La ricetta è sempre la stessa: è necessario diversificare [di Angelino Olmeo]
I bilanci consuntivi delle cooperative di trasformazione del latte ovino relativi alla produzione del 2013 evidenziano una tendenza del prezzo di liquidazione in € /lt in aumento rispetto al passato e, nel loro insieme, mostrano una scala di valori che va da 0,80 €/lt a 1,08 €/lt. Un altro dato che appare inequivocabile è che le migliori performance sono a carico di chi ha massimizzato la trasformazione del latte a favore del Pecorino Romano. Va anche detto che la produzione totale del latte continua il suo trend negativo, continua cioè a diminuire. Tale diminuzione è stata totalmente assorbita dalla mancata diversificazione. E’ vero anche che il Consorzio di tutela del Romano, grazie ai nuovi poteri acquisiti dal MAF, aveva fissato la quota massima di produzione in ragione di 250.000 qli circa. La produzione degli ultimi due anni (2013-2014) intorno ai 250.000 qli ha dimostrato il punto ottimale fra domanda e offerta, con il conseguente aumento del prezzo. Questi quantitativi sono così distribuiti: 110.000 circa esportati nel Nord America, la rimanenza nella penisola italiana e, grazie all’affermazione della cucina italiana nel mondo, anche nei nuovi mercati (Giappone, India, Russia, Nord Europa). La produzione del 2013 è stata venduta con un prezzo in continuo aumento, aumento che si conferma anche per la produzione del 2014. Le prime trattative in corso per l’attuale campagna mostrano un aumento del 20-25% rispetto alla chiusura dell’anno precedente. Oggi le quotazioni del Romano vanno da 8,20 €/kg a 8,60 €/kg con aspettative di raggiungere i 9 €/kg. Il mercato americano che nel 2008, a fronte di un aumento del prezzo del Romano Rispetto ad una produzione totale di 250.000 q.li, ne rimarrebbero 140.000 per il mercato italiano e per quello di nuova acquisizione. Il quantitativo non elevato fa supporre che tali mercati saranno in grado di assorbirlo senza grossi problemi, considerando anche il crescente apprezzamento del Romano per la sua intrinseca capacità di condimento che si esalta nelle miscele di formaggio grattugiato. Tutto questo porta a prevedere per il 2014 prezzi di realizzo del latte che non potranno che attestarsi tra 1,20 €/lt e 1,50 €/lt. Alla luce di questi risultati, gli scenari inevitabilmente cambieranno e gli allevatori saranno giustamente motivati a produrre di più per vari motivi: 1) per riconquistare livelli produttivi consoni alle strutture ( stalle, mungitrici, impianti irrigui, etc..), per la cui realizzazione si sono indebitati nel recente passato; 2) per valorizzare al meglio l’acquisito miglioramento genetico del bestiame, mai finora espresso nel suo vero potenziale produttivo, per carenza di integrazione alimentare; 3) perché produrre più latte per ogni singola pecora abbassa il costo di produzione per lt di latte.Se a questo aggiungiamo che le previsioni di prezzo dei mangimi per il prossimo autunno sono orientate a un ribasso del 25-30%, c’è da pensare che si potrà verificare un consistente aumento di produzione del latte, “untori” di blue tongue permettendo. Fermo restando che il Consorzio di tutela dovrà confermare il tetto massimo di produzione del Romano in non oltre 260.000 q.li ( se così non fosse, è certa la crisi per il 2015), questo impegnerebbe circa 170 milioni di lt di latte e ne rimarrebbero 190-240 milioni di lt; tutto ciò sarebbe inutile se ai 260.000 se ne aggiungessero piratescamente altri 50-60.000 sotto forma di imitazione di Romano. Così dobbiamo fin da ora prendere in considerazione che la prossima campagna lattearia sarà contraddistinta da due mercati: uno (A) del latte per Romano e uno (B) per il mercato del latte per formaggi diversi, con prezzi differenti uno dall’altro. Come gestirli? Cosa produrre? Chi dovrà produrli? La ricetta è sempre la stessa: è necessario diversificare. Compito non facile visto che negli ultimi anni abbiamo in parte abbandonato il settore dei formaggi diversi dal Romano perché non retributivo. Inoltre, il calo di prezzo del Grana Padano crea ulteriori problemi. Mentre nel passato abbiamo interpretato la diversificazione come aumento di produzione di formaggio a pasta molle, oggi possiamo ulteriormente diversificare aggiungendo a questi anche quelli a pasta dura, che riscontrano gradimento sempre crescente nei consumatori, per esempio formaggio tipo “Gran Anglona”, “Sartigliano”, etc… Avanzerei anche un’altra ipotesi: per differenziarci ancora meglio proporrei una linea con filiera di produzione certificata di Pecorino esente da manipolazione genetica (OGM FREE). Questo può interessare in modo parziale tutti i tipi di formaggio da noi prodotti, non escluso il Pecorino Romano, magari rivisitandone il regolamento di produzione in alcuni punti quali : percentuale di sale al minimo, meno mesi di stagionatura, titolazione del grasso nel latte. Chi dovrà produrre il latte A e chi il latte B? La risposta non può essere che una e una sola: tutti, proporzionalmente al latte prodotto, come per altro fa da oltre mezzo secolo la vicina Francia con il Roquefort.Chi ritiene invece di avere acquisito in passato titoli di merito tali da autorizzarlo a produrre percentuali superiori ad altri di Romano, dimostra un irrefrenabile istinto alla prevaricazione, dimostra di essere fra coloro che maggiormente hanno contribuito a determinare le crisi del passato e si candida automaticamente a preparare la prossima crisi del 2015. Un esempio per tutti:l’ultimo caseificio consortile costruito a cavallo del 2000 è stato finanziato perché secondo in una graduatoria di merito; per essere in quella posizione aveva preso l’impegno scritto di “accentrare la produzione delle cooperative socie e di diversificare le produzioni di formaggio diversi dal Romano”. Il risultato finale è stato che le singole cooperative socie si sono ristrutturate per loro conto e la produzione del neocaseificio è stata solo ed esclusivamente Pecorino Romano. Premiare ora con l’attribuzione di maggiori quote di Pecorino Romano chi ha agito “a s’afferra afferra”, costituirebbe un’offesa nei confronti delle industrie di trasformazione più responsabili e rispettose delle direttive assessoriali. Fra qualche giorno ci sarà il rinnovo del C.D. del Consorzio di Tutela. Ci si augura che l’Assessore all’Agricoltura nomini, come suo diritto e dovere, una persona competente e autorevole che tuteli nel modo più equo il mondo della produzione e quello della trasformazione del latte ovino: solo così farà gli interessi della Sardegna.Infine, da inguaribile idealista, sogno che su questo progetto si possa trovare, nell’interesse di tutti i soggetti della filiera, un accordo storico, che rappresenti la pietra miliare per la rinascita del settore del latte ovino. Se così fosse, sarebbe legittimo chiedere alla RAS che allestisca, per tutte le eccellenze dell’agroalimentare sardo, all’Expò 2015, un’esposizione senza risparmi che richiami l’attenzione del mondo intero su una piccola isola del Mediterraneo, l’isola degli ultra centenari e della salute, ricca di storia delle tradizioni alimentari e capace di rinnovarsi conservando la salubrità. Un’isola, insomma, come ad un amico piace definirla, “una moderna archeologia”. *Allevatore |
Come non concordare con la lucida analisi del Dott. Olmeo.
Voglio solo avanzare qualche dubbio sul fatto che il modello Roquefort sia esportabile e equo anche in Sardegna.
Il modello Roquefort si basa su un sistema di quote di produzione di latte di categorie A,B e C. Le quote sono state assegnate con un sistema che a me appare iniquo. In pratica, se ho ben compreso durante una visita effettuata qualche anno fa, le quote sono state stabilite facendo la foto delle produzioni negli allevamenti a un dato momento. Ciò significa che oggi il prezzo medio del latte riconosciuto ad un allevatore dipende dalle quote A,B,C che gli sono state assegnate e solo secondariamente dalla qualità del latte prodotto. Ciò ha l’effetto che gli allevatori difficilmente aumentano le produzioni se non hanno spazio nella fascia A di prezzo tanto che nonostante il livello produttivo medio della pecora Lacaune sia circa 1,5 volte quello della Sarda si sta diffondendo la monomungitura soprattutto negli allevamenti con quote A molto elevate. Insomma un sistema molto particolare che non è probabilmente adatto alla situazione Sarda per molte ragioni.
Il sistema Lacaune inoltre è, a mio avviso, molto penalizzante per gli allevatori che non contrattano neanche lo stabilimento a cui conferire il latte trovandosi di fatto un unico interlocutore in sede di contrattazione del prezzo.
Insomma, per adattare un sistema alla situazione sarda credo ci sia molto da riflettere ancora.