Bismarck la Cancelliera e il premier nell’Italia alle vongole [di Eugenio Scalfari]
La Repubblica 26/10/2014. Alcuni giornali stranieri (i soliti che scommettono da sempre sulla crisi dell’euro o almeno sulla sua divisione in due o tre nuove monete che si chiamano ancora allo stesso modo, ma con una diversa numerazione che li colloca dal ruolo centrale al più debole e precario) hanno scatenato una battaglia che vede Mario Draghi come bersaglio, la Merkel come una statua di Bismarck fuori tempo, la Bundesbank come protagonista vincente e Matteo Renzi come un cavallino che raccoglieva scommesse di una sua vittoria alla testa di un “front mediterranée”, ma che nel frattempo si è azzoppato ed è pertanto uscito di gara nella speranza di far ancora parte della grande stalla di riposo cui prima o poi si concorderà qualche premio di consolazione. A me questa ricostruzione dei fatti e dei misfatti sembra alquanto fantasiosa oltre che gestita da centri speculativi che costruiscono alleanze cospicue e possono anche cambiare o condizionare alcune delle forze in campo. Intanto la Bundesbank che sogna da almeno sette anni il ritorno al marco come moneta di riferimento occidentale in un mondo molteplice; la Bundesbank non vede una Germania europea ma piuttosto una Europa tedesca. Bismarck è il simbolo di questa visione sebbene lo si conosca storicamente poco perché dopo aver dato brevemente il peggio di sé dette il suo meglio per tutto il resto della vita politica. Purtroppo per le tesi storicamente sbagliate della Banca centrale tedesca, dopo la Germania vittoriosa del 1870 ci furono le sconfitte della prima guerra mondiale, la Repubblica di Weimar con i suoi disastri; il nazismo con le sue stragi, la sconfitta della seconda guerra mondiale. La democrazia tedesca di ampia cultura è quella di natura romantica, è la nascita dell’ideale europeo che non ha e non può avere natura bismarckiana. Forse era un sogno che assegnò alla Germania e all’Europa un ruolo di comune natura. Viceversa per una serie di errori e di occasioni mancate questo ruolo si trasformò in quello di commesso viaggiatore invece che di potenza politica, ma niente di più. È questo l’ideale dei leghisti, degli inglesi anti-euro, dei lepenisti e dei Cinque stelle grillini oltre a movimenti di vario genere ma di analoga natura eversiva. Alcuni sondaggi attribuiscono a queste forze, peraltro dislocate e scarsamente connesse tra loro, il 40 per cento dell’opinione europea ma molto meno come forza istituzionale organizzata. Coltiviamo tempo stesso un punto di forza e una manifestazione di debolezza per quanto riguarda le formazioni istituzionalizzate che nel Parlamento europeo rappresentano comunque il 65 per cento dei deputati. Del resto venerdì scorso, a chiusura del vertice europeo, è stata proprio la cancelliera tedesca a prendere la parola per fare una lunga dichiarazione in favore di Draghi e della politica attuale della Bce, convenzionale e non convenzionale; dichiarazione riportata da quasi tutti i giornali internazionali a cominciare dalla Cina, dall’India, dall’Indonesia, dall’Egitto e dai Paesi arabi. Certo la politica monetaria della Bce, quella contenuta addirittura nel suo statuto, esorta ad uscire al più presto dalla situazione monetaria in atto. La deflazione procede in termini reali ma svalutare dei crediti equivale a rivalutare i debiti. La Bce punta ad aumentare il tasso di inflazione, quindi svaluta: debiti sovrani in particolare e i debiti di un paese in generale. L’Italia è un paese debitore per eccellenza e ha tutto da guadagnare da una svalutazione dell’euro; la Germania si trova in una situazione più differita perché debiti e crediti grosso modo si equivalgono. Quanto all’euro come moneta di riserva, un suo raffronto può generare incentivi ad investire nella moneta europea. Queste manovre riguardano soprattutto la tempistica e le aspettative di medio e lungo termine. Per l’Italia i veri interessi riguardano il flusso delle esportazioni. Quanto ai benefici sociali è evidente che i “bonus” diventano più modesti in termini reali ma migliorano nel rapporto col dollaro cosicché i loro percettori sono indotti a trasformarli in risparmio anziché in consumi. Renzi naturalmente, ed i suoi porta-parola, rispondono di sì, che questi sono gli obiettivi da raggiungere nell’ambito di pochi giorni. C’è un grande sfarfallio di ricordare l’importanza del taglio delle tasse e di quello delle spese (evasione compresa). Le cifre più o meno si equivalgono ma la tempistica no. L’evasione per esempio avrà il bollino della Ragioneria solo quando sarà stata incassata e quindi sono 3 miliardi di meno del previsto. C’è insomma una situazione di stallo; la si doveva prevedere fin dai tempi in cui si parlava di mesi. Poi si arrivò ai mille giorni cioè alla fine dell’attuale legislatura. Personalmente non so ed anzi dubito molto che i mille giorni siano un lasso di tempo sufficiente a dar frutti. Ricordo di passaggio che venerdì scorso la deputata Simona Bonafè, ospite di Floris nella trasmissione di Otto e mezzo, ha segnalato con molta baldanza l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti decisa e attuata dal presente governo e mai praticata da nessun altro governo del mondo. Mi corre l’obbligo di ricordare che il provvedimento di cui si paral la fu immaginato, deciso e approvato dal governo di Enrico Letta. Bisognerebbe tenere la memoria in maggior esercizio. Quanto alla partita europea Renzi aveva preannunciato una battaglia contro la politica di rigore e in favore di una ampia e immediata concessione di flessibilità di investire, incentivare produzioni, nuovi posti di lavoro, consumi. Le cose però non sono andate in questo modo e del resto era lecito aspettarselo. Il confronto non è ancora terminato perciò auguriamoci che vada nel modo migliore, ma la situazione attuale è finora sboccata sia pur in un parziale accordo tra l’Italia e la Germania. Noi rispetteremo gli impegni già assunti e ne prenderemo anche di nuovi che riguardano per esempio l’aumento, sia pure assai moderato, della diminuzione del debito. Per ora attendiamo di vedere il finale ma che più o meno è prevedibile: impegni rispettati da parte italiana, nuovi moderati impegni assunti, nuova e moderata flessibilità per quanto riguarda investimenti quasi quotidianamente monitorati dalla Commissione europea e dai suoi assistenti. Nel frattempo ci sarà nel paese una prova degli umori della pubblica opinione in genere e dei lavoratori in particolare. Il confronto sarà tra la Cgil, la Fiom e alcuni dirigenti di sinistra del Pd. Il Pd come tale non sarà ovviamente presente. Personalmente penso che il sindacato avrà un successo notevole nelle piazze italiane. Ieri a Roma se ne è avuto un anticipo con la manifestazione di un milione di persone. Ma tutto questo sarà permanente o transitorio? Molto dipende da che cosa nel frattempo diventerà l’attuale Pd il quale, soprattutto stando all’inezia dei suoi iscritti, di fatto ha cessato di esistere. Del resto non è il solo, è un partito personale ed il suo rappresentante è Matteo Renzi e alcuni collaboratori da lui scelti e adibiti ad allacciargli i calzari. Renzi credo sarebbe molto infastidito se i calzari gli venissero scelti da altri. Ma sono tutti partiti personali: lo era e lo è ancora quello di Berlusconi; lo era e lo è quello dei Cinque stelle grillini. E così la Sel e così altri minori e quasi invisibili. Il Pd è una nuova Dc? No. È un partito di sinistra centro o di centrosinistra? No. E’ un partito di centro? No. Sarà il partito di un leader come lo fu Berlusconi e come lo è Grillo (finché durerà) partiti populisti è dir poco; sono partiti personali ma non è un difetto o una colpa di Renzi o degli altri che ho qui nominato. L’abbiamo scritto e riscritto più volte: è la caratteristica degli italiani o per esser più esatti di una larga parte di essi. Fino a quando non cambieranno, almeno in parte, sono sempre stati così. L’aveva detto perfino Leopardi e dopo di lui Francesco De Sanctis, Giustino Fortunato, Gobetti, i fratelli Rosselli, Ugo La Malfa, e perfino Gramsci, Aldo Moro e Berlinguer. Ci vorrebbe una minoranza consapevole che riuscisse ad aggregarsi una parte di questa indifferente maggioranza. Romano Prodi c’era riuscito ma durò solo due anni. L’Italia è fatta così: alle vongole.
|