E dopo Capo Frasca che si fa? [di Antony Muroni]
Ogni lunga marcia parte con un primo passo. Chi sperava che la manifestazione di Capo Frasca si rivelasse un flop, un piccolo raduno di visionari rompiscatole, antagonisti da sempre messi all’angolo, ha dovuto ricredersi. Le tante diverse bandiere che ieri sono state esposte al vento della costa occidentale viaggiavano sulle gambe di molti che si sono avvicinati per la prima volta a un raduno dal sapore fortemente identitario. Non è un caso che per primi gli organizzatori – sigle politiche e movimenti che fin qui avevano saputo mobilitare solo poche centinaia di aficionados – si siano stupiti del successo della manifestazione. Eppure i pullman e i vessilli non erano pagati né dal sindacato, né dai partiti, come spesso è accaduto. E allora perché c’era così tanta gente? Perché c’erano bimbi, genitori e nonni? Perché la misura è colma. La battaglia sulle servitù – non contro i militari -, contro certa politica colonialista, contro la marginalizzazione della Sardegna sta prendendo forma. Si sta, cioè, finalmente creando una coscienza identitaria che partendo dalla consapevolezza di quel che siamo stati, di quel che siamo e di quel che potremmo essere, aiuterà quest’Isola a uscire dall’angolo. Da Capo Frasca è partito un messaggio forte e chiaro che, passando dal Consiglio regionale, deve arrivare a Roma. È un preavviso di sfratto a una politica che troppo spesso mostra di non saper rappresentare gli interessi reali dei sardi, autocondannandosi a subire lo strapotere delle lobby energetiche, dei trasporti e dell’industria militare. Un’altra Sardegna, che segua la sua vocazione agroalimentare e turistica, è possibile. Senza prescindere dalle bonifiche, che dovranno essere pagate dallo Stato, e dalla conservazione ambientale e paesaggistica. Da Capo Frasca, se si tralascia qualche fuga in avanti e qualche tono inaccettabile che è arrivato dalla folta e composita platea di intervenuti, è arrivato uno splendido messaggio di pace, di sardità, di ribellione e di proposta. Stare uniti è ora un imperativo. Chi è a favore dello status quo non vede l’ora di gioire delle eventuali divisioni di questo strano e bellissimo fronte identitario che, ognuno per la parte che ha potuto, ha reso possibile una bella serata di speranza.
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