Con il DGR 39/2 del 10/10/2014 la giunta Pigliaru va contro il PPR [di Legambiente Italia Nostra Fai WWF Lipu]

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Pubblichiamo il Documento e la Lettera inoltrati al Presidente della Regione Sardegna con  richiesta urgente di incontro per discutere sul DDL approvato con DGR 39/2 del 10/10/2014 che contrasta con il PPR e con quanto sempre affermato dallo stesso Presidente (NdR).

Al Presidente della Regione Sardegna, Prof. Francesco Pigliaru
OGGETTO: Richiesta urgente di incontro sul DDL approvato con DGR 39/2 del 10 ottobre 2014. Normative regionali in materia di governo del territorio, uso dei suoli e salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale.

Le scriventi Organizzazioni, portatrici del diffuso interesse per la salvaguardia dell’ambiente, hanno esaminato il disegno di legge in questione e ritengono che esso non debba proseguire il proprio iter approvativo, in quanto le norme in esso contenute appaiono potenzialmente assai lesive per gli effetti che avrebbero sul territorio, nonché sul patrimonio culturale e ambientale, ed anche per la filosofia di rilancio della espansione edilizia che pervade buona parte degli articoli del provvedimento proposto.

Nel documento allegato si riporta una ampia analisi del DDL in questione, nel quale si esaminano anche diverse fattispecie di violazioni della normativa nazionale e comunitaria in materia di ambiente e delle prerogative intangibili degli enti locali in materia di pianificazione.

Ma, soprattutto, il DDL sembra muoversi in direzione opposta rispetto a quel modello di sviluppo sostenibile, fondato sulla promozione e sull’utilizzo produttivo delle qualità del territorio e del paesaggio, che è contenuto nel programma dell’attuale Governo regionale e che è apparso particolarmente convincente tanto da essere stato premiato nel voto dai sardi. Proporre nei fatti di accantonare il PPR e puntare sul più tradizionale (e ormai dichiaratamente perdente) dei meccanismi edilizi, a livello di conseguenze pratiche e anche di immagine, sembrerebbe l’esatto contrario di quella scommessa su una Sardegna in cui l’innovazione si radica solidamente nei paesaggi dell’identità, che tutti auspichiamo.

E’ necessario evitare che il primo atto legislativo di questa Giunta in campo ambientale sia, o anche soltanto appaia, come diretto a privilegiare uno sviluppo quantitativo casuale e non programmato, un caso per caso prevalentemente senza qualità, sganciato da ogni impegno al miglioramento ed alla riqualificazione, e che riecheggia in un modo un po’ inquietante le pratiche più desuete di boom edilizi ormai irrealistici e improponibili, , già perseguiti dalla precedente giunta con ben cinque “Piani casa”.

Tutto ciò premesso, si fa richiesta di un incontro urgente con codesta Amministrazione regionale, richiamando e confermando la massima disponibilità al confronto sulla complessa tematica sopra accennata, in un quadro condiviso di rinnovata attenzione al governo del territorio e all’uso dei suoli, per innalzare il livello di tutela del paesaggio e di salvaguardia dell’ambiente, ritenendo che questi interessi e questi obiettivi costituiscano ormai patrimonio comune e irrinunciabile della nostra collettività.
Vincenzo Tiana – Legambiente Sardegna
Maria Paola Morittu – Italia Nostra Sardegna
Maria Antonietta Mongiu – Fondazione Ambiente Italia FAI Sardegna
Carmelo Spada – WWF Sardegna
Francesco Guillot – LIPU Sardegna

  DOCUMENTO

IL DDL approvato con DGR 39/2 del 10/10/2014 contrasta fortemente con il PPR, introduce deroghe permanenti alle normative e vanifica la pianificazione urbanistica

Premessa. Giova rammentare l’apprezzamento con cui le scriventi Associazioni accolsero l’enunciazione, da parte di codesta Amministrazione regionale, di intenti programmatici fermamente rivolti alla salvaguardia del nostro pregevole e fragilissimo patrimonio storico, naturale, identitario e paesaggistico, intenti chiaramente manifestati sia dichiarando il “paesaggio bene comune su cui si basa l’identità della Sardegna”, sia assumendo come “fondamentale la pianificazione paesaggistica” per il governo del territorio e dunque anche degli interventi edilizi, sia attribuendo al piano paesaggistico regionale la funzione di “quadro di riferimento e di coordinamento” degli altri atti (cfr. DGR 15 luglio 2014, recante indirizzi per la nuova legge urbanistica regionale). Del resto tali intenti sembravano confermati dal benemerito dispositivo di revoca della DGR 45/2 del 25 ottobre 2013, contenuto nella DGR 39/1 del 10 ottobre 2014.

Era dunque lecito sperare che codesta Amministrazione regionale ponesse davvero mano, con massima sollecitudine ed assoluta priorità, alla revisione della legge urbanistica, alla semplificazione procedurale, alla estensione del Piano Paesaggistico Regionale alle zone interne, alla rapida attuazione del medesimo PPR mediante formazione e adeguamento di tutti gli strumenti urbanistici locali (Piani Urbanistici Comunali, Piani Urbanistici InterComunali e Piani attuativi). Invece l’approvazione del DDL in questione, da parte della Giunta Regionale, rischia di produrre molteplici effetti di segno contrario rispetto ai lodevoli intenti programmatici sopra ricordati.

Occorre peraltro ricordare che le normative regionali in materia di Piano Casa derivano dal contenuto dell’Intesa 31 marzo 2009 della Conferenza Stato-Regioni ed Enti Locali, che si poneva essenzialmente gli obiettivi di fronteggiare la crisi mediante un riavvio dell’attività edilizia, rispondere ai bisogni abitativi di categorie sociali disagiate, introdurre incisive misure di semplificazione procedurale, migliorare la qualità architettonica e/o energetica degli edifici, e promuovere interventi straordinari di demolizione e ricostruzione.

Ma secondo l’Intesa testé citata, gli interventi edilizi non avrebbero potuto riferirsi ad edifici abusivi, né riguardare i centri storici o le aree di inedificabilità assoluta, e le leggi regionali potevano individuare gli ambiti nei quali gli interventi fossero esclusi o limitati, con particolare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico, nonché gli ambiti nei quali i medesimi interventi potessero essere favoriti con opportune incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate.

La disciplina introdotta dalle leggi regionali avrebbe dovuto avere validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi: il Piano Casa proposto dal governo nazionale nel 2009 e concertato con le Regioni in sede di Conferenza, così come le norme emanate dal Consiglio regionale della Sardegna negli anni scorsi, avevano dunque il carattere della temporaneità, mentre il DDL allegato alla DGR 39/1 del 10 ottobre 2014 reca misure definitive, in quanto non prevede un termine per la presentazione di richieste di permessi o di comunicazioni di inizio lavori, rendendo stabile un regime ammissibile solo in quanto temporaneo.

Osservazioni. Non vi era e non vi è alcuna obbligatorietà, per la Regione Autonoma della Sardegna, di emanare una norma derivante dall’Intesa del marzo 2009, anzi, visto il limite temporale imposto e già abbondantemente superato, vale l’obbligo di non prorogare ulteriormente il Piano casa vigente ormai da cinque anni. Ma tale norma dovrebbe anzitutto tener conto dei buoni propositi più volte enunciati, con prioritario e specifico riguardo verso un modello di sviluppo basato non sulla espansione edilizia, né sulla tradizionale crescita quantitativa, bensì sulla promozione della cultura, dell’istruzione, della ricerca, del turismo, dell’agricoltura e sulla tutela del patrimonio culturale e ambientale.

Il complesso normativo del DDL, invece, in assenza della annunciata nuova legge urbanistica e dell’adeguamento del PPR alle disposizioni del D.lgs n. 63 del 2008, non promuove l’avanzamento di quel nuovo modello di sviluppo, ma sembra anzi configurare un’ulteriore periodo di attesa a tempo indeterminato, una sorta di “Piano Casa perenne”, durante il quale saranno possibili molti interventi edilizi potenzialmente assai lesivi, vista anche la grande e persistente eterogeneità dello stato della pianificazione urbanistica, in ambito regionale, poiché molti Comuni dispongono ancora soltanto del Piano.

IL DDL approvato con DGR 39/2 del 10 ottobre 2014 contrasta fortemente con il PPR, introduce deroghe permanenti alle normative e vanifica la pianificazione urbanistica Regolatore Generale, o persino del solo Programma di fabbricazione, e molti Piani non sono dunque neppure adeguati alle disposizioni della LR 45/1989.

Per altro verso, la serie di luttuose e devastanti alluvioni che hanno colpito tante parti d’Italia, ed anche la nostra Isola in forma gravissima, impone la necessità di rafforzare la salvaguardia del regime idrografico e la tutela del paesaggio fluviale, anche in considerazione dei recenti cambiamenti climatici che stanno mutando il regime meteorologico, con piogge molto abbondanti concentrate nel tempo. Sarebbe quindi davvero molto pericoloso consentire ampliamenti edilizi nelle tante zone a rischio inondazione o a rischio frane.

E invece sarebbe prudente, nelle more dell’adeguamento degli strumenti urbanistici locali al PPR e al PAI, mantenere nello stato di naturalità la fascia territoriale di 500 metri dalle sponde dei fiumi del reticolo principale, al fine di preservare la permeabilità dei suoli, ma anche dichiarare inedificabile la fascia di 300 metri dalle sponde dei corsi d’acqua, in attesa della definizione delle aree pericolose ed a rischio, secondo la disciplina prevista dall’art 8 del PAI medesimo, onde prevenire il verificarsi di nuovi eventi catastrofici. Infatti purtroppo la realtà ci presenta delle zone dove non è stato rispettato neanche il regime di inedificabilità assoluta nella fascia di dieci metri dalle rive dei corsi d’acqua, come prescritto dall’art. 96, lettera f), del Regio Decreto 523 del 25 luglio 1904.

La disciplina di tutela dei suoli agricoli e dei paesaggi rurali, che dovrebbe preservarli dalla edificazione sia nella fase di transizione per la estensione del PPR alle zone interne che come indicazioni per la redazione del medesimo, nonché dei PUC o dei PUIC ad esso adeguati, appare incapace di impedire ulteriore trasformazione del paesaggio agrario. In particolare, la facoltà generalizzata di costruire in zona agricola disponendo di un fondo di appena uno o tre ettari costituirebbe una misura assai lesiva della superstite integrità dei suoli extraurbani, della fascia costiera e del paesaggio rurale storico.

Se anche una posizione logica e chiara (la residenza in agro è illogica e dannosa) potesse far temere un qualche rischio di impopolarità, questo è nulla a fronte di un danno ecologico di un utilizzo distorto e incontrollato del territorio, oltre al rischio di mettere in crisi la macchina dei servizi e delle infrastrutture comunali (e di far lievitare a dismisura i suoi costi) dando il via ad un’urbanizzazione non programmata e selvaggia.

E piuttosto che indurre i disabili e i disagiati ad ampliare i propri spazi residenziali anche nei centri storici, il che produrrebbe lesive e crescenti modifiche nell’ambito del costruito antico con ulteriore depauperamento del suo valore tradizionale e identitario, sarebbe di gran lunga più opportuno incentivare ed agevolare, con misure fiscali o finanziarie, l’acquisizione o la locazione di unità immobiliari maggiormente consone alle loro peculiari e individuali esigenze.

Non dimentichiamo che l’uso dei sottotetti per funzioni abitative, gli ampliamenti consentiti dal medesimo DDL, la stessa “densificazione” dei luoghi ricettivi e residenziali, comporterebbero, oltre al depauperamento delle dotazioni minime essenziali di servizi, verde pubblico e parcheggi, anche l’aumento considerevole del carico urbanistico e dunque la necessità per le amministrazioni comunali di revisionare ed implementare il sistema di smaltimento dei rifiuti e delle fognature, spesso già carente e comunque progettato per un minor numero di abitanti, con conseguente aggravio di spese per le già sofferenti casse comunali.

La disciplina sugli ampliamenti e sull’uso dei sottotetti, così come proposta dal DDL, appare sotto alcuni aspetti contraddittoria, e nella situazione attuale assai pericolosa, anche per la possibilità della modifica delle sagome degli edifici anche plurimmobiliari. La disciplina apre infatti alla possibilità, perfino in assenza di strumento urbanistico o in deroga ad esso, di frazionare e in alcuni casi addirittura alienare gli immobili ampliati, con effetti localmente ingovernabili. E il complesso degli adempimenti previsti per la gestione degli ampliamenti, e la disciplina della fase transitoria, rischia di appesantire il funzionamento delle amministrazioni comunali, distogliendole dalla intensa attività già necessaria per formare o revisionare i PUC o i PUIC in conformità al PPR.

Nella fascia dei 2000 metri dalla linea di battigia marina (e a maggior ragione nella fascia dei 300 metri), in assenza di strumento urbanistico locale (PUC, PUIC, PUL) adeguato e conforme alle direttive e ai principi del PPR, appare inopportuno consentire la realizzazione di strutture con finalità ricreative e di soccorso, e comunque esse dovrebbero rimanere soggette al rispetto degli indici e dei parametri edilizi di zona urbanistica e al vincolo di conservazione totale richiamato dal comma 1 dell’art. 10 bis della LR 45/1989.

In ogni caso, le disposizioni contenute nell’art. 13 della LR 4/2009 costituiscono una sostanziale e persistente deroga alla piena applicazione ed attuazione delle norme vincolanti, dei principi e delle direttive del piano paesaggistico regionale la cui illegittimità è stata già dichiarata più volte dal Tar Sardegna e dal Consiglio di Stato, e pertanto si evidenzia e si ribadisce la opportunità e l’urgenza di una sua abrogazione, come del resto ufficialmente e pubblicamente riconosciuto – davanti alle scriventi associazioni – dallo stesso Assessore Regionale Cristiano Erriu.

Gli intenti dell’Intesa Stato – Regioni del 31 marzo 2009 avevano carattere generale, nell’eterogeneo panorama nazionale, e devono trovare applicazione secondo le peculiarità dei territori regionali. La Sardegna, diversamente da altre realtà territoriali italiane, presenta valori culturali, naturali e paesaggistici di eccezionale rilevanza e integrità, e il fenomeno del degrado urbano ed ambientale è circoscritto a poche aree agevolmente determinabili. Inoltre la quantità di vani di edilizia residenziale esistenti è di gran lunga in esubero rispetto al reale fabbisogno abitativo, mentre sono numerosi gli edifici storici inutilizzati, meritevoli di conservazione e recupero.

Il DDL, come emerge anche dalle stesse brevissime osservazioni sopra riportate, in assenza dei controlli imposti dalla disciplina nazionale agli atti di pianificazione, presenta aspetti rilevanti di modifica dell’ambiente: l’impatto sul medesimo non è stato valutato, né si fa cenno negli atti ad una qualche procedura di valutazione preventiva degli stessi indotti direttamente sull’ambiente dalla sua applicazione.

Le normative comunitaria e nazionale (direttiva 2001/42/CE, D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) impongono, peraltro, che gli atti producenti effetti diretti sull’ambiente siano assoggettati a Valutazione Ambientale Strategica (VAS). Una legge regionale che recepisse i contenuti del DDL in questione, avente effetti diretti su tutta la pianificazione vigente, deve essere obbligatoriamente assoggettata a VAS. A conferma di quanto sostenuto si riportano alcuni articoli della normativa nazionale citata.

In primo luogo è importante ricordare che l’art. 3-bis del D. Lgs 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce che “i principi posti dalla presente Parte prima costituiscono i principi generali in tema di tutela dell’ambiente, adottati in attuazione degli articoli 2, 3, 9, 32, 41, 42 e 44, 117 commi 1 e 3 della Costituzione e nel rispetto degli obblighi internazionali e del diritto comunitario”.

Il secondo comma precisa che gli stessi principi “costituiscono regole generali della materia ambientale nell’adozione degli atti normativi, di indirizzo e di coordinamento e nell’emanazione dei provvedimenti di natura contingibile ed urgente”.

In adempimento di tali prescrizioni il successivo articolo 4 dopo avere chiarito che “la valutazione ambientale di piani, programmi e progetti ha la finalità di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile (…) precisa che “per mezzo della stessa si affronta la determinazione della valutazione preventiva integrata degli impatti ambientali nello svolgimento delle attività normative e amministrative, di informazione ambientale, di pianificazione e programmazione”.

L’articolo 5, comma 1, lettera e) definisce i piani e i programmi oggetto dello stesso decreto come “gli atti e provvedimenti di pianificazione e di programmazione comunque denominati, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche: 1) che sono elaborati e/o adottati da un’autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un’autorità per essere approvati, mediante una procedura legislativa, amministrativa o negoziale e 2) che sono previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative.”.

La stessa Corte costituzionale, del resto, ha più volte chiarito che una funzione amministrativa può essere svolta anche attraverso uno strumento legislativo (vedi di recente Corte costituzionale, 9 febbraio 2012 sentenza n. 20).

L’articolo 6, infine, al comma 1, stabilisce che “la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale”, mentre il comma 2 impone che sia “effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi: a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV del presente decreto.”.

Tali indicazioni sono state correttamente recepite dalla stessa Regione Sardegna, nella deliberazione 34-33 del 07.08.2012, Allegato C, art. 1, comma 2, in cui si stabilisce che “la fase di valutazione è effettuata anteriormente all’approvazione del piano o del programma, ovvero all’avvio della relativa procedura legislativa, e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso. Essa è preordinata a garantire che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione.”

Per facilitare la corretta applicazione della normativa comunitaria, inoltre, il documento l’Attuazione della Direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, a cura della stessa Comunità europea, chiarisce che, anche se i termini “piani” e “programminon sono sinonimi, “entrambi possono coprire una vasta gamma di significati che a volte coincidono”, osservando che, “per stabilire il contenuto dell’atto, il nome da solo (“piano”, “programma”, “strategia”, “orientamenti”, ecc.) non è un criterio sufficientemente affidabile”, in quanto “i documenti che hanno tutte le caratteristiche di un piano o di un programma secondo la definizione della direttiva possono avere diversi nomi”. Si conclude privilegiando una interpretazione dei termini particolarmente ampia e indicando come “uno dei parametri di valutazione la misura in cui è probabile che un atto abbia effetti significativi sull’ambiente” compresa “qualsiasi dichiarazione ufficiale che vada oltre le aspirazioni e stabilisca un corso di azione per il futuro”.

Dal momento che deve essere considerato “Piano” qualsiasi atto che decida le modalità per attuare una strategia di riassetto del territorio, fissando delle regole o un orientamento sul tipo di sviluppo che può essere consentito in determinate aree, ne consegue che il nuovo disegno di legge si viene a configurare di fatto, sia a livello regionale che comunale, quale vero e proprio piano o programma di interventi edilizi incidente sulla pianificazione territoriale, sulla destinazione dei suoli e sul settore turistico.

Il Piano casa perenne introdotto dal nuovo disegno di legge, infatti, contiene una serie di disposizioni che incentivano cambi d’uso, ampliamenti e sostituzioni del patrimonio edilizio esistente, intervenendo sui parametri edilizi ed urbanistici, nonché sui limiti volumetrici fissati negli strumenti di pianificazione, in deroga ai regolamenti comunali e alle disposizioni regionali. Le norme in esame, inoltre, consentono nuove costruzioni – a fini turistici – persino nell’ambito dei 300 metri dalla battigia e – a fini residenziali – anche nel territorio agricolo, arrivando a interessare addirittura le zone “h” e le aree protette, determinando consumo di suolo e impatti rilevanti sull’ambiente e sul paesaggio.

Appare, dunque, evidente che tali norme incideranno in modo sostanziale e a tempo indeterminato sulle trasformazioni edilizie e urbanistiche del territorio regionale, riducendo arbitrariamente persino gli standard urbanistici, con ripercussioni significative sull’ambiente, il paesaggio e il patrimonio culturale.

Tutti gli interventi previsti dal disegno di legge in osservazione, inoltre, non necessitando di ulteriori piani attuativi, potrebbero essere realizzati in assenza di VAS, in aperta e palese violazione della normativa vigente. A solo titolo di esempio si ricordano i progetti di incremento volumetrico delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive previsti dall’art. 3 del ddl, tra i quali certamente rientrano le “modifiche o estensioni di progetti” riguardanti villaggi turistici “di cui all’allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente”, e che, pur essendo obbligatoriamente assoggettati a VAS, applicando il disegno di legge, ne rimarrebbero esclusi.

Tuttavia, dal momento che – come di recente confermato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 46 del 4 aprile 2014 – la normativa sulla VAS, “essendo di portata generale, trova applicazione nei casi da essa previsti senza necessità di uno specifico richiamo (sentenza n. 168 del 2010, con riferimento alla valutazione di impatto ambientale; con riguardo alla VAS, sentenza n. 251 del 2013), in assenza di sottoposizione a tale procedura dell’intero piano regionale, ogni comune dovrebbe inserire i previsti ampliamenti all’interno di appositi piani attuativi obbligatoriamente soggetti a VAS.”.

Tale soluzione, però, oltre che produrre un inutile aggravio di lavoro per gli uffici regionali competenti, impedirebbe di valutare nell’insieme le azioni e i diversi impatti locali e globali, sia singoli che cumulati a medio e lungo termine, contravvenendo alla normativa comunitaria e nazionale che, come si è visto, impone di verificare preventivamente tutti gli effetti delle potenziali modifiche sul territorio, sul paesaggio urbano, naturale e rurale.

La stessa Corte costituzionale, infine, con la sentenza n. 46 del 4 aprile 2014 sopra ricordata, si è già, indirettamente, espressa sulla illegittimità del disegno di legge in via di approvazione.

Con riferimento specifico all’articolo 2 della Legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4 (una disposizione analoga all’art. 2 del disegno di legge in via di approvazione) che consente, «anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali, l’adeguamento e l’incremento volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attività produttive, nella misura massima, per ciascuna unità immobiliare, del 20 per cento della volumetria esistente», la Consulta ne ha confermato la legittimità sul presupposto che “gli incrementi volumetrici, in deroga agli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici, sono infatti da essa consentiti in via straordinaria e temporanea”.

Il superamento, in una sorta di deroga permanente, della disciplina urbanistica comunale prospetta, dunque, ulteriori caratteri di illegittimità poiché se da una parte non rispetta le prerogative dei comuni in materia di pianificazione del territorio stravolge, come già indicato, gli equilibri stabiliti dalle norme nazionali e regionali in materia di standard, contraddittoriamente ribaditi nelle stesso DDL dalla conferma del Decreto Floris (DA 2266/U-83).

Gli stessi obiettivi enunciati in premessa dal DDL e dalla DGR 39/2, nel quadro di un rilancio dell’attività edilizia, possono essere perseguiti con misure alternative o integrative, rispetto a quelle ipotizzate, ed anzi più efficaci e sostenibili, con l’attuazione di ampi programmi di “rigenerazione urbana”, foriere di risultati maggiormente durevoli, indirizzate al pieno utilizzo del patrimonio edilizio esistente (anche mediante agevolazioni fiscali), alla ristrutturazione e al recupero degli edifici inagibili, alla demolizione e ricostruzione degli edifici di recente realizzazione (spesso non compatibili con i caratteri del paesaggio e/o privi dei requisiti di sicurezza, di funzionalità ed efficienza energetica), alla “densificazione” e al miglioramento dei complessi alberghieri e residenziali senza interessamento di lotti esterni, alla riqualificazione aziendale agricola e zootecnica con eventuali ampliamenti edilizi e nuove costruzioni coerenti con il sistema insediativo tradizionale, al restauro ambientale ed urbano, con vaste opere di rinaturalizzazione, per la salvaguardia del sistema idrografico, della stabilità idrogeologica e dei connotati paesaggistici.

Inoltre appare ineludibile l’adozione di misure indirizzate alla semplificazione procedurale, mediante: riduzione al minimo del numero di strumenti di pianificazione territoriale locale (PUC, PUIC e Piani attuativi) e di programmazione settoriale (Piani e programmi di settore), da redigersi e aggiornarsi in adeguamento ai principi e alle direttive del PPR; formulazione di procedimenti certi e brevi di formazione, approvazione e revisione di piani e programmi; verifica sistematica di coerenza, compatibilità e conformità dei Piani di Settore con le direttive e i principi del PPR; eliminazione dell’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica in alcune aree (anche compromesse e degradate) nelle quali sia stata adottata ed approvata, in seno allo strumento urbanistico locale, una disciplina degli interventi conforme alle prescrizioni, alle direttive e ai principi del PPR, previa riattivazione e prosieguo degli accordi di pianificazione congiunta Stato-Regione, ai sensi dei commi da 3 a 8 dell’art. 143 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

Le scriventi Associazioni, benché ritengano che una legge regionale recante i contenuti del DDL in questione sarebbe viziata da profili di incostituzionalità e di illegittimità, e che quindi sia destinata a soccombere nella fase applicativa e nel contenzioso amministrativo, esprimono tuttavia massima preoccupazione per gli effetti lesivi e irreversibili che nell’immediato tale provvedimento potrebbe produrre sul patrimonio culturale e ambientale della nostra Isola, e per le eventuali aspettative contrarie alla tutela che potrebbero consolidarsi, e pertanto ribadiscono il proprio appello affinché esso non prosegua il proprio iter approvativo.

Al tempo stesso le scriventi Associazioni invocano un urgente riordino organico ed integrato della normativa regionale in materia edilizia, urbanistica e paesaggistica, affinché vengano prodotte regole chiare, di semplice applicazione, assicurando un regime stabile ed affidabile di salvaguardia del paesaggio e del territorio, a cominciare dalla estensione del PPR alle zone interne, ed alla accelerazione del processo di attuazione del PPR medesimo mediante l’adeguamento e la formazione dei PUC e dei PUIC dell’intera Regione.

Vincenzo Tiana – Legambiente Sardegna
Maria Paola Morittu – Italia Nostra Sardegna
Maria Antonietta Mongiu – Fondazione Ambiente Italia FAI Sardegna
Carmelo Spada – WWF Sardegna
Francesco Guillot – LIPU Sardegna

 

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