Si scrive Sardegna, si legge paradiso degli eco furbi [di Nicolò Migheli]
Non capita spesso di partecipare ad un convegno e sentire i relatori dirsi l’un l’altro: oggi ho imparato molte cose. Chi è intervenuto al convegno Quale energia per quale Sardegna? organizzato dal FAI (Fondo Ambiente Italiano), sabato 27 settembre a Milis, ha scoperto una realtà che lascia interdetti. Che la Sardegna fosse un luogo di predatori dell’energia lo si diceva, lo si scriveva, ma dai dati esposti, dalle relazioni di accademici, professionisti, imprese, imprenditori agricoli se ne è avuta la certezza. Come stare su di un treno che corre verso una destinazione ignota con un conduttore nascosto ai più. Sempre che ci sia questo conduttore, e non si sia invece in presenza di una miriade di iniziative che sfuggono a qualsiasi logica che non sia quella dei “molti, maledetti e subito”. Scoprire, ad esempio, che l’investimento nelle serre fotovoltaiche si ripaga in due anni, e il tempo restante è guadagno netto. Società che cambiano di proprietà e scompaiono, giochi di scatole cinesi con il rischio che il proprietario dell’area alla fine non abbia nessun affitto e si ritrovi con ferraglia da smaltire ed un terreno senza vita, sigillato dopo anni di coperture metalliche. Oltre al danno la beffa. In quindici anni, è cambiato il panorama della Sardegna, disseminato di torri eoliche, di fotovoltaico a terra, di impianti per la combustione delle biomasse, minacciato dallo scavo di pozzi per la ricerca del geotermico, del gas, del petrolio fino agli impianti termodinamici pensati per il deserto e approdati sui nostri terreni agricoli. Si corre il rischio di rimanere senza le migliori terre coltivabili in un mondo dove nel 2050 sono previsti 9,5 miliardi di abitanti, dove già oggi l’isola importa l’80% del cibo ed esporta il 40% dell’energia prodotta. Intanto si propone la coltivazione del cardo per le bioplastiche e di canne nel Sulcis per le centrali a biomassa. Il tutto in assenza di qualsiasi Piano Energetico Regionale. Nessuno che risponda alle domande che ci si poneva nell’incontro. Perché si deve produrre tanta energia? Chi lo deve fare? Quali sono i futuri probabili e quanta energia occorrerà loro? Il piano energetico è funzione di un progetto di sviluppo. Ne abbiamo uno in Sardegna? Luciano Burderi dell’Università di Cagliari, affermava che per affrancare tutta l’isola dall’energia fossile basterebbe che nei 377 comuni si realizzasse un impianto fotovoltaico delle dimensioni di ventisei campi di calcio in rete con l’idroelettrico. Un dato teorico perchè la superficie potrebbe essere ridotta dai tetti fotovoltaici ecc. Poiché l’energia è bene comune e le reti sono complesse, deve essere il pubblico a realizzare gli interventi. L’energia non può essere il far west, lasciata all’anarchia dei privati. E’ come chiedere ad ognuno di tracciarsi la strada da casa sua, col risultato di paralizzare la circolazione. Le energie fossili sono in fase di esaurimento, con i costi di estrazione dei giacimenti residui che diventeranno talmente alti da non essere remunerativi. Rockefeller dopo essere diventato straricco con la Exxon dichiara sui giornali che boicotterà gas e petrolio. Anche lui investe in rinnovabili. L’affare del presente e del futuro. Il capo della Procura di Cagliari Mauro Mura, intervistato nel corso del Convegno dal direttore dell’Unione Sarda, con parole caute ha lanciato un allarme. La partita delle energie rinnovabili sta facendo muovere forze oscure e finanza grigia. Benché non vi sia certezza, è probabile che il crimine organizzato abbia messo gli occhi da tempo sull’affare; cita le intercettazioni dove Totò Riina afferma che il boss Messina Denaro si sta dedicando ai “pali della luce”. L’incontro ha assunto toni preoccupanti quando un’imprenditrice agricola ha raccontato di aver scoperto per caso che i suoi terreni sono stati inseriti in un progetto sul solare termodinamico e che potrebbero essere espropriati in virtù del DPR 327 del 2001. In questo novello Klondike per pochi, un impianto termodinamico privato è di pubblica utilità? Tutto da dimostrare. Non vi è dubbio però che la potenza finanziaria di chi investe potrà procurarsi i migliori avvocati. Nell’incertezza resta la domanda: esiste ancora una proprietà privata in Italia? O esiste solamente per chi può avere a sua disposizione i migliori studi legali d’Europa? Lo stato di diritto, a questo punto, è fortemente compromesso. Non aiuta il decreto Salva Italia, con le valutazioni di impatto ambientale avocate a Roma sorpassando regioni e comunità locali. Decreto in odore di anticostituzionalità, ma tant’è. Fino ad oggi l’unico contrasto agli ecofurbi è venuto dai comitati territoriali. Il più famoso di tutti, quello di Arborea, che è riuscito ad impedire lo scavo di pozzi in un’area pregiata. Il parere negativo del SAVI, il Servizio di vigilanza regionale, ha fatto perdere il controllo anche ad un giornale misurato come il Sole 24 Ore. Come osano questi trinariciuti fuori tempo? Sembra chiedersi il giornale confindustriale. La politica, quella dei partiti e nelle istituzioni, non pare rendersi conto dell’entità dello scontro in atto. Parte di essa è forse complice, vicina a faccendieri che navigano nell’area grigia tra finanza e relazioni potenti; l’altra è superficiale o non informata, o semplicemente vittima del pensiero unico che taccia da passatista chi non è d’accordo. Eppure in Sardegna esistono competenze complesse e diffuse ed una società educante che agisce per irrobustire la pubblica opinione. L’incontro, particolarmente competente ed affollato, ne è stato testimonianza. Lo ricordava Maria Antonietta Mongiu, Presidente regionale del FAI Sardegna, nel suo intervento conclusivo. Saperi e competenze che però non riescono ad incontrare la politica, sequestrata com’è dalla sua autoreferenzialità e dai partiti italiani (e non solo) con interessi che il più delle volte sono in netto contrasto con quelli della comunità regionale. È tempo di una grande presa di consapevolezza. E’ tempo di una vertenza unitaria con lo Stato su tutti i temi in agenda. Ogni giorno che passa siamo noi a perdere. Bisogna salvare la Sardegna anche scontrandosi duramente con i potentati politici romani e sardi. Siamo con le spalle al muro e la posizione non è delle migliori. |
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L’energia è un prodotto come altri, si vende e si esporta, produrre energia vuol dire creare ricchezza
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In un mondo libero lo dovrebbe fare chi è capace di farlo traendone profitto e rispettando le regole di civile convivenza che una società evoluta ha adottato.
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Non credo che la produzione di beni di consumo “comuni” affidata ad enti “pubblici” sia una soluzione in linea con il nostro tempo…
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In un mondo globalizzato e con istituzioni sovranazionali parlare di pianificazione regionale e addirittura di progetto di sviluppo di una intera regione appare velleitario … ritengo che invece di perdere tempo a tracciare le tante e spesso contradditorie “pianificazioni” (che si rivelano puntualmente fallimentari dopo solo qualche anno) ci si debba preoccupare di facilitare la produzione dei beni e l’accesso ai beni da parte di tutti e tutelare e valorizzare il patrimonio disponibile…
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L’energia elettrica è utile per lo sviluppo, per produrre cibo, per le comunicazioni, per il riscaldamento e il confort, per produrre beni materiali, per distribuire razionalmente l’acqua, per i trasporti treni e metropolitane, in un futuro prossimo sarà utile per il trasporto individuale… disporre di risorse energetiche equivale a disporre di ricchezza.
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… torniamo a una concezione statalista? La mano “pubblica” che produce e distribuisce energia ? Non mi pare che “pubblico” in tante realtà vissute abbia prodotto esperienze “virtuose”…
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Questa è pura “dietrologia” … gli strumenti per combattere la criminalità non possono essere il blocco delle iniziative o la rinuncia allo sfruttamento delle nostre risorse naturali !
L’energia non è un prodotto come tanti altri, infatti è direttamente collegato con le risorse disponibili e quasi mai del tutto rinnovabili che devono essere consumate per produrla; tali risorse sono beni comuni e non assimilabili a semplice merce di scambio da mettere in gioco per produrre energia. Questo principio assume un valore importante e strategico proprio in un contesto di mondo globalizzato, dove è necessario porre dei paletti affinchè in nome di tale globalizzazione non ci siano società e popoli che pagano un prezzo molto più elevato in termini di danni rispetto ai benefici. Passando oltre, l’energia, come l’acqua, l’aria, il suolo per citarne alcuni sono beni comuni e non possono e non devono essere lasciati in mano ai privati. Certi settori vanno guidati dalla mano pubblica, ovviamente questa deve essere efficiente, ilchè non difficile da raggiungere se l’obiettivo è chiaro. Oggi si tende a demolire del tutto la mano pubblica, se mai si è voluta incentivare anche nel passato, regalando al facile profitto il destino dei tanti cittadini che devono subire scelte e decisoni che non portano alcun beneficio.
Una risposta si trova nel piano energetico approvato durante la giunta Pili, che stabilisce la trasformazione della Sardegna in una ” piattaforma energetica” per l’esportazione dell’energia elettrica come prodotto locale. Nulla è cambiato da allora. Leggerlo per credere