Conosco gente che ci ruba il lavoro [di M. Tiziana Putzolu]
Fa già un po’ freddo. Lui ha un occhio rosso e malandato. Un abito lungo e ciabatte ai piedi. Un copricapo etnico. Barba bianca corta. Sembra vecchio. Si avvicina e mi porge un pacco di fazzoletti. Sto per dirgli no grazie. Ma mi blocco. Ho appena detto di no a uno che mi voleva vendere una rosa. Che era pure bella. Potevo sceglierla bianca o rossa da un mazzo. Ma no, dai. Magari domani. Peccato però. Ma a questo con i fazzoletti mi arrendo subito. Quanto? Un euro e … cinquanta. La butta lì. Eccoli. Apro il portamonete e glieli porgo. Li prende. È perplesso. Ma non dice nulla. Sembra allontanarsi. Conta nel palmo della mano nera. Mi rendo conto di avergli forse dato di meno. Apre il palmo. Un euro e venti. In effetti…Scusa ho sbagliato. Gli dico. Ecco gli altri. Gli porgo altre due monete da venti dopo aver frugato nel cruscotto dell’auto. Grazie, mi dice con cortesia e bisbigliando benedizioni varie. Si allontana. Vedo che tentenna e torna subito indietro. Che vorrà ora? Tiene dieci centesimi tra il pollice e l’indice. Sono in più. Mi dice. Mi hai dato in più. Ribadisce. Gli faccio un cenno con la mano. Sorride. Fa un cenno di inchino e mi ribenedice. Con un euro e sessanta centesimi ho preso due benedizioni, penso. Parametrate al prezzo di un annullamento di matrimonio dalla Sacra Rota ho fatto un affare. La benedizione di un povero costa meno. E scalda il cuore anche di più. Lo guardo allontanarsi. Lentamente. E mentre lo guardo allontanarsi un po’ claudicante penso che lui è uno di quelli che rubano il nostro lavoro. Che poi, a pensarci bene, ne conosco diversi. Come quello che vendeva fiori al semaforo. Che belle quelle rose! A fine giornata una rosa me la sarei pure meritata. Ecco. Un venditore di rose ma ladro di lavoro. Come Vasvja e Sena, due donne rom che vivono al campo. Quelle sì che rubano. Ce l’hanno nella tradizione, dicono. Rubano tutto, bambini, rame e oro. Ora anche il lavoro in una scuola a Monserrato, ci rubano. Come Heléna, che sta rinchiusa nella casa dei miei vicini giorno e notte abituata a cambiare pannoloni e lavare culi e vegliare quel vecchio che non ne vuole sapere di passare a miglior vita. Lui che una vita decente l’ha pure vissuta. Anche Heléna ho conosciuto. Una tra quelle migliaia che ci ruba il lavoro nostro. Ma nella casa a fianco dove c’è una vecchia che non ci sta con la testa ho notato che ci lavora una sarda. Arriva all’imbrunire e se ne va la mattina presto. Quella che il marito ha perso il lavoro nella fabbrica di una multinazionale a Carbonia che ha chiuso i battenti. Lei il lavoro non se l’ha fatto rubare da nessuna. Sto rientrando a casa. Noto altre ladre di lavoro che vendono amore per professione più che per noia o per passione. Ce ne sono molte e dai nomi esotici ed angelici. A lavorare ai bordi delle strade del capoluogo ad ogni ora. Pare che maschi nostrani assai schifosi non badino all’orario. Al caldo e al freddo. Al luogo. E che il lavoro ci sia nonostante la crisi. Quanto lavoro rubato! Non è giusto. No. Non è giusto. Prima noi. Italiani e sardi. E poi loro. ____________________ |