Sinistra del lavoro e destra dei valori [di Nicolò Migheli]
Da sempre la sinistra europea è vittima di un luogo comune antistorico: che dalle crisi si esca a sinistra. Prospettiva contraddetta dalle vicende degli anni Venti e Trenta del secolo passato. Il turbo capitalismo e la finanza da rapina stanno uccidendo il modello europeo. Quello basato sulla classe media e su di un sistema di garanzie sociali. La fine del modello comunista ha messo in crisi anche le socialdemocrazie, ritenute anche esse blocco per le iniziative individuali e dell’impresa. La stessa sinistra con Blair si è lasciata convincere che il neo liberismo corretto fosse l’unica possibilità. Un arricchitevi con la finanza del gioco delle tre carte, dove a perdere sono sempre i più deboli. Il parco buoi della Borsa. Tutto sembrava andare per il meglio, fino al 2008 quando la catastrofe dei fondi tossici si è abbattuta sull’Occidente. L’unica risposta che la classe dirigente europea è riuscita a dare è stata quella della riduzione del debito. I risultati sono noti. Sono entrati in crisi anche sistemi di welfare ben più solidi del nostro, come quello olandese. Il re di quel paese annuncia che è insostenibile. È diventato insostenibile quel patto sociale che garantiva i cittadini, dando loro sicurezza e diritti. Non più utile, secondo il turbo capitalismo, visto che la minaccia comunista è scomparsa. Il risultato è la messa in dubbio della stessa Unione europea, vissuta dai cittadini come luogo di burocrati senza cuore che attentano al proprio benessere. Gli effetti di queste paure, se fino a qualche tempo fa erano segnali deboli, ora suonano come campane a morto. Sia dentro l’area euro che fuori. Partiti dichiaratamente nazionalisti e xenofobi sono al governo o in procinto di entrarci. L’Ungheria di Orbán ha una politica revanscista nei confronti di Romania, Slovacchia e Serbia, sogna la grande Ungheria cancellata dal trattato di Trianon del 1921. All’interno, una politica di purezza che emargina le minoranze, costringendo i sinti e i rom in campi di lavoro coatto. In Austria il governo delle larghe intese tra popolari e socialisti ha vinto le elezioni per un soffio, ma l’Fpö partito liberale di destra, potrebbe essere prossima maggioranza. Anche i paesi scandinavi non sono indenni al ritorno di una destra xenofoba. Quel che preoccupa di più è quello che sta succedendo in Francia. I sondaggi elettorali danno il Front Nacional di Le Pen, il probabile vincitore delle prossime elezioni europee. Una politica che sta conquistando elettori di giorno in giorno. Persone che prima votavano per i partiti di sinistra. Alain Soral, uno dei pensatori più lucidi della nuova destra definisce quella politica come: “Sinistra del lavoro e destra dei valori.” Il loro programma, è improntato alla difesa dello stato sociale, dell’intervento pubblico in economia, del posto fisso. Tutti temi cari alla sinistra di un tempo. Il tutto però accompagnato ad una visione di destra nei valori, unita alla retorica della politica sprecona. Il ritorno di Dio, Patria e Famiglia, da cui sono esclusi i migranti. La festa è finita, che se ne ritornino a casa. Per realizzare ciò FN propone l’uscita dall’euro, la reintroduzione dei controlli frontalieri, il protezionismo delle merci francesi. Se non dovesse bastare l’uscita dalla Ue. Un ritorno alla Francia prebellica senza diritto d’asilo; alle nazionalità conflittuali. Una realtà che Le Monde diplomatique, definisce “confusione rosso-bruna” visto che l’FN può contare sull’ingresso nelle sue file di militanti del Front de gauche e della loro candidata simbolo alle ultime legislative. “Confusione” che ricorda cose tragiche, politiche nazional-socialiste. Le elezioni del Parlamento europeo del 2014, visto che si vota dappertutto con il proporzionale, potrebbero vedere una vittoria continentale di queste formazioni. Sarebbe l’addio ad ogni visione federalista. Gli stati nazionali ritroverebbero la loro dimensione pre IIGM, le istanze delle patrie senza stato cancellate. Un ritorno del centralismo, un fare fronte contro tutto ciò che attenta all’unità della nazione. L’Italia non ne sarà esente. Fino ad ora queste tematiche sono state patrimonio di micro partiti revanscisti e della Lega, formazioni che non sono mai diventate partiti “nazionali,” soprattutto la Lega, rimasta dentro i confini del centro-nord. Paradossalmente il PDL, per certi versi, ha agito da argine. Ora con la sua disgregazione si aprono spazi. Grillo è stato il primo a coglierli. Le sue dichiarazioni anti-migranti sono il segnale più forte. Anche lui si propone come sinistra del lavoro e destra dei valori. Fino ad ora ha raccolto molti voti anche a sinistra, ma è evidente che guarda a destra, lì ha il suo bacino di mercato più ampio. Lì trova un clima culturale che accetta la sua proprietà sul simbolo Cinque stelle, le espulsioni dei dissidenti. I suoi ultimi interventi sono perfettamente in linea con quanto teorizza Alain Soral. Il comunitarismo di de Benoist, vince su quello di Olivetti; quello chiuso ed etnico su quello aperto ed includente. Warren Buffet, il finanziere americano che si lamentò di pagare meno tasse della sua segretaria, ebbe a dire che era in corso una lotta di classe degli straricchi contro tutti e che l’avevano vinta. L’hanno vinta perché hanno saputo conquistare i cuori e le menti delle persone, facendo del neo liberismo il pensiero unico, propagandando la religione del mercato come autoregolatore. In questa fascinazione la sinistra di governo c’è caduta a piedi uniti. Ha preferito i consigli di amministrazione a quelli di fabbrica; si è vantata di aver accesso ai circoli più esclusivi, di indossare scarpe o borse che valevano il salario di un operaio. Pensatori organici che preferendo Chicago a Marx, hanno alimentato la confusione semantica facendo passare la precarietà come flessibilità. La questione morale è poi l’ultima goccia. Con il risultato di favorire gli avversari, e di prendersene anche le responsabilità. A differenza degli storici che ancora si chiedono come sia stato possibile il nazifascismo, noi le chiavi interpretative le possediamo tutte. Siamo ancora in tempo per ribaltare l’esito probabile. Basterebbe una politica europea ed una italiana differente. Basterebbe, se ce ne fosse la volontà. |