Gli archivi per la storia di Sa Illetta [di Marina Valdès]
Pubblichiamo l’intervento letto da Marina Valdès a Sa Cruxi Santa in occasione della FAIMARATHON Cagliari… tra bianchi colli e piazze svoltasi a Cagliari domenica 12 ottobre un percorso che ha coinvolto 10 piazze della città ed un centinaio di accademici, studiosi, professionisti, intellettuali, artisti che si sono prestati a fare i “ciceroni speciali” per spiegare la bellezza della città del sole (NdR) .…e mentre i ruderi della capitale giudicale, rasa al suolo trecento anni prima, giacciono al sole sull’orlo della laguna, per l’isola di San Simone si apre una nuova storia, quando entra in possesso del ricco e potente notaio cagliaritano Pietro Sabater. Di lui possiamo dire che era assai introdotto nella cerchia dei procuratori reali, cui competevano le concessioni demaniali e che, addirittura, era concessionario dei diritti spettanti all’ufficio della Procurazione reale, da che, nel 1549, ne aveva acquistato la “scrivania” per 1300 ducati d’oro. Ancora, il 14 novembre 1559 ed il 10 gennaio 1560, aveva ottenuto dal Procuratore reale Giovanni Fabra, in enfiteusi perpetua per sé e per i suoi discendenti, per coltivarvi le peschiere, le tre bocche del rio di Uta, dette de Susu, de Josso e de Bayardo e le due isolette, formate nel delta, di Isca de ois e Sa coa, concessioni successivamente confermate da Filippo II il 28 febbraio 1562 e il 28 febbraio 1566. Subito dopo quest’ultima conferma, e comunque entro i primi mesi del 1567, Pietro Sabater entra in possesso dell’isola di San Simone. Infatti il 7 aprile 1567, nel concedergli il permesso di affondare alcune balze d’acqua salata e di aprirvi un canale per farvi entrare il pesce, il procuratore reale lo definisce “signore dell’isoletta di San Simone”, intendendo certamente che ne è signore utile, cioè possessore, ma senza chiarirne i titoli. Nello stesso modo, in altri documenti, si legge più volte che il Sabater la possedeva “per i suoi giusti e legittimi titoli”, ma l’espressione risulta così vaga che si potrebbe pensare a un’occupazione di fatto, avvenuta con l’appoggio del Procuratore reale in concomitanza con la concessione delle peschiere. Della condizione giuridica dell’isola, mai chiarita, si discute infatti ancora nell’Ottocento, quando il barone di Sorso, pretendente all’eredità Conquistas, non trova altri appigli che “il pacifico possesso di circa tre secoli… con piena acquiescenza del Regio Fisco”. A iniziare, dovremmo aggiungere, dal pieno appoggio dato al notaio Sabater dal Procuratore reale di allora, che altri non era che suo genero Onofrio (Noffre) Dexar e Fabra. Nonostante tutto, però, dobbiamo riconoscere che l’isola deve a Pietro Sabater, che tanto la amava da chiamarla “la illeta mia”, la definitiva affermazione della denominazione, in uso ancora oggi, di “Sa Illetta”. Nella sua “illetta” il Sabater incrementò le colture cerealicole e viticole, che per secoli resteranno predominanti nella economia dell’isola, dirigendo egli stesso, direttamente o tramite un amministratore, quella che per l’epoca doveva essere, come si vedrà, un’azienda agricola moderna. L’isola si popolò dunque di servi, di guardiani e di massai, ai quali ultimi, così come ai pescatori, il Sabater darà un segno tangibile della propria benevolenza, lasciando per disposizione testamentaria la somma ragguardevole di 825 lire, affinché il suo erede dotasse ogni anno, con le 50 lire della rendita, alternativamente una figlia di massaio e una figlia di pescatore. Inizia così la vicenda plurisecolare di un’azienda agricola la cui storia, tra alti e bassi, possiamo seguire sino alla metà del Novecento, grazie agli archivi pubblici e privati che ne hanno conservato la te |