Ritorno alla terra [di Luigi Sotgiu]

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L’anno 2014 che si avvia a conclusione è stato dichiarato dalla Nazioni Unite “Anno internazionale dell’agricoltura familiare”. L’agricoltura familiare di piccola scala, secondo l’ONU, può contribuire sensibilmente a combattere la fame e la povertà, a garantire la sicurezza alimentare a tutto il pianeta e preservarne le risorse.

Terra Madre ha scritto che: ”I piccoli agricoltori agroecologici sono l’avanguardia della pratica dell’agricoltura sostenibile e rappresentano la forma più funzionale di agricoltura, in grado di nutrire il mondo e ridurre le pressioni ecologiche ed economiche. I piccoli agricoltori e le piccole fattorie sono la chiave della sicurezza alimentare, sono più produttivi e conservano le risorse più delle grandi monocolture, sono modelli di sostenibilità e santuari di biodiversità. Non ultimo, contribuiscono al raffreddamento del clima.”

Il Direttore generale della FAO ha detto: ” L’agricoltura familiare è ciò che più si avvicina al paradigma della produzione alimentare sostenibile. Gli agricoltori familiari si occupano generalmente di attività agricole non specializzate e diversificate che conferiscono loro un ruolo centrale per la sostenibilità ambientale e la conservazione della biodiversità. Dobbiamo rimettere l’agricoltura familiare al centro dei programmi di sviluppo nazionali e regionali: questo significa offrire assistenza tecnica e politiche in supporto della produttività delle aziende agricole a conduzione familiare: mettere alla loro portata di mano tecnologie appropriate, migliorare il loro accesso alla terra, alle risorse idriche, al credito e ai mercati”.

In un recente intervento sul Il Sole 24 ore Monsignor Bruno Forte, Vescovo di Chieti-Vasto, sottolinea l’alto valore morale e spirituale di questo tipo di ritorno alla terra e afferma ancora: ”L’agricoltura familiare va promossa e incoraggiata non solo per la sua capacità di dare risposta ai bisogni, ma anche perché rappresenta un tipo di attività produttiva capace di corrispondere adeguatamente alle esigenze della tutela ambientale. Ricorrere in maniera propositiva e ben articolata alla “buona terra” per ottenerne i frutti necessari significa contribuire a conservare ”buona” la terra e a promuoverla nelle caratteristiche che la rendono ambiente fecondo per la qualità della vita di tutti”.

In Sardegna, anche in considerazione della grave crisi economica, un ritorno alla terra sta avvenendo in maniera spontanea: questo processo avrebbe bisogno di essere coordinato e incentivato, per tentare di contrastare la forte tendenza all’ abbandono e spopolamento delle campagne. Importiamo la maggior parte dei prodotti e siamo ben lontani dall’autosufficienza alimentare. Per queste ragioni un intervento appropriato della Regione Sardegna di sostegno alla agricoltura familiare non avrebbe per niente carattere di assistenzialismo e fornirebbe anzi un ottimo contributo ad un migliore assetto del territorio e agli interventi di contrasto agli incendi.

Riflettere su queste problematiche mi ha fatto vedere sotto una luce diversa la mia scelta personale, compiuta poco più di un anno fa, di acquistare un terreno di mezzo ettaro e organizzare una piccola azienda agricola a conduzione familiare-personale. Al momento di fare la scelta non ho fatto molti ragionamenti teorici: sentivo un forte stimolo e mi sono buttato nell’avventura. Provengo da una famiglia di piccoli agricoltori che si sono tolti il pane di bocca per fare studiare i figli. Una volta andato in pensione ho pensato che le “braccia rubate all’agricoltura” negli anni ’70 potevano tornarvi dopo quasi 50 anni, non più nel paese natio ma vicino a Cagliari, dove vivo.

A parte il piacere personale di lavorare la terra con le proprie mani credo che la mia scelta contenga anche una valenza sociale, e per questo ne parlo pubblicamente. La finalità più generale è quella di ridare vita ad un pezzo di terra abbandonata, difendere la biodiversità (nel caso specifico l’arancia sarda dell’area Monastir-San Sperate, tardiva, succosissima e dalla buccia sottile), praticare e diffondere i principi della “agricoltura naturale”, in particolare rinunciando all’utilizzo di fertilizzanti chimici e pesticidi.

 

 

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