Retroscritto di un’intesa [di Michele Ainis]

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Il Corriere.it 14 novembre 2014. C’ è sempre un non detto, un sottinteso. Renzi: eleggo un giudice costituzionale insieme ai 5 Stelle per dimostrare a Berlusconi che ho un’altra maggioranza pronta a cresimare le riforme. Berlusconi: accetto il nuovo Italicum perché così potrò concorrere alla scelta del nuovo presidente. Napolitano: anticipo le dimissioni per accelerare l’iter della legge elettorale, che infatti è uscita dal letargo.

Sicché le due partite rimbalzano l’una addosso all’altra. Ma per vie oblique, e con accordi opachi. D’altronde anche il patto del Nazareno viene oscurato ormai da un sottopatto, quello fra Renzi e i suoi nanetti. Il primo alza l’asticella all’8% per guadagnare seggi: 4 milioni d’elettori. Il secondo l’abbassa al 3% e voilà! 2 milioni e mezzo di italiani svaniscono nell’aria come fumo. Assieme a loro svanisce pure la promessa d’eliminare i partitini, che trasformano i loro voti in veti. E il premio di maggioranza? 327 seggi, no, 340. Alla coalizione, no, alla lista. Ma sempre con un retropensiero, giacché la lista sarà una coalizione mascherata. Nel 2008 il Pd di Veltroni imbarcò 9 radicali, che ovviamente dopo le elezioni fecero a cazzotti col Pd. Se il matrimonio è falso, la baruffa poi è sincera.

E quanto è sincero il coro delle vedove che implora Napolitano di restare? Chi vuole le elezioni in primavera non può che desiderare le sue dimissioni, perché lui non scioglierà mai questo Parlamento. Però è un desiderio inconfessabile, e infatti non viene confessato. Si professa viceversa l’urgenza della legge elettorale, anche se magari ai professori urge conquistare il Quirinale. E il varo dell’ Italicum è un buon cavallo di Troia: convincerebbe il presidente a lasciare con animo sereno, avendo salutato almeno una riforma.
Nel frattempo si consuma un paradosso. Con l’avvento di Renzi, Napolitano era finito in un cono d’ombra; ora è sotto i riflettori. I poteri presidenziali affievoliscono quando s’avvicina il giorno dell’addio; i suoi poteri invece si rafforzano.

Dal semestre bianco al bimestre nero. E il nuovo presidente? Magari ringrazierà il Parlamento che l’ha eletto licenziandolo su due piedi. Ma a sua volta il Parlamento può spedirlo in cassa integrazione, se approverà per tempo anche la riforma della Carta. Perché quella riforma gonfia il premier, e perciò fa dimagrire il presidente. Curiosa, questa tenzone sotterranea per occupare una poltrona, proprio mentre la politica sega le gambe alla poltrona. Curioso, quest’affaccendarsi attorno alla legge elettorale con la mente rivolta a ben altre faccende. Ma la mente dei politici mente, non è una novità.

 

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