L’importante è saperlo [di M. Tiziana Putzolu]
Dunque. Ricapitoliamo. Tra quelle e quelli che timbrano il cartellino. Tra quelle e quelli che fanno i commessi e i magazzinieri al supermercato. Tra quelle e quelli che lavorano in scuole, ospedali, fabbriche, negozi, per strada. In piccolissime, piccole, medie, grandi e grandissime imprese. Tra quelli che il lavoro lo offrono (che vuol dire che lo cercano) e quelli che il lavoro lo comprano (perché hanno un’impresa) non c’è più nessuna differenza. Sarebbero, tutti insieme, una Comunità di Destino. L’importante è saperlo. Quello che è accaduto, e che è passato in diretta tv (encomiabile esercizio democratico), è solo l’epilogo di un lungo percorso che corre lungo un asse di oltre vent’anni. E’ vero, il tempo scorre. La società cambia. E cambia (altro che se è cambiato) il più grande partito che qualcuno chiamava negli ultimi tempi, pomposamente, laburista. All’inglese. Che deriverebbe dal latino labor, cioè fatica. Qualcosa è accaduto. E’ accaduto, principalmente, che tra i soggetti cosiddetti del pluralismo, partiti, sindacati ed istituzioni, i rapporti si sono modificati ed i modelli interpretativi tradizionali alla base del sistema politico sono andati in crisi. In frantumi. Soprattutto è profondamente cambiato il rapporto tra i partiti ed il sindacato. I legami di simbiosi tra questi due soggetti si sono allentati (nel bene e nel male). Perché il Partito Politico non è più luogo centrale di elaborazione intellettuale, ma il luogo di aggregazione di interessi multipli e contrapposti, economici e sociali insieme. Trasversali. E quella funzione di elaborazione politica ed ideologica, di visione della società, è stata via via sempre più inglobata e fatta propria dal sindacalismo (il Piano del Lavoro della Cgil ne è un esempio recente). Sarà per questa ragione che Matteo Renzi e la maggioranza del Partito Democratico hanno deciso di attaccare con ‘violenza’ il sindacato. Proprio perché, forse, è rimasto simbolicamente unica roccaforte da espugnare. Abbattuto quel muro rimarrebbero praterie sulle quali correre tutti insieme, tutti uguali, cantando slogan liberisti a squarciagola. Tra sindacati e partiti una alleanza non c’è più. E’ evidente. Perché non ci sono più i temi che aggregavano quelle alleanze. Perché il più importante di quei temi aggreganti, il lavoro, è diventato uno strumento di propaganda superficiale, da usare a basso costo, poco. Quanto basta all’occorrenza. Per difendere i più giovani, si dice. Svalutato. Svilito. Consumato. Confuso. Forse inutile. Avrà portato del bene ai partiti questa miscellanea? Questa confusione. Questa raccolta ‘indifferenziata’ di consenso? I risultati sociali sono sotto gli occhi di tutti. Quelli organizzativi meno. Bisogna cercarli nei dati sui tesseramenti. Che dicono cose chiarissime. Dal 2007, anno del passaggio dai Ds al Pd, il Partito Democratico guadagna oltre duecentoventimila iscritti rispetto ai Democratici di Sinistra, crescendo in quasi tutte le regioni italiane (e in particolare in quelle del Sud). Ma subisce quasi subito un forte ridimensionamento. Nei primi cinque anni di vita una progressiva emorragia di tesserati fa dimagrire il partito di oltre trecentomila iscritti. Ecco. L’importante è saperlo. Dicevamo. Sapere che tra chi riceve una lettera di richiamo dal suo datore di lavoro perché ha fatto una pausa troppo lunga. Tra chi riceve una sanzione disciplinare perché ha usato la mail aziendale per mandare una comunicazione ad un amico. Tra chi riceve la lettera di licenziamento e chi la manda non c’è più nessuna differenza. I versetti del Vangelo secondo Matteo si arricchiscono ogni giorno di nuovi (non tanto) argomenti. E vengono giustamente fatti propri da chi, evidentemente, ritiene che tra lui in qualità di capo azienda ed i suoi dipendenti non vi sia nessuna differenza. Né sul piano sociale né su quello giuridico. Tutti insieme. Tutti produttori. Tutti dentro lo stesso destino. Tutti dentro lo stesso partito. L’importante è saperlo. Quando si va a votare. *Foto: Cicci Borghi in El Greco |
Lavoro in una azienda industriale medio piccola (siamo duecento dipendenti). E’ una Srl i cui proprietari sono tre fratelli. Io li chiamo i padroni…perché come altro dovrei chiamarli visto che fanno e disfano come piace a loro. I giorni scorsi un uomo politico del maggior partito italiano così li ha chiamati e in tanti si sono risentiti…come a dire “Come ti permetti di usare questi termini, i padroni non esistono più, sei proprio superato, sei proprio da rottamare. Non ci sono più padroni ma solo lavoratori…” Solo che certi lavorano e basta mentre altri mandano anche lettere di licenziamento…ma questo sembra sia un dettaglio insignificante. Comunque nella mia azienda i tre padroni arrivano alle ore più disparate chiusi nei loro Suv con l’aria condizionata , il sistema satellitare, l’auricolare e il microfono del cellulare sempre in funzione perché parlano e si connettono in continuazione. Quando entrano negli uffici si spande un bel profumo che non è quello a cinque euro che io compro al market; e poi indossano la camicia bianca (col colletto lungo e i polsini rifiniti a mano) che ho visto esposta in via Alghero a 165 euro, e le scarpe di Santoni che se andate in piazza San Benedetto le trovate a 550 euro. Però sono lavoratori anche loro…questo passa il pensiero unico di questi giorni. Io in azienda arrivo con la Panda, timbro alle otto in punto e lo Smartphone me lo sogno; le camice le compro ai grandi magazzini e le scarpe ai saldi e solo sotto i sessanta euro. Sono un lavoratore anch’io. Come loro, i padroni. Nel reparto un collega mi ha detto che tutti e tre i fratelli sono anche a libro paga della Srl e ciascuno a fine mese si prende settemila euro…Sono lavoratori anche loro e devono essere pagati…solo che io per arrivare a quanto guadagnano loro in un mese ci metto sette mesi. Insomma l’importante e saperle queste cose così stiamo sereni!