Guardare la piazza con gli occhi di un bambino…[di don Mario Ledda]

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Pubblichiamo l’intervento letto da don Mario Ledda in piazza Yenne in occasione della FAIMARATHON Cagliari… tra bianchi colli e piazze svoltasi a Cagliari domenica 12 ottobre un percorso che ha coinvolto 10 piazze della città ed un centinaio di accademici, studiosi, professionisti, intellettuali, artisti che si sono prestati a fare i “ciceroni speciali” per spiegare la bellezza della città del sole (NdR).

Per il bambino tutto è sempre nuovo, grande, spesso bello anche senza canoni estetici condivisi. E poi il bambino si “affida”: non solo al papà ma anche a un luogo che riconosce come “suo”. Rivedo questa piazza con gli occhi miei da bambino di molti decenni fa.

Si corre, si gioca a nascondino, si lecca un gelato o una “ligorizia”. E ci si sente a casa perché tutto intorno c’è casa: la gente, gli spazi, le attività commerciali, gli alberi. La fontanella era per bere e per schizzarci l’un l’altro, non per bellezza (ma questa è bella?!).

Piazza Yenne era una vera piazza, non un angolo di strada – per quanto grande – come è adesso. Il filobus n° 6 passava lungo la palazzata est dove c’era la strada ora soppressa. Ho dubbi che sia meglio la miriade di tavolini, ombrelloni, gazebo, sedie, birroncini.

Anche sant’Efisio nel suo percorso trovava in pazza Yenne la prima uscita pubblica, dopo le strettoie della via a Lui intitolata: e qui passava come uno di casa, anche lui cagliaritano doc (ma per noi: stampacino) che passeggia in casa sua. Anche ora passa qui: ma si direbbe (absit iniuria verbis) più per uno spettacolo che per un incontro. I vecchi stampacini tornano puntuali e si rincontrano dopo molti decenni in questa piazza: non certo il 1° Maggio a mezzogiorno ma la sera tardi del 4 “po sa torrara ‘e sant’Effisi”. Tentano o si illudono di riprendere possesso dello spazio che fu loro.

La piazza torni alla città: ma il cittadino torni nella sua piazza, combatta e paghi di persona per questo. Tanto di cappello ai moderni “social”. Ma vuoi mettere incontrare un corpo vero con dentro una cuore vero, allegro o triste, antipatico o simpatico, soprattutto non recitante, con il quale scambiare un saluto o uno sberleffo, entrambi veri.

Alla faccia delle piazze virtuali e dei selfie (si dice così?).

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