Possiamo pensare a un uso non ideologico delle nostre foreste? [di Giuseppe Mariano Delogu]
Pubblichiamo alcune note dalla Relazione tenuta da Giuseppe Delogu nella Sezione Cagliari, anni ’70. Nell’elegante esposizione del mobiliere Marino Cao alla Darsena faceva bella mostra di sé un mobile artigianale di un bel colore rosso vivo: palissandro? No, eucaliptus. Della specie Globulus. Pattada, anni ’10 di questo secolo. Il giovane liutaio Virdis costruisce un violino utilizzando legname di eucaliptus. Cresciuto a fibra dritta e regolare sul letto di un fiume. Mi dicono che il risultato sia stato buono. A Pattada, all’incontro de S’iscola de su trabagliu” ho avuto l’opportunità di parlare e rispondere alla domanda sugli “incendi” introducendo una riflessione sulla selvicoltura e sulle risorse forestali sottoutilizzate nella nostra terra. Vengo da una famiglia pattadese che ai primi del ‘900 lavorava il legno: nonni ebanisti mastros d’ascia, e ciascuno di noi sardi può sicuramente aver contato tra i suoi avi un mastru de linna esperto, intagliatore, carpentiere, costruttore in legname coltivato o spontaneo, locale e pregiato come il castagno, il noce, il frassino, il bagolaro, l’olmo, ma anche pini e, per l’appunto, l’eucaliptus (persino il povero pioppo ha dato origine a mobilio di grande qualità pratica). Quanto rimane oggi, nei nostri paesi, di questo sapere e saper fare? Quanto rimane nei nostri paesi dell’interno, dell’impresa forestale in grado di coltivare gestire, utilizzare e trasformare i nostri boschi in opere d’arte perenni e di valore culturale oltre che economico? Per uno strano paradosso assistiamo, da una parte, a una forte crescita della superficie forestale nell’isola (abbiamo da tempo superato il 65% del territorio occupato da boschi foreste e altre aree forestali, secondo l’inventario forestale nazionale del 2005) anche in territori storicamente coltivati; d’altra parte gli stessi territori sono a disposizione dell’unico e più forte “selvicultore” naturale, cioè l’incendio che, a rotazione, decide come e quando raccogliere il frutto decennale di tanti boschi. (Laconi, Sinnai, Arbus lo dimostrano). Una lettura della risorsa forestale in senso meramente conservazionista ed “estetico” – come interpretata talvolta da alcuni passaggi di un piano forestale ambientale regionale che ideologizza la “pulizia etnica” dei boschi attraverso l’eliminazione sistematica di pini ed eucaliptus (in vista di una non meglio definita “naturalizzazione”) non aiuta e riportare il dibattito sulle possibilità di sviluppo forestale e di filiera del legno. Eppure abbiamo superfici forestali ancora estese e con biomasse di valore economico che, oggi, sono di fatto deprezzate e destinate, se non all’incendio, alla chippatura per essere bruciate in lontane centrali a biomasse, senza beneficio alcuno per il territorio, salvo le elemosine pagate ai proprietari del bosco. Occorre che il Piano Forestale Ambientale Regionale, anziché programmare altri studi più dettagliati (un piano che prevede di fare altri piani non è un piano!), sia aggiornato (aggiungo, anche il P.S.R.) e rivolto a dare prospettive rapide alle esigenze economiche e di sviluppo: quali e quanti ettari di nuovi rimboschimenti? Quali e quanti ettari di gestione assestata di boschi, privati e comunali? Quali investimenti finalizzati all’uso del legname e alla contemporanea difesa del suolo dall’erosione e prevenzione dagli incendi? Quale impresa locale potrà essere rilanciata o reinventata utilizzando filiere energetiche locali, sui boschi pubblici e privati? Quale integrazione con la pastorizia che non sia di mero conflitto? Quale e quanta occupazione (che è anche presidio del territorio in termini preventivi)? Possiamo pensare a un uso non ideologico delle nostre foreste ed evitare la impossibile trasformazione a lecceta di ogni angolo dell’isola? Gli alberi non hanno colpe se i loro geni li hanno fatti nascere pino eucalipto o altro (specie “alloctone”!). Sta alla nostra intelligenza orientare secondo cicli naturali e ecologici la scelta dei siti e delle specie secondo l’analisi delle stazioni più adatte, e con processi selvicolturali lenti, costanti e continui, orientare lo sviluppo della foresta per multiuso. Ho visto da bambino crescere i cedri e i pini larici del Parco comunale di Pattada (su “boschetto”) ora dedicato a Salvatore Pala, forestale morto nel 1983 a Curraggia. Oggi quegli stessi alberi non sono visti da nessun pattadese come “alieni” o “alloctoni” ma come proprio patrimonio. Così come i castagni del Gennargentu (anch’essi “alloctoni” in senso stretto) disegnano i più bei paesaggi montani dell’isola senza che a nessuno venga in mente di eradicarli. Perché dobbiamo ancora fare la guerra ideologica a pinete di Pinus radiata che oggi, dopo e nonostante gli sciagurati fallimenti delle politiche industriali della carta presentano provvigioni anche di 350-400 tonnellate/ha. (dati rilevati in un bosco di Teulada)? Bene: si tratta di alberi che possono avere una destinazione diversa dalla banale legna da ardere, e fare magari sviluppare esperienze imprenditoriali piccole, cariche di know-how come quella del laboratorio del liutaio Virdis di Pattada o, come fu a suo tempo, del mobiliere Marino Cao a Cagliari e centinaia di altri artigiani/artisti ora scomparsi o in pericolo di estinzione. E magari dare nuove chances professionali ai giovani laureati in Scienze forestali di Nuoro, oltre che nuovo lavoro forestale in grado di opporsi allo spopolamento e definire nuove politiche energetiche a scala locale.
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Caro Giuseppe, almeno per dovere di cronaca sarebbe bene precisare che la nostra proposta di P.F.R. non nasceva con quella ipotesi di pizia etnica e che l’impostazione estetizzante fu introdotta durante la discussione in Giunta per impulso del Presidente della Regione on. Soru contro il parere del sottoscritto proponente. Non so cosa sia ulteriormente successo quando poi me ne sono andato, convinto che anche quel lavoro me lo avessero in qualche modo sfregiato.