L’olocausto dell’orsa Daniza [di Veronica Rosati]

 

Orsa cuccioli

Verdi boschi di alte conifere impreziositi da ruscelli e corsi d’acqua gonfiati dalle abbondanti piogge. Una natura montana curata e rigogliosa custodisce una ricca fauna tipica del territorio alpino. Il Trentino è un vero paradiso. Suona crudele immaginare questo paesaggio come la cornice della morte dell’orsa Daniza.

Ne hanno parlato tutti. Ai media locali hanno fatto eco tutte le principali testate nazionali. Qualcuno osserva che la vicenda ha persino oscurato il discorso di Obama col suo programma di lotta militare contro l’IS. I post sui social non risparmiano nulla e nessuno. C’è anche il solito populismo all’italiana che liquida la morte dell’orsa in maniera acritica. “Tutto questo clamore per un orso” o ancora “Abbiamo problemi ben più seri che stare a preoccuparci delle sorti di un orso”.
Sono questi i commenti che hanno insultato i valori promossi nelle ultime settimane dagli ambientalisti scesi in piazza per difendere la libertà e la vita di Daniza. Sono stati etichettati come i soliti bontemponi che non hanno voglia di far nulla. Fannulloni che ciondolano per le piazze che fanno confusione solo per il gusto di farlo. Un macigno di luoghi comuni che, in questo contesto, da un lato giustifica ad oltranza politiche ambientali sbagliate e superficiali e, dall’altra, sotterrano senza possibilità d’appello i diritti degli animali e la cultura del rispetto per ogni essere vivente.

Per chi non conoscesse l’inizio della storia, vale la pena ricordare che l’orsa Daniza apparteneva al progetto Life Ursus della Provincia Autonoma di Trento. Negli anni 1999 – 2002 una decina di orsi sono stati portati dalla Slovenia sulle nostre montagne. Daniza era una di loro.
L’obiettivo a lungo termine del progetto era quello di “consentire nell’arco di qualche decina di anni la costituzione di una popolazione vitale di circa 40-60 orsi adulti , la cui presenza interesserà molto probabilmente anche le province limitrofe”. Così recita il sito della P.A.T.

Fa uno strano effetto leggere l’aggettivo “vitale”. L’amministrazione provinciale già agli albori del progetto si autoproclamava indirettamente proprietaria della vita dei nuovi forzati ospiti del suo territorio. La ripopolazione dei plantigradi in Trentino sarebbe servita, forse, a rendere più belli i nostri boschi. Più affascinanti e completi. Strappare gli esemplari al loro territorio era necessario a colmare maldestramente l’estinzione locale del mammifero.

La vita di quegli splendidi animali che, fin dai ricordi d’infanzia, suscitano fiabesche emozioni di tenerezza e di paura diventa un bene materiale ad uso e consumo dell’uomo. Ripopolare i boschi appare all’opinione pubblica un atto di attenzione della politica verso l’ambiente e il territorio. Una decisione arbitraria diventa paradossalmente un atto di amore verso la natura. Fa niente che siamo in Trentino e non nelle sconfinate distese del nord America. A nessuno importa che, da queste parti, si è persa l’umana capacità di convivere rispettosamente e pacificamente con la natura selvaggia.

Qualcosa, però, è andato storto. La convivenza fra l’uomo e l’orso non è andata secondo gli autorevoli piani della politica provinciale. Qualcuno non è riuscito a prevedere che non se ne sarebbe stato buono e sorridente a rallegrare le fotografie dei turisti più coraggiosi. Recentemente si è scoperto che l’orso non si comporta come un pupazzo di pezza. Si è avvicinato al bestiame e ha ferito un raccoglitore di funghi valligiano.
Ma come? E adesso? L’orso non doveva essere un elemento perfezionante il territorio? Quell’affascinante animale avrebbe dovuto portare soltanto meriti alla politica e al turismo. Anche la reputazione provinciale avrebbe dovuto trarne dei vantaggi.

Un vortice incontrollato ha visto nelle ultime settimane alternarsi paura ed impotenza con la ferma determinazione di riprendere in mano la situazione procedendo alla sua cattura, forse alla sua soppressione. Imbarazzanti figuracce delle istituzioni locali corrette alla meglio con ripensamenti dell’ultim’ora. Fino a ieri. “In pieno accordo con i protocolli medici” gli ingranaggi fumosi della politica hanno sentenziato la cattura di Daniza. L’hanno colpita con l’anestetico che le è costato la vita.

Un intenzionale epilogo o un beffardo destino mostra al mondo gli effetti sconsiderati di un essere umano che non ricorda più il rispetto per le altre creature che abitano la terra. Si crede, senza diritto, padrone della vita e della morte di milioni di animali, quotidianamente, in tutto il mondo. Considera l’animale un oggetto o una proprietà di cui disporre per i propri fini. Dimenticando i valori della convivenza. Non serve essere necessariamente degli attivisti di Greenpeace o dei vegani convinti per ritornare a considerare gli animali degli esseri viventi, indipendenti dal nostro volere. Esistono e basta. Nei luoghi a loro più adatti, guidati dal loro meraviglioso istinto. Non saranno patinate politiche sedicenti ambientaliste a migliorare la natura. Ce lo insegnano alla scuola elementare che, qualora l’uomo rispetti ogni aspetto della natura, essa rimane perfetta. Forse è stato un principio troppo banale per essere ricordato.

Non sapremo mai come sono andate le cose veramente o quali potessero essere le reali intenzioni del team di esperti inviato nella notte nei boschi dal Presidente Ugo Rossi. La cosa certa è che la vicenda è finita. Daniza è morta e i suoi cuccioli affronteranno l’inverno da soli. Non c’era più tempo e voglia per discutere, per rimediare agli errori di una politica sbagliata. Non era più il caso di affrontare le imbarazzanti problematiche scatenate dalla convivenza con l’orso. Non è da veri uomini ammettere i propri errori.

Fino a quando i valori gridati dagli ambientalisti verranno considerati dei vuoti passatempi di chi non ha problemi peggiori a cui pensare, Daniza sarà morta invano.
I trentini più integralisti hanno gridato ai media nazionali: “l’orso è nostro, pensate ai problemi vostri”. No, l’orso non era nostro. Daniza ve l’ha idealmente gridato nella sua ultima notte. Ha preferito andarsene dai nostri boschi inospitali ed irrispettosi. Alla sua maniera.

One Comment

  1. antonio Cossu

    L’olocausto è stata una cosa più seria. Pesate le parole per favore.

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