Decreto “Sblocca Italia”: quattro NO e un SI [di Andrea Carandini]

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Una ragnatela di disposizioni burocratiche, cattive pratiche e inveterate connivenze impedisce al Paese di ammodernarsi e svilupparsi. Le pubbliche amministrazioni sono paralizzate da direttive inattuali e fondi e personale sempre più scarsi consentono sempre meno l’applicazione delle leggi e la soddisfazione dei bisogni di cittadini e imprese. Concordiamo con il Governo: tutti questi sono micidiali freni allo sviluppo.

E allora, come sbloccare l’Italia? Il Decreto legge 133 ha l’obiettivo di semplificare, alleggerire, accelerare i procedimenti in materia di opere pubbliche e private, per favorire realizzazioni strategiche, il rilancio dell’economia e processi di trasformazione ispirati alla pubblica utilità. Sono finalità condivisibili e alcuni provvedimenti meritano di essere incoraggiati, ma altri svelano, al contrario, una tendenza pericolosa che, invece di inaugurare una stagione di modernità – come nelle intenzioni del Governo – rischia di trascinare l’Italia, una volta ancora, nella spirale di errori inveterati.

Stupisce che un governo che intende cambiare prima di tutto la mentalità del Paese fornisca una toppa che è peggiore del buco, cioè la deroga che diventa regola. Stupisce ancora di più questa scelta nel campo del paesaggio e del patrimonio culturale, perché la deroga, divenuta frequente ricorso, rischia di equivalere a un condono perpetuo. Questo ci allontana nettamente dalla tutela e dalla promozione della cultura sanciti dell’articolo 9 della Costituzione.

Invece di dare forza alle leggi esistenti che regolano l’uso del suolo, di favorire istituzioni, come il MiBACT, preposte alla loro applicazione e di pianificare lo sviluppo in un’ampia visione, capace di integrare diritti e doveri in un quadro di valori condivisi, il decreto di cui si tratta sceglie di aggirare in più punti il Codice dei beni culturali e del paesaggio istituendo il principio della deroga volta a impedire la legge, esprimendo essa il suo contrario, e ciò avviene in quattro articoli che il FAI fermamente contesta: il 17, il 25, il 26 e il 37.

I quattro provvedimenti citati reagiscono a un’evidente paralisi del sistema, instillando però rimedi peggiori del male. Se fossero stati varati i piani paesistici, che nessuna Regione è ancora riuscita ad approvare a causa della resistenza di poteri piccoli e locali insieme a poteri forti e ubiqui – fatto gravissimo – non sorgerebbe il bisogno di aggirare le norme, perché l’uso del suolo sarebbe regolato preventivamente e in maniera inderogabile in base a principi di utilità e anche di tutela e sostenibilità. Purtroppo il decreto “Sblocca Italia” rivela la volontà di seguire un’altra strada, rapida ma rovinosa.

Dopo il “Decreto Cultura” e l’annunciata proposta di riorganizzazione del MiBACT, su cui il FAI si è espresso in maniera latamente favorevole, pur suggerendo miglioramenti e invitando a varare una sperimentazione capace di permettere correzioni, gli articoli citati del decreto “Sblocca Italia” segnano un passo indietro, che qui denunciamo. Sorprende, tra l’altro, che alcuni provvedimenti che critichiamo, già presenti nel Decreto Cultura e poi respinti, rispuntino ora in questo “Sblocca Italia”.

Se plaudiamo alle intenzioni del decreto, volte alla semplificazione e al recupero del patrimonio edilizio pubblico, ci schieriamo contro quei provvedimenti che minacciano l’integrità e il rispetto del paesaggio – parte rilevantissima della missione del FAI – che vediamo applicati a diversi ambiti: da quello delle risorse energetiche a quello delle infrastrutture di trasporto.

Il FAI pronuncia con determinazione quattro NO e un SI su questo decreto che, ove non venisse emendato, rischia di pregiudicare il lavoro di chi, come noi, si impegna nella cura e nella promozione del paesaggio italiano, che ingloba in sé l’intero patrimonio culturale della Nazione.

NO all’autorizzazione edilizia prima del parere della Soprintendenza (art. 25, comma 3)
L’articolo 25 (co. 3) consentirà ai Comuni di rilasciare l’autorizzazione edilizia in aree sottoposte a vincolo paesaggistico anche in assenza del parere della Soprintendenza. Il parere deve giungere per legge entro 60 giorni dalla richiesta. Oggi, anche se ciò non avviene, il Comune non può autorizzare l’inizio dei lavori, perché il parere della Soprintendenza è vincolante per il Comune.

In base alla nuova norma, invece, il parere della Soprintendenza rimarrà teoricamente vincolante ma di fatto il Comune ne sarà svincolato, in quanto potrà autonomamente concedere l’autorizzazione. Ma la vicenda si fa ancor più complessa. Nei 60 giorni seguenti l’autorizzazione concessa dal Comune, infatti, la Soprintendenza potrà impugnare l’atto autorizzativo, onde esprimere seppur tardivamente il proprio parere. Il ricorso, tuttavia, avrà poche garanzie di successo perché, non disponendo di un servizio legale proprio, le Soprintendenze dovranno rivolgersi all’Avvocatura dello Stato, oberata da ben altre priorità, e i termini per il ricorso facilmente scadranno.

Se dunque nei secondi 60 giorni il ricorso della Soprintendenza non avrà successo, l’autorizzazione sarà definitiva. Se invece il ricorso avrà successo e la concessione comunale sarà invalidata, e nel frattempo il privato avrà già iniziato i lavori, in quanto autorizzato dal Comune, potrà insorgere una causa del privato contro la Soprintendenza, colpevole di inadempienza per non essersi espressa entro i termini di legge. Il privato, del resto, si troverà in una situazione alquanto imbarazzante, autorizzato dallo Stato e poi dallo stesso Stato bloccato. D’altro canto la Soprintendenza, già indebolita nelle risorse e nel personale, tanto da non riuscire spesso ad emettere il proprio parere entro i primi 60 giorni, si troverà a dover far fronte a ricorsi impossibili da vincere o alle denunce dei privati.

NO alle concessioni edilizie in deroga al piano urbanistico comunale (art. 17, comma 1, lett. b), e) ,q)
L’articolo 17 (co. 1) intende semplificare e accelerare le procedure di autorizzazione in caso di cessione di terreni edificabili da parte di privati all’ente pubblico e in caso di concessioni edilizie. A tal fine introduce un principio di deroga al piano urbanistico vigente, che si formalizza nel “permesso di costruire convenzionato”, alla base del quale è una contrattazione di tipo “privatistico” tra Comune e imprenditore. Quest’ultimo potrà cedere un terreno al Comune per realizzarvi opere di pubblica utilità, ottenendo in cambio maggiori diritti edificatori in deroga al piano urbanistico comunale.

NO all’esclusione del MiBACT dalle procedure di autorizzazione dei gasdotti (art. 37, comma 2, lett. b)
L’articolo 37 (co. 2) riguarda le misure urgenti per l’approvvigionamento e il trasporto di gas naturale. Per facilitare la costruzione di gasdotti e delle consistenti opere ad essi legate, anche in territori vincolati perché di alto valore paesaggistico, non saranno più richieste al MiBACT né l’autorizzazione paesaggistica né la preventiva verifica archeologica.

L’autorizzazione concessa dall’amministrazione competente, infatti, avrà valore, oltre che sul piano urbanistico ed edilizio, anche su quello della tutela, infrangendo così un principio sancito dall’articolo 9 della Costituzione. Così il MiBACT sarà svuotato del ruolo di tutela che gli compete, le aree interessate dai nuovi gasdotti potranno subire gravi danni paesaggistici e culturali e il provvedimento segnerà un precedente per la costruzione in deroga alle norme vigenti di infrastrutture future di altro genere.

NO alla gestione “privatistica” per la nuova destinazione degli immobili pubblici inutilizzati (art. 26)
L’articolo 26 intende giustamente facilitare il recupero degli immobili non più utilizzati del patrimonio pubblico (caserme, scuole, ospedali, carceri, palazzi, etc.), semplificando la procedura per determinare la loro diversa finalità d’uso e le relative trasformazioni edilizie. Ma per raggiungere questo scopo introduce una procedura accelerata, l’accordo di programma, al quale riconosce il valore di variante urbanistica, ricorrendo una volta ancora alla deroga. Le nuove destinazioni d’uso degli immobili inutilizzati, infatti, saranno decise e gestite nell’ambito di una trattativa “privatistica” tra enti, chiusa alla partecipazione e al dibattito, per cui non verrà garantita la trasparenza, aprendo la strada a contenziosi e all’insoddisfazione del pubblico come del privato.

SI alla legge che regola il consumo di suolo (art. 17, comma 1 lett.g) n.3, 5) lett. h) n.2)
L’articolo 17 (co. 1) introduce misure fiscali che favoriscono il recupero del patrimonio edilizio esistente, disincentivando così il consumo di suolo. Il provvedimento appare positivo, ma andrebbe inserito in un intervento più generale, capace di vincolare lo sviluppo alla preventiva pianificazione dell’uso del territorio che manca da due generazioni. Cogliamo l’occasione, allora, per sostenere il disegno di legge governativo attualmente in discussione alla Camera dei Deputati sul “Contenimento del consumo del suolo e sul riuso del suolo edificato” (AC 2039), che ha tratto origine dalla proposta di legge dell’ex Ministro dell’Agricoltura Mario Catania, approvata in Consiglio dei Ministri due anni fa e successivamente arenatasi.

*Presidente nazionale FAI

 

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