L’asino sardo fuori dal pozzo [di Raffaele Deidda]

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Racconta una storia Sufi che l’asino di un contadino cadde in un pozzo, asciutto ma profondo. Il povero animale ragliava disperato mentre il contadino si agitava, non sapendo come tirarlo fuori. Alla fine, non trovando soluzioni, pensò che l’asino era ormai vecchio e debole. Senza contare che da tempo aveva deciso di riempire di terra il pozzo che era ormai prosciugato. Decise quindi di seppellire l’asino nel pozzo. Chiese ai suoi vicini di aiutarlo. Tutti presero una pala e cominciarono a gettare terra. L’asino ragliò ancora più disperatamente, consapevole di quello che stava avvenendo.

Dopo qualche tempo, tra lo stupore generale, dal pozzo non provenne più alcun suono. Il padrone dell’asino guardò giù, credendo che l’animale fosse morto. Vide però una cosa incredibile: tutte le volte che veniva gettata una palata di terra nel pozzo, l’asino la schiacciava con gli zoccoli. Insieme ai suoi vicini continuò a gettare terra nel pozzo e l’asino continuò a schiacciarla, formando una piattaforma sempre più alta. Finché, arrivato quasi all’imbocco del pozzo, riuscì a saltare fuori. I Sufi attribuiscono alla storia una morale: La vita non smetterà mai di gettarci addosso palate di terra, ma sarà possibile uscire dal pozzo con l’intelligenza e la determinazione. L’importante è non rassegnarci e darci per vinti.

Se la storia – parabola venisse trasferita in Sardegna dovremmo osservare che qualcuno, riconducibile a quella “razza padrona” capitalista raccontata da Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani, il pozzo avrebbe voluto aprirlo e non richiuderlo con la terra. Non per cercare l’acqua, elemento essenziale per la ricchezza di una terra a fortissima vocazione agricola, ma per estrarre gas. Scavando fino a 3000 metri di profondità, peraltro quasi a ridosso delle case e nelle immediate vicinanze di un’area umida d’inestimabile valore naturalistico ed economico in virtù della sua abbondanza ittica. “Il contadino del gas” è la famiglia Moratti, il pozzo si sarebbe chiamato Eleonora e si sarebbe scavato ad Arborea, nelle vicinanze dello stagno S’Ena Arrubia.

Quattro anni di manifestazioni e di proteste portate avanti soprattutto dalla popolazione locale e dal Comitato Civico “No al Progetto Eleonora” e la successiva bocciatura, nello scorso mese di settembre, operata dal SAVI (Servizio di sostenibilità Ambientale e Valutazione Impatti ambientali della Sardegna), che ha rilevato nel progetto della Saras l’incompatibilità con il Piano Paesaggistico Regionale e con il Piano Urbanistico Comunale, avrebbero dovuto scrivere la parola fine di un progetto che avrebbe prodotto danni ambientali molto gravi in luoghi da sempre deputati alle attività agricole e zootecniche.

Oltre l’inquinamento del suolo, sostengono gli esperti del settore che le attività di esplorazione e di estrazione possono comportare fuoriuscite di gas letali, fra i quali l’idrogeno solforato che può provocare danni irreparabili alla salute. Perché mai si sarebbe dovuto compromettere un’area economicamente sana, ricca di attività produttive nel campo alimentare? Per consentire nuovi profitti alle élites petrolifere in cambio della promessa di posti di lavoro, probabilmente precari e a termine, di cui la Sardegna ha comunque fame? Un efficiente ed efficace modello di sviluppo Arborea l’ha già e va sostenuto, incoraggiato ed esportato come “best practice” in altre zone della Sardegna.

Con il decreto “Sblocca Italia”, approvato alla Camera e in discussione al Senato, il “Progetto Eleonora” potrebbe tornare d’attualità in quanto il Governo nazionale potrebbe superare i vincoli regionali, a partire dal Piano Paesaggistico, e consentire progetti di trivellazione considerati “d’interesse nazionale primario e strategico”. A nulla sarebbero servite, quindi, le proteste e le azioni prodotte dal Comitato Civico “No al Progetto Eleonora”, il quale comunque lamenta che “Al di là delle dichiarazioni generiche non esistono atti ufficiali della Giunta regionale che dichiarano la contrarietà ai progetti di trivellazione previsti nell’isola, sia a terra che a mare”.

Tornando alla storia dell’asino, i sardi dovranno farne propria la morale e dispiegare intelligenza, forza e determinazione. Non per uscire dal pozzo ma per non caderci. Per respingere con più tenacia l’ipotesi della trivellazione. Da un pozzo profondo fino a 3000 metri, che sprigiona gas letali, é difficile uscire. Non basterebbero le badilate di fertile terra della piana di Arborea a ripristinare una situazione ambientale compromessa, forse irrimediabilmente.

Oltre la determinazione dei movimenti si renderà indispensabile, come già osservava Costantino Cossu, la volontà della Giunta regionale e della maggioranza di centrosinistra e sovranista di fornire ai comitati spontanei dei territori supporto sostanziale e non formale. Sostegno politico e sponda istituzionale.

 

 

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