Immagini di Stampace: gli stampacini sono una razza a parte [di Paolo Matta]

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Pubblichiamo l’intervento letto da Paolo Matta nella Chiesa di San Michele in occasione della FAIMARATHON Cagliari… tra bianchi colli e piazze svoltasi a Cagliari domenica 12 ottobre un percorso che ha coinvolto 10 piazze della città ed un centinaio di accademici, studiosi, professionisti, intellettuali, artisti che si sono prestati a fare i “ciceroni speciali” per spiegare la bellezza della città del sole (NdR).

Marina e Villanova sono diventati, per ragioni diverse, quartieri multietnici. Sembra di passeggiare a Londra e non in via Sicilia. Via San Giovanni ha gli odori speziati di Calcutta e i suoni gutturali di Chinatown. In Castello i memellus sono razza in via di estinzione. L’antica nobiltà e il proletariato allicchiriu devono fare i conti con le new entry di architetti e chansonnier, registi rampanti e oreris figli d’arte. Stampace no. Stampace resiste.

Ci hanno provato i bombardamenti americani del ’43 a raderla al suolo, a polverizzare le sue storiche memorie, ad annientare una cultura di borgata che non ha più uguali nella Cagliari ricostruita e falsamente borghese. A Stampace ogni strada aveva la sua chiesa. In parte è ancora così.

Via Ospedale ha San Michele dei Gesuiti, chiesa barocca e un po’ snob per via della Congregazione Mariana, is arriccus de Casteddu che mal sopportavano contaminazioni plebee e popolari dal vicino quartiere. I tempi sono cambiati e ora is Artieris di via Portoscalas continuano ad animare i riti della Settimana santa mentre is de congrega devono fare i conti con il ricambio generazionale e fanno fatica a stare il passo con la modernità.

Via Santa Restituta, e la chiesa prospiciente la raccolta piazzetta che fece innamorare Lawrence, fino a pochi anni fa, voleva dire la GIOC. Is picciocus de crobi stampacini avevano la loro suor Nicoli o suor Tambelli in Pinuccio Schirra. Nasce qui il teatro popolare, l’avanspettacolo cagliaritano, il Carnevale di tialus e dottoris, diras e panetteras, ma soprattutto de sa ratantina, maldestramente riproposta nelle ultime edizioni di una tradizione che sembra ormai destinata all’estinzione.

Via Sant’Efisio, manco a dirlo, ha la chiesa del Patrono di Cagliari ma anche la sontuosa ed elegante Sant’Anna. Santa Margherita e San Giorgio così si chiamano per via delle due chiese di cui non resta più nulla mentre, troviamo Santa Chiara, gioiello nascosto e snobbato, in cima a una deliziosa e breve scalinata, Trinità dei Monti in scala ridotta della movida cagliaritana.

Ma gli stampacini sono soprattutto cuccurus cottus, gente dalla testa di coccio, permalosi e perfidi come nessun altro a Cagliari. Qui resistono is arereus, clan familiari capaci di condizionare, ancor oggi, la vita di istituzioni e associazioni, confraternite o parrocchie. Una perfidia, sottile e tagliente, che si rivela nei soprannomi, is allumingius, che a Stampace diventano marchio di famiglia, indelebile, eterno.

Non c’è cattiveria nello scegliere il secondo cognome (quando non diventa, addirittura, il primo) ma quella perfida, spietata, tagliente ironia che è il tratto genetico dello stampacino verace. Uno degli storici calzolai del quartiere era macchin’e scriri. Dalle anche in su una persona normale che, però, poggiava su due minuscole gambette a ics, le più storte mai viste, che obbligavano su sabatteri a una goffa camminata, un passo su e uno giù, come appunto il tasto della maiuscola di una Olivetti. Chi, se non uno stampacino, poteva, spudoratamente, abbinare la meccanica di una Lettera 32 a un povero artigiano?

Per non dire de is de martinicchedda (noti per traffici poco leciti nel primo dopoguerra) o de is de Municipio, fratelli che avevano avuto la buona sorte di lavorare negli uffici del Comune. Etichette che venivano apposte – diventando una sorta di affiliazione, di “benvenuti nel clan” – anche agli stampacini di importazione, come il caso di Forza Italia, affibiato ad una famiglia particolarmente prolifica, che abitava in un modesto sottano, con i cassetti del comò, la notte, trasformati in letti a castello.

La Confraternita di Sant’Efisio resta una delle roccaforti di Stampace. Chi vi entra a farne parte deve sottoporsi a una vaccinazione di rito. Prima ancora che confratello o consorella deve diventare stampacino, sottostare alle leggi del rione, ai suoi riti e cerimonali. Pena la sua esclusione e marginalizzazione.

Questo è Stampace. Fortezza merlata dai tanti ponti levatoi. Sempre aperti, però. Perché qui, l’ospite e il forestiero sono ancora sacri.

 

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