Alessandro Mola, l’ultimo ceroplasta a Cagliari [di Maria Laura Ferru]
Preziosa per l’illuminazione degli ambienti privati e ancor più negli edifici ecclesiastici, la cera ebbe nel passato impiego artistico rilevante. Di quell’impiego antico sono rimaste in Sardegna poche testimonianze ma tutte di altissima qualità. Nel castello di Sanluri è custodita una ricca collezione di ceroplastiche, in realtà modelli in miniatura, datate tra il XVI e il XIX secolo, di artisti italiani e stranieri tra i quali non manca Clemente Michelangelo Susini (1757-1814), del quale a Cagliari sono conservate le cere anatomiche commissionategli, tra il 1801 ed il 1805, dal viceré Carlo Felice, per il tramite del professore di anatomia Francesco Antonio Boi e giudicate tra le più belle esistenti al mondo. Firenze rappresentò nel passato uno dei centri di produzione di ceroplastiche più importante e, curiosamente, fu ancora la città di Firenze a fare da sfondo al bustino in gesso e cera bianca e colorata qui sopra riprodotto. Il bustino venne plasmato dallo scultore Alessandro Mola che, intorno al 1945, riprodusse con tali materie le fattezze della figlia Viviana, all’epoca bambina di pochi anni. L’opera venne fatta in Sardegna ma al rientro da Firenze, dove Alessandro Mola aveva condotto tutta la famiglia , nel tentativo di sfuggire al disastro della seconda guerra mondiale, specie dopo i bombardamenti che nel 1943 avevano distrutto buona parte della città di Cagliari ed anche la manifattura di ceramica dell’artista, posta nella centralissima via Manno. Nella città toscana Alessandro Mola continuò nell’arte ceramica fornendo in quegli anni modelli alla ditta Pattarino. Ma non dovette trascurare di visitare i luoghi d’arte di cui la città era allora ricca come oggi, subendone il fascino, com’era capitato circa quarant’anni prima allo scultore nuorese Francesco Ciusa che a Firenze aveva frequentato L’Accademia di Belle Arti. Forse non fu un caso se entrambi rivelarono nelle loro opere di piccola plastica la tendenza alla perfezione estetica che promana da tanti esempi della scultura fiorentina del Quattrocento. Questo bustino appare caratterizzato dalla singolare pettinatura a trecce, che in realtà era propria della figlia maggiore Maria Antonietta, all’epoca adolescente, più che della piccola Viviana, ma è proprio il particolare delle trecce rivoltate a giro testa che dà all’opera una singolare aria di classicità. Fu quell’accorgimento, pur sempre ispirato ad una moda frequente tra le donne sarde dell’epoca, che permise allo scultore di rappresentare una versione della classica cuffietta di Desulo ben distinta dalla maggior parte dei modelli da lui stesso prodotti per la Lenci e la Essevi prima della guerra. A Firenze l’artista plasmò in gesso e cera piccoli bustini dei figli maggiori, dei quali purtroppo nulla si sa: tornato a Cagliari modellò quelli delle figlie piccole. Rivelando di avere assorbito, nel contatto con Firenze, il fascino sottile dell’arte medievale toscana che, riversata nel busto che pure rivelava i tratti della piccola Viviana , introduceva nell’arte sarda un inconsueto sapore di classicità. *Esperta di ceramica sarda e perito in argenti antichi
|
Interessante pure nella sintesi. Complimenti
Colgo l’occasione del ringraziamento dovuto a Giancarlo per segnalare, agli amanti del genere, l’opera pregevolissima di Giampiero Cherchi “Il ceroplasta. Un’oscura vicenda nella Firenze del 1700”, edita nel 2008