direttore. Il bonus darà i suoi effetti perché verrà confermato e percepito finalmente come strutturale. Deve essere stabile, e percepito come tale. Il ceto medio ha bisogno di respirare. Nel frattempo l’economia reale langue, la disoccupazione aumenta, lo stesso ceto medio respirerà per davvero solo se l’impresa tornerà ad assumere creando posti di lavoro veri. Servono scelte impopolari, presidente, la situazione dell’Italia è delicatissima da troppo tempo. Nel novembre del 2011 l’emergenza finanziaria ha messo a rischio i nostri titoli sovrani. Oggi questa emergenza finanziaria non c’è più, ma la situazione dell’economia reale è più grave di allora e nulla permette di escludere che la speculazione si risvegli. Possibile che non ci si renda conto che si debbano mettere al centro della politica economica gli investimenti e ciò che è in grado di favorirli scontentando tutti quelli che si devono scontentare? Io non credo che chi governa debba necessariamente scontentare: questa è una visione octroyée della democrazia, una concezione per la quale c’è un’aristocrazia che dirige e un popolo che non capisce, un’aristocrazia che sa qual è il bene e governa senza coinvolgere il popolo. Noi, al contrario, dobbiamo coinvolgere il popolo e io oggi sento che il Paese è coinvolto, la gente mi dice “andiamo avanti”. L’establishment che storce il naso è lo stesso che ha portato il Paese in queste condizioni. Presidente, ripeto, la situazione è seria, le cose vanno fatte qui e ora, non avverto nelle sue parole il senso dell’urgenza. A furia di dire “il popolo è con me”, per non parlare di altro, non c’è il rischio di ritrovarci commissariati? Macché, non esiste. Il nostro Paese deve uscire da questo pregiudizio negativo su se stesso. Noi diamo all’Europa più di quello che l’Europa dà a noi. Ma quale commissariamento, direttore? Certo, dobbiamo fare le riforme e farle velocemente, ma le dobbiamo fare per i nostri figli non per l’Europa. Mi scusi, ma lei avrebbe mai creduto che il cooperatore Poletti cambiava in senso liberale la riforma del mercato del lavoro della professoressa Fornero e restituiva l’accesso al lavoro ai giovani dando loro le opportunità che erano state frettolosamente tolte? E’ arrivato il momento di parlare senza diplomazie della riforma del mercato del lavoro. Le chiedo: avremo o no il contratto di lavoro a tempo indeterminato flessibile? Sulla riforma del lavoro si è fatto un primo intervento importante per decreto, abbiamo corretto un errore grave e ci sono già i primi segnali di inversione di tendenza nell’utilizzo dei contratti a termine per l’ingresso sul mercato del lavoro. Si può fare, per decreto, il nuovo welfare? No, ma sono certo che il Parlamento entro la fine dell’anno approverà il jobs act. Introdurremo in Italia il modello di lavoro tedesco non quello spagnolo. L’Europa, ma soprattutto l’esigenza di smuovere l’economia italiana (esigenza nostra) spingono per il contratto di lavoro a tempo indeterminato flessibile. Presidente, è chiaro che il nodo oggi è politico, ma non doveva essere lei l’uomo politico che abbatteva i tabù? Una cosa è abbattere i tabù, un’altra violare i regolamenti parlamentari. Mi pare che stiamo mettendo fretta al Parlamento su tutto. Sul lavoro, se sarà possibile, cercheremo ancora di anticipare. Confido che il Senato possa varare la riforma entro ottobre, confido che l’esame del provvedimento possa procedere bene e speditamente. Abbiamo bisogno di scelte coraggiose e innovative, fuori dalla logica dei veti incrociati. Contratto a tempo indeterminato flessibile vuol dire anche superamento dell’articolo 18 e della reintegra obbligatoria? Quella è la direzione di marcia, mi sembra ovvio. Sarà possibile solo se si cambierà il sistema delle tutele. Torniamo sempre lì: come vede presidente, per salvare il Paese a volte occorrono scelte impopolari, la riforma del lavoro della Germania la volle il cancelliere Schroeder e gli costò la mancata rielezione, ma la Germania e i tedeschi ancora oggi da quella riforma traggono vantaggi economici e sociali. Non ho paura di perdere le prossime elezioni, ma molte delle riforme che dobbiamo fare sono popolari: la riforma della pubblica amministrazione è popolare per la gente, magari non per i sindacalisti ai quali abbiamo dimezzato i permessi. Lo stesso vale per la spending review… La aspettavo qui, anche se mi corre l’obbligo di segnalare che parlare già di riforma della pubblica amministrazione come cosa fatta è francamente troppo. Soprattutto, sulla spending review sono curioso di capire come farà. Ci sono tagli da effettuare per 17 miliardi solo per coprire le misure esistenti a partire dal famoso bonus. Per fare 17 miliardi non bastano di certo i tagli ai costi della politica… Rispetto i suoi giudizi, direttore, e anche i suoi pregiudizi, ma saremo misurati dai fatti. I tagli non saranno per 17 miliardi, ma io ne immagino 20 perché intendo liberare risorse da investire nei settori strategici come l’istruzione e la ricerca senza aumentare le tasse. Pregiudizi non ce ne sono, ma quest’anno siete riusciti a malapena a fare 3 miliardi di tagli, molti dei quali a carico come sempre degli enti locali che poi ricorrono all’aumento delle tasse. Comprende che sentirla parlare di 20 miliardi con tanta sicurezza desta più di una perplessità? Che lei abbia perplessità non mi sembra una notizia e, comunque, nessuno ha mai fatto la riduzione di tasse che abbiamo fatto noi. Ho qui il bilancio dello Stato, questa estate me lo sono studiato bene, sono più di 800 miliardi di spesa pubblica e credo che sia arrivato il momento di cambiare metodo. Lunedì incontrerò tutti i ministri con il ministro dell’Economia Padoan e valuterò con loro tagli del 3% per ciascun ministero… Presidente, siamo sempre al taglio lineare perfetto, così non si va molto avanti. Nei fatti ogni ministro potrà e dovrà valutare le singole spese da tagliare. Le posso garantire che da tagliare ce n’è, se una famiglia può risparmiare 40/50 euro su un budget di duemila, non vedo perché lo Stato non possa fare altrettanto avendo a disposizione una spesa di 800 miliardi. Se era così facile, lo avrebbero già fatto tutti, non le pare? Bisogna passare dalla cultura della spesa storica a quella della spesa strategica. È finito il tempo di chi ti risponde: ho sempre fatto così. Nessuno ce l’ha mai fatta? Non è un buon motivo per non provarci. Le sfide difficili mi piacciono. Nel frattempo ancora una volta la riforma delle partecipate degli enti locali, prevista da alcuni articoli della bozza dello sblocca Italia, è saltata. Come vede tra il dire e il fare… Inserire quella norma lì sarebbe stato un errore. Ho fatto il sindaco e ho sempre sofferto la schizofrenia legislativa. Adesso che sono dall’altra parte della barricata, non ripeto gli errori che ho sempre criticato. Se vogliamo intervenire sulle partecipate si fa in modo organico, non in modo arzigogolato. Lo faremo con un disegno strategico, come previsto dal ddl Madia che affida una delega in questo senso. Almeno ci dirà se lei è per la vendita o per l’aggregazione? Non sono in contraddizione. La vendita riguarda alcuni Comuni mentre strategicamente credo possa rivelarsi più utile favorire processi di aggregazione facendo attenzione a distinguere le singole situazioni. La Cassa depositi e prestiti e, in particolare, il Fondo strategico possono diventare una sorta di promoter delle aggregazioni e l’obiettivo finale è quello di passare da ottomila a non più di mille società. Se poi si vendono o quotano, meglio. Ogni ministero deve tagliare, ma lei vuole assumere 100 mila insegnanti e, quindi, deve tagliare un altro miliardo per pagare i nuovi stipendi. Non crede che sarebbe più serio occuparsi di ricerca e laboratori e coprire i vuoti in organico allungando gli orari di cattedra? Sono centocinquantamila, a dire il vero i professori bravi lavorano già molto di più dell’orario di cattedra. Noi comunque proponiamo un vero e proprio patto educativo: facciamo le assunzioni gradualmente, ma intanto cambiamo le regole introducendo criteri meritocratici, selezionando gli insegnanti, dando al preside il potere di scegliere chi ritiene più bravo, questa per me è la vera rivoluzione. Dobbiamo recuperare maggiore spazio per alcuni insegnamenti come l’educazione civica, artistica e quella fondamentale della lingua inglese. Qui bisogna fare di più: perché la Rai, ad esempio, non può pensare di trasmettere in prima serata film in lingua inglese sottotitolati? Ma è vero che Cottarelli non ha la sua fiducia e se ne vuole andare? Falso. Cottarelli ha la mia fiducia e quella di Pier Carlo. Ha chiesto di tornare a Washington al Fondo monetario, ma io gli ho chiesto di restare. Vedremo se riusciremo a trattenerlo. In ogni caso la spending si fa per circa 20 miliardi. E’ vero che il suo governo avrebbe chiesto informalmente a un gruppo di banche estere di studiare la fattibilità di un’operazione domestica taglia-debito attraverso la creazione di una società veicolo posta fuori dal perimetro della pubblica amministrazione per gestire, attraverso dismissioni e valorizzazioni, partecipazioni azionarie e immobili? Falso, non esiste nessuna operazione taglia-debito. Non si fa: non possiamo permetterci un danno reputazionale. Per risolvere il problema del debito dobbiamo tornare a crescere, deve farlo l’Europa e noi con lei. La cornice è chiara: 300 miliardi di investimenti sono stati promessi da Juncker, altri 200 sono quelli della Bce e dovremo vigilare che attraverso il credito questi quattrini arrivino all’economia reale. Noi dobbiamo metterci le riforme e lo stiamo facendo. Lei ci credeva che si arrivava al primo voto finale su Senato, titolo quinto, legge elettorale? Delega fiscale, semplificazione della Pubblica amministrazione e giustizia a partire da quella civile e dallo smaltimento dell’arretrato, le abbiamo fatte, sono riforme partite, non mi pare che in questi mesi siamo stati fermi. Pedaliamo, altro che se pedaliamo. Sullo sbloccacantieri anche voi avete ironizzato sulle cifre realmente aggiuntive, abbiamo trovato 3,8 miliardi e non mi pare poco, ma soprattutto sblocchiamo i cantieri, la proroga delle concessioni autostradali vale 10 miliardi, i piani di lavoro fermi da Nord a Sud ora ripartiranno, per le Ferrovie sblocchi per sei miliardi. Poi c’è il credito d’imposta per la banda larga, ma ho voluto che fosse limitato nel tempo, è una finestra che si apre solo per chi investe subito. In tutto, sono oltre 40 miliardi gli investi Presidente, l’elenco è nutrito, questi 40 miliardi non li vedo proprio. La sfida è un’altra: tradurre gli impegni in fatti, evitando il boomerang degli annunci, scegliendo priorità e agendo di conseguenza con serietà. Restiamo sul taglia debito, si faranno almeno i 10 miliardi di privatizzazioni previsti per quest’anno e quelli a venire? Le privatizzazioni si faranno e i target previsti verranno rispettati. Non sono convinto che si debba partire da Eni e Enel. Non vedo prioritario ridurre le quote dello Stato in due società che hanno grandi potenzialità, il corso dei titoli può ancora crescere, si può fare un discorso più strategico. Abbiamo dato un indirizzo di lungo corso a queste aziende e siamo convinti che questo indirizzo possa produrre nuovo valore da ulteriormente valorizzare. Questo vale anche per le Poste dove Caio sta facendo un buon lavoro, lasciamoglielo fare. Esiste il tema di fare cassa: con Padoan troveremo le soluzioni idonee. Presidente, ritorno sul tema dell’urgenza italiana: crede davvero che, con l’itinerario da lei indicato, potrà ricavare spazi di manovra su crescita e flessibilità con un Hollande così debole e una Merkel così forte e così rigida? Quindi per quest’anno, visto l’andamento del pil, saremo costretti all’ennesima e distruttiva manovra correttiva? Vorrei tanto che avesse ragione ma, vista la delicatezza di queste partite, non era forse meglio per l’Italia avere in Europa un ministero economico di peso piuttosto che lady Pesc, indipendentemente dal giudizio che si può avere della Mogherini? Ci sarà un rimpasto di governo? Si parla di Alfano alla Farnesina e di Delrio agli Interni... Posso dirle presidente che mi resta un dubbio, pesante: ha o no la piena consapevolezza della gravità della crisi specifica italiana? La priorità oggi è l’economia non le riforme istituzionali che sono ovviamente importanti, è proprio sicuro che nel suo programma di mille giorni ci sia un disegno organico che rifletta questa urgenza, il senso di una rotta che porti a un clima di competitività e di legalità su cui scommettere per favorire davvero la ripresa degli investimenti e lo spirito di rinascita di un Paese? Non pensavo di convincerla, direttore, ma avendo convinto quattro italiani su dieci, ho una grande responsabilità che mette i brividi. Questo risultato mi spinge a non guardare in faccia nessuno, considero tale consenso il capitale per il cambiamento di questo Paese. Per dirla in termini economici, questo 41% è un utile che reinvesto nella nostra azienda, che è l’Italia. Ma continuerò a farlo con quello stile di leggerezza che è mio: non è serio solo ciò che viene detto con una faccia seria. Vengo da una cultura personale e politica per cui nessuno è indispensabile, per cui ci si può prendere sul serio anche sorridendo. Per salvare l’Italia non servono facce corrucciate, ma idee pesanti. Sono convinto che il Paese non si salva se non si salverà con i suoi imprenditori, le sue famiglie, i suoi lavoratori, la sua gente. Perciò io continuerò a coinvolgere gli italiani anche se l’establishment storcerà il naso e tutti insieme usciremo da questa crisi.
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