Aiuta capire il dolore degli altri [di Attilio Piras]
Ci siamo recati in agro di Decimoputzu per andare a sentire la profonda e forte voce del signor Giovanni Cualbu. “È inutile che continuino a telefonare, a scrivere e adesso anche a minacciare: noi questi terreni, che abbiamo ereditato dai nostri nonni non li vendiamo; non li ce-di-a-mo. Noi non ci siamo mai arricchiti, però questi terreni li abbiamo sempre lavorati e non abbiamo assolutamente bisogno dei soldi di questi signori. Si mettano il cuore in pace e vadano altrove a cercare i terreni per costruire il loro impianto”. Lo sa, signor Cualbu, che si è messo contro una multinazionale? “Loro possono essere anche i più ricchi della terra, ma a me non mi comprano. Io alla terra ereditata da mio padre, che ereditò dai miei nonni e così via, ci tengo e non la cederò ma”. Le possiamo scattare una foto? “No, gradirei di no. Non amo il protagonismo. Questa vicenda mi ha tirato in ballo mio malgrado”. Signor Cualbu, da quando la sua famiglia possiede questi terreni? “La nostra famiglia, proveniente da Fonni dove abbiamo tutt’ora forti legami, ha acquisito questi terreni agli inizi dell’ottocento”. Cosa coltivate in questi terreni? E quante persone ci lavorano? “Guardi qui io personalmente ci lavoro dal 1954 e coltiviamo, ad annate alterne, grano, avena, ieto e trifoglio. Qui con noi, oltre ai componenti della nostra famiglia, ci lavorano anche tre operai che ci danno una mano nelle coltivazioni e nell’allevamento degli animali, ovini e bovini”. Ma qual è la vera intenzione dei dirigenti della Flumini Mannu limited? Con quali proposte si sono avvicinati a lei e ai suoi familiari? “All’inizio sono venuti qui per acquistare i terreni dicendo che dovevano costruire un impianto favoloso che sarebbe stato utile per tutta la comunità ivi compresa la mia famiglia. Poi quando hanno capito che non vendevamo ci hanno minacciato dicendo che comunque questi terreni verranno requisiti per costruire un’opera di pubblica utilità. Mi fanno ridere: quale sarebbe l’opera di pubblica utilità se poi a guadagnarci sono dei privati? Hanno anche prodotto una perizia dove si dice che questi terreni sono al limite della sopravvivenza, che non danno un reddito alto se paragonato a un settore come quello industriale. Ma a noi cosa ce ne frega di quello che dicono e pensano loro? Noi abbiamo sempre lavorato la terra, facciamo gli allevatori da generazioni, viviamo dalla vendita della carne e del latte e facciamo una vita sana e genuina. Perché non ci lasciamo in pace e cercano di sottrarci con l’inganno e con la forza questi terreni?”. Signor Giovanni, siete soli in questa battaglia o la comunità putzese vi sta aiutando? “Per fortuna non siamo soli: ci aiutano Gli amici della Terra e gran parte della comunità di Decimoputzu con in testa il Comitato spontaneo “Terra Sana”. Lo stesso Consiglio comunale per questo progetto si è espresso negativamente in una delle ultime sedute consiliari”. Ultima domanda. In cuor suo come prevede che finirà questa vicenda? “La soluzione per me e la mia famiglia è solo una: questa azienda a conduzione famigliare, che lavora questi terreni da quasi due secoli, deve continuare a lavorarli senza che nessuno ci metta il becco. Io non darò mai l’autorizzazione alla vendita e se cercheranno di prenderceli con la forza, giuro che dovranno passare sul mio cadavere”. |
Per ragioni di mestiere – mi occupo di suoli da circa quarant’anni – sono abituato ad osservare le terre attraverso le caratteristiche esaminabili sulla superficie, ma soprattutto, attraverso sezioni verticali dette “profili”, quei caratteri che consentono di comprenderne il rapporto con la pianta; in altri termini quella che viene definita fertilità del Suolo. Oltre ad informazioni aggiuntive, estremamente importanti, sull’origine del Suolo, sullo stato di evoluzione, sul rapporto con le altre componenti ambientali, quali geologia, morfologia, clima, organismi viventi (macro e micro). Sono curioso di sapere quali siano gli elementi posti a base della cosiddetta perizia che avrebbe giudicato quelle Terre e quei Suoli “al limite della sopravvivenza”. Curioso termine che, purtroppo, ho visto utilizzato altre volte – non so se dalla stessa società – per definire alle stesso modo le Terre ed i Suoli dell’area di Campu Giavesu, dove si vorrebbe realizzare un impianto di solare termodinamico, dove sono presenti i suoli a maggior fertilità esistenti in Sardegna. Peraltro, essendo poco diffusi, la loro scomparsa rappresenterebbe un vulnus alla Pedodiversità. Concetto analogo alla biodiversità. Sarebbe come se si azzerasse in Sardegna la presenza del cervo sardo o di qualsiasi altra specie tra quelle ad alta protezione. Con un’unica differenza, che la ricostituzione dei suoli richiederebbe dalle migliaia a molte decine di migliaia d’anni. Se questo è progresso!
P.S. Scrivo le parole Suolo e Terre con l’iniziale maiuscola per il rispetto che si deve alle fonti della vita.